Un albero genealogico disvela sempre più di quanto crediamo e vogliamo, soprattutto nelle terre sacre e nascoste d’Italia. Un cugino o un cognato, magari famosi per come lo sono laggiù gli abituali ospiti delle cronache, nel migliore dei casi generano disagio e nel peggiore fastidiose attenzioni poliziesche. Ci sono mappe dinastiche che assumono (quasi) dignità di “corpo del reato”. Per cui si può ben comprendere l'imbarazzo di coloro che rotolano loro malgrado in una disgraziata ragnatela parentale, un po' meno il resto di questa storia.

La famiglia

La sua trama è tutta racchiusa nei congiunti, la famiglia, rami che portano ai piani alti di un palazzo di Giustizia e rami che portano nei pressi della 'ndrangheta. Incastri di una città che non è solo Sud e che non è solo Calabria, perché Reggio è Reggio, protesa sullo Stretto con i suoi segreti.

Da un esposto presentato al Consiglio superiore della magistratura e al ministro della Giustizia da un cittadino che ha da lamentarsi per una condanna subita, siamo venuti a conoscenza di una vicenda che sottotraccia scopre un insieme di coincidenze e circostanze che meritano uno sguardo su ciò che accade sul lungomare che D’Annunzio descriveva come «il chilometro più bello d’Italia», la promenade davanti all’Etna e alla Sicilia.

Vincoli di giudici e fra giudici, boss veri e presunti – per l’appunto quei cugini e quei cognati acquisiti – e l’audacia di un racconto che forse si è inoltrato dove non doveva. Il vizio di scrivere costa caro. Ce n’è evidenza in una sentenza (la numero 940 del 2020 della giudice Arianna Roccia) della seconda sezione civile del Tribunale di Catanzaro con la quale, per il contenuto «gravemente diffamatorio» di un libro, l'ex procuratore generale di Reggio Calabria Salvatore Di Landro viene risarcito con 60mila euro.

L’eccentricità del verdetto, almeno secondo quanto ritiene l'accusato che ha inoltrato le sue rimostranze a palazzo dei Marescialli e al ministro Bonafede, è «un copia e incolla» di un’altra sentenza di condanna (sempre contro lo stesso accusato) al quale si sarebbe limitata la giudice pronunciandosi «su contestazioni in tutto e per tutto diverse da quelle oggetto del giudizio mosse peraltro da soggetti terzi rispetto all’odierno appellato».

Meno di venti righe differenziano una sentenza dall’altra su nove pagine, scritta per di più in un solo giorno lavorativo dal deposito del fascicolo per la decisione. «Diversi indizi univoci dimostrano che manchi del tutto un autonomo giudizio da parte del magistrato», si rammarica l’accusato, difeso nel processo dagli avvocati Guido Calvi e Nicola Ciconte.

Nelle carte arrivate al Csm si rintracciano le orme dell'altra sentenza (la numero 90 del 2018, giudice Ermanna Grossi) dei magistrati del Tribunale civile di Catanzaro e naturalmente anche l'identità dei risarciti, che poi sarebbero “i terzi” del giudizio precedente. Tutti parenti dell’ex procuratore generale Di Landro. Sua figlia Francesca, che al tempo era giudice nello stesso Tribunale dei Minori di Reggio. Il marito di lei Attilio Cotroneo, avvocato nello stesso Tribunale di Reggio. E la sorella di lui, Tommasina Cotroneo, giudice delle indagini preliminari nello stesso Tribunale di Reggio.

Personaggi di buona reputazione, come si conviene agli abitanti di un palazzo di Giustizia. C’è però, ed è un fatto, quella mappa familiare che procura disturbo. Un reticolo parentale che unisce, con un giro di connessioni matrimoniali e di cuginanze più o meno lontane e vicine, i Cotroneo ai Tegano di Archi. E un reticolo che sfiora i componenti di un’altra ’ndrina. In un labirinto di nomi e cognomi, l’albero genealogico può diventare un impasto spietato. Anche per chi se lo ritrova “aggiornato” per volontà altrui.

Era giusto rimarcare quei collegamenti familiari degli eccellenti giudici – sul cui operato non si vuole certo adombrare alcun sospetto – o sarebbe stato più corretto ignorarli? È legittimo esercizio di diritto di cronaca o basse insinuazioni?

Al buio

Il cittadino condannato per avere diffamato «con cinica premeditazione» i componenti delle famiglie Cotroneo-Di Landro è l'onorevole Francesco Forgione, ex presidente della commissione parlamentare antimafia, deputato per due legislature all’Assemblea regionale siciliana, scrittore, autore di testi teatrali, ex direttore del quotidiano di Rifondazione comunista Liberazione, consulente per l’Onu e per l’Alta escuela para la Justicia di Città del Messico.

