Aveva quindici anni Abou, il ragazzo originario della Costa d’Avorio morto lunedì all’ospedale di Palermo, dopo una lunga agonia, bloccato sulla nave quarantena in attesa di controlli anti-Covid-19. Aveva superato il deserto e poi il Mediterraneo, era stato torturato e picchiato nei lager libici.

Salvato dalla nave della Ong Open Arms, è rimasto bloccato in condizioni critiche dal 18 al 30 settembre sulla nave quarantena Allegra. Ma stava molto male. Ed è stato fatto sbarcare solo l’uno ottobre. Si poteva salvare se fosse stato portato in una struttura sanitaria in tempo.

È questo che vogliono scoprire gli avvocati e la tutrice del minore. Sulla sua morte, infatti, è stata presentata una denuncia in procura a Palermo e il deputato Erasmo Palazzotto, di Liberi e Uguali, ha depositato un’interrogazione per chiedere conto al governo di quanto accaduto. Il ragazzo era un minore non accompagnato che arrivava dalla Libia, il suo corpo, riporta l’interrogazione, era martoriato da segni di tortura, denutrizione e disidratazione. Sul suo corpo, insomma, le cicatrici dell’inferno dei campi di detenzione libici.

La denuncia

Le la tutrice legale, Alessandra Puccio, ha depositato una denuncia dopo la morte di Abou: «I fatti si sono susseguiti troppo velocemente, ha appena avuto il tempo di vederlo prima che dalla nave venisse portato all’ospedale e poi trasferito» spiega il legale Michele Calantropo, che preferisce, al momento, non entrare nel merito dell’indagine: «La procura della Repubblica dovrà decidere se ci sono responsabilità e di chi sono». Il giovane era in condizioni gravi da prima e lo dimostra un referto medico in mano alla procura.

Il referto

I medici hanno accertato lo stato critico del ragazzo già nei giorni precedenti allo sbarco. Il 28 settembre l'ivoriano è stato visitato per la prima volta dal medico sulla nave Allegra, «chiamato dai compagni del paziente visibilmente allarmati dalle sue condizioni». Nel referto si legge «che non parla e non si nutre da circa tre giorni. Il paziente è apiretico, apparentemente disorientato, poco collaborante... all'ispezione sono visibili numerose cicatrici verosimilmente conseguenti a torture subite in carcere in Libia (questo dato viene riferito da un compagno di viaggio)... il paziente lamenta dolore in sede lombale bilaterale. Manovra di Giordano positiva. Si sospetta un coinvolgimento renale conseguente a stato di disidratazione».

Il 29 settembre è stato richiesto dai medici lo sbarco urgente del ragazzo, ma, conferma l’avvocato di Puccio, è stato fatto sbarcare solo la notte successiva, tra il 30 settembre e giovedì 1 ottobre. Quasi due giorni dopo, cioè, la raccomandazione contenuta nel referto. Abou è stato portato immediatamente all’ospedale Cervello di Palermo dove è entrato in coma. Da lì è stato trasferito intubato all'ospedale Ingrassia perché al Cervello non c'erano posti in rianimazione.

Cambiare le procedure

«Noi non possiamo restare indifferenti» dicono gli attivisti del forum antirazzista di Palermo, che hanno organizzato una fiaccolata per Abou. Le navi quarantena, hanno aggiunto, «sono strumenti pessimi e pericolosi, sono il paravento dietro il quale nascondiamo le nostre responsabilità e che ci consente, per un po’, di non vedere e di fare finta di essere più sicuri. Intanto le tragedie si continuano a consumare».

Il deputato Palazzotto ha chiesto, intanto, ai ministri della Salute e dell’Interno di modificare le attuali procedure di accoglienza dei migranti che sbarcano sulle nostre coste per non ripetere quanto accaduto ad Abou: «Questa tragedia impone un immediato ripensamento dei protocolli che regolamentano l’accoglienza dei migranti e il sistema delle navi quarantena».

Le criticità maggiori, dice Palazzotto, sono rappresentate dal numero insufficiente di medici dedicati ai controlli- solo un medico per 600 migranti- delle persone in quarantena sulle navi e dall’assoluta inadeguatezza strutturale delle imbarcazioni come luogo in cui prestare assistenza a persone in stato di necessità: «Nel caso di Abou inoltre, si rileva una evidente sottovalutazione delle sue condizioni di salute e un’assenza di cure immediate nonostante la preoccupazione manifestata dalla sua tutrice e dai compagni di viaggio».

© Riproduzione riservata