«Il Presidente della Regione non può imporre nulla. Non può darmi ordini, non è nei suoi poteri. Noi siamo lo Stato». Il generale Angelo Giustini è un fiume in piena, ma agitatissimo. Dal 2018 è il Commissario straordinario al risanamento dei conti della sanità del Molise. Viene dalla Guardia di Finanza ed è un medico con le stellette, ma nei giorni scorsi ha chiesto aiuto al Nas dei carabinieri. Obiettivo verificare le condizioni di sicurezza e il livello di prestazione sanitarie offerte ai malati Covid e non Covid negli ospedali dell’area, ad iniziare dall’hub Cardarelli di Campobasso. Qui gli specialisti dell’Arma sono arrivati ieri. Hanno osservato, filmato, fatto analisi.

«Il mio – sostiene il generale – è un atto dovuto, un dovere civile e morale. La verità è che di sei ospedali non siamo riusciti a realizzarne uno dedicato solo al Covid». Parole nette, destinate ad acuire il conflitto col presidente di centrodestra della Giunta regionale Donato Toma. Non si tratta solo di bizze e competenze che si scontrano, ma di un sistema di interessi, economici e politici, che vede al centro la sanità. Il chi, come e dove, si devono curare gli ammalati. Nella regione più piccola d’Italia, 313.348 residenti sparpagliati in 136 comuni, i dati sono allarmanti. Se da Campobasso ad Isernia, fino al mare di Termoli, la prima ondata fu blanda, i numeri dei giorni passati parlano di un aumento dei morti rispetto al marzo scorso del 70%, in Italia è del 31%. Totale dei decessi 129, 89 solo nel mese di novembre.

Una catastrofe che il sistema sanitario pubblico non ce la fa ad affrontare. «In questa regione la sanità pubblica è stata letteralmente sfasciata a vantaggio dei grandi interessi privati. La salute è stata trasformata da diritto universale in affare per pochi». Michele Pietraroia, una vita in Molise, prima come sindacalista Cgil, poi come Consigliere regionale, non ha dubbi, la seconda ondata è devastante perché «siamo arrivati deboli, impreparati e confusi sulle strategie da adottare». Se il generale-commissario puntava su un solo ospedale anti-Covid a Larino, Toma ha premuto perché si scegliesse l’unico grande ospedale della Regione, il Cardarelli di Campobasso. Che avrà bisogno di lavori per aumentare i posti-letto in terapia intensiva e sub-intensiva.

I tempi sono lunghi, si parla di marzo-aprile. Mentre il virus galoppa, non si sono ancora affidate le progettazioni. Nel frattempo l’ospedale di Campobasso esplode. Che fare? Il presidente della Regione ha già trovato una soluzione, quella di sempre in Molise: ricorrere ai privati. Alla Neuromed di Pozzilli, alla Cattolica, al Gemelli. E ha scritto al commissario per intimargli di farlo subito, entro due giorni al massimo. Il generale, però, resiste e attacca: «Per l’ospedale di Campobasso ci sono ritardi enormi e non certo per mia responsabilità. Tutti sanno che io puntavo sull’ospedale di Larino, una struttura che non avrebbe avuto bisogno di lavori eccessivi e tempi biblici. Avevo il sostegno dei sindaci e della maggioranza del Consiglio regionale, ma mi hanno boicottato». Chi? «Il Presidente e il direttore generale della Asrem, Oreste Florenzano».

Al generale-commissario è inutile chiedere quali interessi si celino dietro queste scelte. «Lo chieda a Toma e a Florenzano», è la risposta. La considerazione finale che ci viene affidata offre un po’ di chiarezza: «Ma cosa vogliono imputare alla struttura commissariale? La verità è che ci attaccano perché è grazie al commissariamento che è venuta fuori l’esistenza di un debito enorme. Se non fosse venuto un esterno i molisani non l’avrebbero mai saputo».

Ma andiamo con ordine e cominciamo dal “mistero” dell’ospedale di Larino. A giugno scorso 118 sindaci firmano un documento perché si scelga la struttura come Centro anti-Covid unico della regione. L’ospedale non è fatiscente, non avrebbe bisogno di lavori eccessivi, e soprattutto è grande. Il documento viene approvato in Consiglio regionale con 11 voti a favore da Cinquestelle, Pd, indipendenti e pezzi del centrodestra, mettendo in minoranza Toma. Viene spedito a Roma, al Ministero della Salute, ma il giorno dopo da Campobasso parte un altro documento, firmato da un sub-commissario e sostenuto dalla direzione dell’Asrem, che ribalta la situazione e indica l’ospedale Cardarelli del capoluogo come unico centro anti-covid. Manca, però, la firma del generale-commissario, che a luglio viene convocato a Roma.