Forgione, che da presidente dell’antimafia è stato il primo a volere una relazione finale interamente dedicata alla ’ndrangheta, oltre ai 60mila euro versati all’ex procuratore generale è stato condannato a risarcire anche l’avvocato Attilio Cotroneo, la figlia di Di Landro e la giudice Tommasina Cotroneo che avevano chiesto tre milioni di euro di danni.

Un giorno l’ex presidente dell'antimafia ha aperto la sua casa palermitana ed è rimasto al buio, gli avevano staccato la luce. La mattina dopo il suo bancomat era “bloccato”, così come la carte di credito. Tutti i suoi conti congelati.

Effetti delle due sentenze per tre pagine – dalla 373 alla 375 – riservate ai Di Landro-Cotroneo in Porto Franco, libro pubblicato nel 2012, viaggio in Calabria dentro una ’ndrangheta che si è “modernizzata” intorno a Gioia Tauro e ai suoi moli.

I magistrati di Catanzaro, competenti nei procedimenti che vedono coinvolti i loro colleghi di Reggio, hanno individuato nell’opera passaggi allusivi, sottintesi e frasi del genere «non ci possiamo fare condizionare dai loro legami familiari ma..». Un paio di “ma” giudicati altamente lesivi.

Legami

Come strumento di navigazione nel burrascoso mare della giustizia calabrese è arrivata in soccorso la stessa Tommasina Cotroneo con le sue chat inviate all’ex presidente dell’Anm Luca Palamara, lo zar delle nomine e delle promozioni appena cacciato dalla magistratura.

È un rapporto molto stretto quello fra i due. Lei lo chiama “orsacchiotto”, “pupazzo”, “stratega”. Gli scrive: «Io senza te non sono niente», «Ti adoro», «Per te mi farei uccidere».

Il famigerato trojan nel cellulare di Palamara, implacabile, registra tutti i messaggi della Cotroneo.

Questo per esempio: «...Sostanzialmente si tratta di due cugini come ti avevo detto da subito. In questo caso la comunicazione riguarda l’altro dei due… Petralia (l’ex procuratore generale di Reggio e oggi capo dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, ndr) mi ha convocata per avvertirmi che ha comunicato al Csm perché doveva la vicenda sull’altro mio cugino, il secondo di cui ti avevo parlato. Dicendomi che incontestabile la mia condotta, era la seconda vicenda di parentela che doveva comunicare...».

E quest’altro: «Le vicende dei miei parenti sono state sempre conosciute dalla Procura… allora Gerardis (l’ex presidente della Corte di appello, ndr) ha scritto una nota sulla mia integrità morale e sul fatto che mai ho creato problemi all’ufficio. Ricorda anche che ho fatto tutte le cosche di ‘ndrangheta e tutti i più grossi processi di mafia, 13 anni al riesame, cinque al Gup distrettuale e quattro in corte anche presiedendo maxi. Non si tratta di prossimi congiunti peraltro ma cugini con cui non ho rapporti da 20 anni...».

E quest’altro ancora: «Ci sono tanti magistrati Luca che qui hanno parenti ed affini mafiosi e solo me hanno tirato fuori... Che io sappia almeno tre...». Almeno tre. Quindi, quanti? Quattro? Sette? Nove?

Sarebbe interessante conoscere l'identità di questi magistrati calabresi, quali incarichi ricoprono, il grado di consanguineità con quei "parenti e affini mafiosi”. Il ministro della Giustizia ne sa qualcosa? Senza metterne in dubbio l'integrità, è opportuno – come si è poi chiesto Forgione nel suo libro – che magistrati con quei legami rivestano ruoli così rilevanti in un Tribunale?

Sulla promenade dirimpetto alla Sicilia s’inseguono le voci. Dove sono, e cosa fanno oggi, i protagonisti di questa che non possiamo certo circoscrivere a una semplice querelle giudiziaria?

Il procuratore Salvatore Di Landro è andato in pensione, sua figlia Francesca è stata nominata presidente della Corte di appello di Reggio, Attilio Cotroneo fa sempre l’avvocato, Tommasina Cotroneo è diventata capo dei gip ed è uno dei 27 magistrati per i quali il procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi ha esercitato l’azione penale per le intercettazioni di Palamara. E Forgione, “il convenuto in giudizio” che ha pagato salatissimo il conto per il suo Porto Franco, è stato eletto sindaco dell’isola di Favignana.

 

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