Mi chiamo Alice, ho 26 anni e, come altre decine di migliaia di giovani medici, aspetto da due mesi di sapere se potrò continuare il mio percorso di formazione.

A luglio ho conseguito la laurea abilitante, e il giorno successivo mi sono iscritta all’Ordine dei medici e al concorso per l’accesso alle scuole di specializzazione; dopodiché ho iniziato a lavorare nelle Usca, le Unità speciali di continuità assistenziale, che si occupano dei pazienti Covid sul territorio. Il 22 settembre si è tenuto il concorso per la specializzazione: immediatamente dopo la prova, tutti abbiamo saputo il nostro punteggio. Per la graduatoria, completa dei punti legati ai titoli, avremmo dovuto aspettare il 5 ottobre.

Ancor prima del giorno del test, però, erano iniziati i problemi: il bando, per la prima volta, escludeva dalla partecipazione gli iscritti al corso di formazione in Medicina generale. Inoltre, la sera stessa della prova erano state segnalate due domande, una perché la risposta indicata come corretta era evidentemente sbagliata, un’altra perché si basava su un’immagine che, a detta di molti, era di difficile comprensione.

Nel frattempo sono iniziati i contenziosi, che hanno determinato continui rinvii, spesso comunicati ufficiosamente all’ultimo momento dal ministero dell’Università e della ricerca, e che hanno fatto slittare la pubblicazione della graduatoria e le assegnazioni alle scuole di quasi due mesi.

L’ultima programmazione prevedeva la chiusura della fase di scelta il 27 novembre, con le assegnazioni il 30, sulla base di una graduatoria ancora etichettata come provvisoria. Senza nessuna comunicazione ufficiale, la fase di scelta è rimasta aperta fino al primo dicembre e le assegnazioni rimandate al tre dicembre.

Ai dubbi espressi sulla legittimità di procedere alle immatricolazioni su graduatoria provvisoria ci è stato chiesto di avere fiducia nel fatto che le assegnazioni sarebbero avvenute il giorno successivo; l’indomani, quando in serata era ormai chiaro a tutti che non ci sarebbe stato alcun passo avanti, il ministero ha comunicato che fino all’ultima udienza del Consiglio di stato, fissata a quindici giorni dalla data della presa di servizio, non avremmo saputo niente.

Medici precari senza malattia

Così sono passati questi ultimi due mesi. Nel frattempo abbiamo affrontato la seconda ondata del Covid, nella cosiddetta prima linea, trovandoci spesso a gestire pazienti troppo critici per le nostre competenze; abbiamo rifiutato altri incarichi più stabili o meno a rischio, perché non sapevamo dove saremmo stati a gennaio.

In questi mesi, qualcuno dei miei colleghi si è licenziato pensando che a dicembre avrebbe avuto bisogno di più tempo libero per cercare casa, ma al giorno d’oggi non sa ancora dove dovrà trasferirsi. Altri, tra cui me, non vogliono rinunciare al proprio impiego prima di sapere se hanno effettivamente vinto una borsa o se dovranno ritentare il concorso l’anno prossimo.

Oltre all’incertezza legata al concorso, c’è quella che è insita nei nostri incarichi di lavoro: precari, senza garanzie di continuità o stabilizzazione, come la maggior parte dei contratti di chi lavora nella continuità assistenziale. Il lavoro c’è, ma spesso è sottopagato e anche se retribuito giustamente è legato a molti sacrifici: turni di guardia massacranti, festivi e weekend sempre impegnati, una reperibilità continua perché non esserci quella domenica potrebbe significare bruciarsi il contatto di lavoro.

L’emergenza ha aumentato le opportunità di lavoro, ma sempre con forme contrattuali precarie e senza alcuna tutela: io, come tanti altri colleghi impegnati nell’emergenza, mi sono ammalata, e aspetto con ansia il tampone negativo per poter tornare al lavoro, dato che i turni perduti non sono coperti da malattia.

La data presunta della presa di servizio si avvicina, e con essa il rischio concreto che le Asl si svuotino il primo gennaio senza aver avuto il tempo di sostituire chi entrerà in specializzazione. Occorre trovare immediatamente una soluzione per sbloccare il concorso tutelando i partecipanti e permettendo loro di sapere finalmente cosa ne sarà delle loro vite e del loro futuro; è inoltre più che mai urgente riformare l’accesso alle scuole di specializzazione, rifinanziare il percorso di formazione e aumentare i posti a disposizione per eliminare l’imbuto formativo e garantire i fabbisogni di salute della popolazione, perché quando questo calvario finirà dal concorso rimarranno comunque esclusi quasi 10mila candidati.

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