Una città divisa in due: da una parte la preoccupazione dei cittadini per la loro salute e la paura di diventare la discarica del centro Italia; dall’altra due grosse e potenti aziende, storicamente rivali, e oggi unite da un comune obiettivo. Gubbio, gioiello medioevale dell’Umbria. In questa piccola e splendida città ci sono due cementifici: Barbetti spa e Colacem spa. Secondo un report dell’Eea (European environment agency) del 2011 il primo e il secondo cementificio in Italia per danno ambientale e tra le 622 industrie che hanno creato maggior danno all’ambiente in Europa. La particolarità di questi stabilimenti è che sorgono praticamente all’interno della città: il primo a ridosso della frazione più popolosa del comune, Padule, e il secondo a meno di un chilometro dal centro e in prossimità di una scuola. Lo scorso maggio entrambi gli stabilimenti hanno fatto richiesta di bruciare il Css (Combustibile solido secondario) all’interno dei loro impianti. Richiesta ribadita formalmente nelle scorse settimane. Sono 45 i giorni a disposizione di chiunque abbia interesse per presentare le proprie osservazioni all’autorità competente. Successivamente la regione valuterà se il progetto dovrà essere sottoposto a Via (Valutazione di impatto ambientale) o se invece si potrà escluderlo. Per i comitati cittadini, le due cementerie diventerebbero di fatto pseudo-inceneritori senza avere gli impianti adatti e quindi producendo emissioni per molti considerate più pericolose dell’anidride carbonica, facendo da apripista ad altre realtà della penisola.

«L’Europa ci chiede di sostituire i combustibili fossili con il Css», dice Massimiliano Pambianco, direttore della comunicazione del gruppo Colacem. «Ricordiamo che i Css sono una buona pratica attiva da oltre 20 anni in tutta Europa. In molte regioni italiane, le cementerie, tra cui quelle Colacem, li utilizzano da anni. I Css non determinano variazioni delle emissioni: sono un combustibile che sostituisce parzialmente l’attuale pet-coke, di origine fossile».

Recupero energetico

Il portavoce di Barbetti, l’altro stabilimento che si dichiara allineato con le posizioni di Colacem, assicura che le numerose migliorie realizzate nel corso degli anni all’impianto lo hanno reso sempre più green e adatto a bruciare Css. In effetti secondo il decreto Clini (dal nome del ministro dell’Ambiente del governo Monti, direttore generale dello stesso dicastero dal 1991 al 2011, nel 2020 rinviato a giudizio con l’accusa di corruzione, abuso d’ufficio e peculato) bruciare Css è considerato «recupero energetico».

Tuttavia nel maggio del 2018 l’Unione europea ha emanato altre due direttive nelle quali si stabilisce che soltanto il «recupero di materia» può essere definito «virtuoso». L’Europa richiede insomma di chiudere il ciclo dei rifiuti senza la loro combustione, ritenendo «l’incenerimento ipotesi recessiva». Anche l’Italia si è mossa e ha recepito la direttiva.

Le aziende assicurano che secondo i dati rilevati da Arpa (l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente) la qualità dell’aria a Gubbio è ottimale. In particolare da un grafico con i rilevamenti delle centraline di tutta l’Umbria emerge che le due centraline in prossimità dei cementifici segnano addirittura i valori più bassi di tutta la regione. Non è d’accordo Anselmo Barbetti, figlio di Fabio, socio fondatore dell’omonima cementeria e lui stesso socio fino al 1986 dell’azienda, dal 2003 impegnato in numerose battaglie contro l’inquinamento causato dai cementifici: «Bruciare i Css non può che peggiorare la situazione, perché questi impianti non sono nati per incenerire, non hanno la tecnologia adatta a prevenire l’emissione di sostanze insalubri. Tant’è che si dice “co-incenerimento”. Questi rifiuti, o non-rifiuti come li vogliono chiamare, vengono immessi a una temperatura di circa 750-800 gradi, sostando per 4,5 secondi a tale temperatura, ma questo basta per provocare una pre-combustione che può essere molto pericolosa».