Gli chiedono conto del perché, e non della stranezza di un secondo piano a lui sconosciuto e firmato da un suo sub-commissario, ma soprattutto gli fanno capire chiaro e tondo che la scelta non è più Larino, ma Campobasso. Il generale capitola, obbedisce e firma. «Hanno fatto una scelta sbagliata, basata sui dati della prima ondata e senza tener conto dell’aggravamento della situazione. La scelta di Larino avrebbe evitato la commistione tra malati Covid e persone affette da altre patologie. Credo che il commissario si sia dovuto piegare», spiega il sindaco di Larino Pino Puchetti. La conseguenza è che l’ospedale di Campobasso è al limite, i nuovi posti letto in terapia intensiva vengono attivati sottraendoli ad altri reparti.

«Abbiamo scritto al ministro Speranza – dice Antonio Amantini, segretario della Funzione pubblica Cgil – per chiedere se il management della Asrem fosse all’altezza della situazione. L’hub di Campobasso è al collasso, non accetta più pazienti Covid e ha seri problemi a curare altre patologie. Mancano medici, anestesisti, infermieri specializzati. Non ci sono condizioni di sicurezza per ammalati e personale. Il peso della pandemia sta gravando tutto sul sistema pubblico, in una realtà dove per anni si è privilegiato il privato. Che oggi lucra anche sulla difficoltà degli ospedali pubblici ad affrontare le patologie al di fuori della pandemia».

Roberto Gravina, 43 anni, avvocato, è il sindaco Cinquestelle di Campobasso, votato dal 69% degli elettori. «Firmai il documento per aprire a Larino, poi scelsero Campobasso. Fatelo, dissi, ma garantite le altre prestazioni sanitarie. Così non è stato. Si sviliscono gli altri reparti, a questo punto si verifichi l’efficienza e il rispetto degli standard sanitari per ammalati e personale».

Molise, un commissariamento della sanità che dura da 13 anni. «Da Berlusconi a Monti, passando per Renzi e Gentiloni, nessun governo è riuscito a risanare la sanità molisana. Nessuna maggioranza parlamentare ha nesso mano allo scandalo di una salute privatizzata, con il più alto numero di posti letto affidati a strutture private, e un altissimo numero di pazienti costretti a curarsi al di fuori della regione», dice Michele Pietraroia. Negli anni precedenti il 2014 il deficit della sanità regionale ammontava a 401 milioni. Il calcolo per il 2019, fatto dall’advisor Kpmg, cui la regione paga ogni anno un milione per il monitoraggio, si attesta sui 60 milioni. “Irrecuperabile” per il tavolo tecnico ministeriale.

«A 12 anni dal commissariamento – nota la Corte dei conti nel 2018 – la gestione della sanità continua a mostrare crescenti difficoltà e il permanere di nodi strutturali irrisolti». Il rapporto con i privati è il nodo più intricato. Fanno la parte del leone nella spartizione dei fondi. Fino al 2014 il debito che la Regione accumula nei loro confronti si avvicina ai 100 milioni. Sanità e politica, qui più che altrove si intrecciano. Fino ad incarnarsi nella figura di Aldo Patriciello. E’ il re della “Neuromed” di Pozzilli, centro ad alta specializzazione, che mediamente incassa 40 milioni l’anno dalla Regione. Patriciello è stato Dc, Popolare, vicino all’Udeur di Mastella, forzista con Berlusconi riconfermato al Parlamento europeo con 81mila voti. Nel 2013 sostiene come presidente del Molise Paolo Frattura, un ex berlusconiano candidato col Pd, con una lista capeggiata dal cognato, Vincenzo Cotugno. Alle elezioni successive, cambia cavallo, appoggia il centrodestra di Toma, e suo cognato diventa vicepresidente della giunta. Patriciello ha cliniche in Lazio, Puglia e Campania. Grande amico di Vincenzo De Luca, lo ha sostenuto apertamente alle scorse elezioni, non disdegna ottimi rapporti con Renzi e i suoi. Miracoli della politica in Molise e conflitti sulla salute dei molisani.

«Qui domina l’incertezza – dice Patrizia Manzo, consigliera regionale dei Cinquestelle – mancano elaborazioni statistiche certe sulla situazione, informazione sui contagi, ma anche sui posti occupati negli ospedali rispetto a quelli disponibili, finora i dati forniti sono vaghi. Quando si parla di sanità in questa regione, qualcosa come l’80% del bilancio regionale, l’unico dato certo è che il privato grava sul pubblico. Pesantemente». Il “Molise non esiste” non è solo il titolo del libro del giornalista Enzo Luongo, ma una triste realtà. Per Roma, Molise e molisani non esistono neppure in tempo di Covid.

© Riproduzione riservata