La destra riscrive le stragi. Solo il metodo Pio La Torre può frenare questa deriva

Per come vogliono riscrivere la storia delle stragi e per come qualcuno vorrebbe cancellare le tracce lasciate a Palermo nell'estate 1992, in Antimafia è arrivato il momento di prepararsi a stendere una relazione di minoranza che ribalti una verità che non ha verità. Un documento che rimanga per sempre agli atti del Parlamento italiano, una certificazione ufficiale su una maggioranza che si rifiuta di vedere cosa è accaduto più di trenta anni prima giù in Sicilia. L’“Operazione Borsellino” porta all’anniversario più buio dell’antimafia Come quasi mezzo secolo fa, come nel 1976, come ai tempi di Pio La Torre e di Cesare Terranova, una sola relazione finale della commissione parlamentare d'inchiesta sulle mafie oggi non solo non sarebbe sufficiente a descrivere le trame mafiose e le famose “convergenze di interessi” con altri poteri criminali, ma al contrario risulterebbe decisamente faziosa e anche fuorviante. La presidente Chiara Colosimo, una fedelissima della premier Meloni, si è rivelata esageratamente partigiana, troppo sensibile alle suggestioni proposte dal generale Mario Mori che è tutt'ora indagato «perché non avrebbe impedito mediante doverose segnalazioni e denunce gli eventi stragisti di cui aveva avuto anticipazioni» (gli attentati di Firenze, Roma e Milano del '93), troppo spericolata nel guidare a senso unico una commissione attenta a indagare solo e soltanto in una sola direzione. Quella di "mafia e appalti”, l'unica pista che – secondo Colosimo, Mori e tutta la maggioranza – porterebbe alla scoperta dei mandanti esterni dell'autobomba che ha fatto saltare in aria Paolo Borsellino. Un dossier su grandi lavori e su grandi imprenditori legati a doppio filo con Cosa Nostra, è questo il forte sospetto avanzato dai carabinieri dei reparti speciali di Mario Mori e ora da tutta la destra in commissione, un dossier che per indicibili motivi sarebbe stato insabbiato da più di un magistrato della procura della repubblica di Palermo dei primi anni '90. È la sola ipotesi sul movente delle strage Borsellino presa in considerazione da Colosimo, che si è piegata su quel rapporto "mafia e appalti” separando l'uccisione di Borsellino da quella di Falcone, dai morti di Firenze e di Milano e di Roma della primavera 1993, dalla mancata strage allo stadio Olimpico del gennaio 1994. Una strategia stragista ridotta a uno spezzatino con Colosimo che continua, con ostinazione, a confinare la bomba di via Mariano D'Amelio al di fuori di tutto il resto. Ecco perché qualcuno sta lanciando seriamente la proposta di una relazione di minoranza per far emergere gli elementi di una stagione oscura. Uno è il presidente del "Centro Studi Pio La Torre” Emilio Miceli, sindacalista per una vita, adesso a capo di un'associazione dedicata alla memoria dell'uomo politico che ha dato il nome alla legge sul reato di associazione mafiosa. Un altro è Roberto Scarpinato, ex procuratore generale a Palermo, il senatore dei 5Stelle al centro delle intercettazioni con l'ex giudice del pool antimafia palermitano Gioacchino Natoli. Sfida sull’antimafia: «I 43 milioni siano presi da altri fondi» Le conversazioni intercettate fra i due, giudicate dai più inopportune (duri i giudizi di Natoli sulla famiglia Borsellino, anche se poi ha chiesto pubblicamente scusa), hanno ”aggravato” la posizione già precaria di Scarpinato in commissione. Lo vogliono cacciare e, molto probabilmente, verrà cacciato proprio per quelle telefonate dove avrebbe suggerito domande e risposte a Natoli sul dossier mafia e appalti. Scarpinato, in realtà fa paura perché è il senatore che ha presentato in commissione una memoria di cinquantasette pagine dove stragi italiane e delitti eccellenti siciliani vengono tenuti tutti insieme. Nelle cinquantasette pagine ci sono pure nomi come Luigi Ciavardini, componente dei Nuclei Armati Rivoluzionari e condannato a trent’anni per la bomba del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna. È lo stesso Ciavardini fotografato, qualche anno fa, con una sorridente Chiara Colosimo che lo tiene per mano. Come finirà il giallo dell'Antimafia è già scritto. Scarpinato verrà espulso e la maggioranza della commissione andrà avanti, come uno schiacciasassi, per raccontare una storia delle stragi che non c'è mai stata. Con i 5Stelle che, per protesta, annunciano dimissioni di massa. Ma sarebbe un grave errore perché, così, quasi nessuno potrebbe presentare più quella relazione di minoranza. Il quasi è generoso. In Antimafia c'è un altro grosso problema oltre Chiara Colosimo e le ossessionati di quel dossier su mafia e appalti. L'altro problema è proprio la minoranza. Dov'è? Precisazione: Per il salto di due righe nel mio articolo del 10 ottobre si è modificato il senso della ricostruzione che avrei voluto offrire. I giudizi sulla famiglia Borsellino sono stati espressi da Gioacchino Natoli, non nelle conversazioni con Roberto Scarpinato, ma in conversazioni con i suoi familiari. Poi Scarpinato non ha formulato nessuna domanda per il procedimento per il quale Natoli aveva chiesto di essere convocato e, quindi, non ha concordato alcuna domanda e risposta. (A.B.)