Carlo Romagnoli, presidente Isde Umbria (Associazione italiana medici per l’ambiente), conferma che bruciare il Css provocherebbe l’emissione non solo di anidride carbonica, ma di metalli pesanti (mercurio e cadmio, cancerogeni certi) e anche di cloro. «C’è uno studio pubblicato nel 2018 (Cement plant emissions and health effects in the general population: a systematic review) sui danni provocati dai cementifici nei quali già dal 2002 si brucia il pet-coke (uno scarto del petrolio): aumento delle malattie respiratorie e delle malattie renali». I cementieri sostengono invece che «il Css cuoce direttamente nella parte del forno a 1.450 gradi». L’ingegnere per l’ambiente e il territorio Luciano Blois (università Guglielmo Marconi) ha visionato la domanda di assoggettabilità a Via fatta da Colacem e dice che «il Css dà origine a emissioni in atmosfera insalubri che superano la normale tollerabilità di metalli pesanti (nichel, arsenico, cadmio e cromo); inoltre sul suolo e nei corpi idrici a seguito del fall out degli stessi inquinanti emessi nell’aria». Secondo Blois l’emissione di anidride carbonica rimarrebbe la stessa per i cittadini, diminuirebbe soltanto a livello di contabilità ambientale. «Per quanto riguarda il resto d’Italia e d’Europa, non è vero che ovunque si brucia Css, basti pensare che in Italia nel 2019 sono state bruciate seimila tonnellate di Css, e Colacem da sola vorrebbe bruciarne 50mila tonnellate all’anno, questo significa quasi sicuramente comprarlo dall’estero».

Il prezzo

Qualche mese fa l’avvocata del Wwf Valeria Passeri ha mandato un’istanza di accertamento alla Guardia di finanza sui contributi non vincolati che le due cementerie erogano ogni anno ad Arpa: 94mila euro annui (47mila per cementificio). Le indagini sono tuttora aperte. «Questi soldi dovrebbero essere destinati alla manutenzione delle centraline, dicono i cementieri, ma essendo contributi non vincolati non c’è nessun rendiconto. Arpa inoltre dà spiegazioni in caso di “periodi di non normale funzionamento” soltanto dietro richiesta di accesso agli atti, altrimenti si limita a pubblicare una serie di asterischi. Questo è grave sotto il profilo della trasparenza». Anche perché le fumate anomale sono frequenti come sanno gli abitanti della “più bella città medioevale”.

Nel frattempo il comune di Gubbio sta mettendo in piedi un progetto di ecodistretto con l’obiettivo primario di «certificare i diversi fattori di pressione ambientale» e con l’ambizione di fare della cittadina un laboratorio ecologico. I cementieri, forti dell’appoggio di Confindustria, ribattono con una lettera aperta al sindaco in cui sostengono che «secondo i dati Arpa il problema, se esiste, è concentrato sulle emissioni da riscaldamento domestico (quasi il 90 per cento del totale)».

«I dati raccolti da Arpa», dice Thomas De Luca, consigliere regionale ternano in quota M5s, da anni impegnato sul fronte dell’attivismo ecologista sul territorio, «sui riscaldamenti domestici fanno riferimento soltanto a delle proiezioni». De Luca sposta il problema dei cementifici della conca eugubina a un livello regionale. In realtà la priorità di sviluppo della regione Umbria sembra essere costruire un nuovo inceneritore a Terni che bruci i fanghi di depurazione, oltre alla conversione di tre progetti per la produzione di Css. «Inoltre secondo i dati riportati da Auri (Autorità umbra per rifiuti e idrico)», spiega De Luca, «si evince che la vita residuale delle discariche arriva al massimo al 2031, anche con la produzione di Css a pieno regime: tutto ciò non risolverebbe il problema dei rifiuti e renderebbe del tutto insostenibile l’investimento per la realizzazione di questi impianti».

Tuttavia, il problema non è soltanto umbro. In Italia c’è una presenza massiccia di cementifici, circa 40, uno dei numeri più alti in Europa. Questo rende allettante la scelta di bruciare i rifiuti creando un volume di affari sostanzioso e il Css è visto come soluzione ai problemi di gestione dei rifiuti per molte amministrazioni locali. Una mozione presentata al Senato lo scorso novembre chiede una revisione «del regolamento recante disciplina dell’utilizzo di combustibili solidi secondari e il testo unico ambientale». Una lettera aperta firmata da 60 comitati è stata scritta all’allora ministro dell’Ambiente Sergio Costa, per chiedere l’abrogazione del decreto Clini e lo stop alla combustione di rifiuti e loro derivati nei forni da cemento. Decreto che peraltro distingue tra due tipi di Css, da una parte Css “combustibile”, dall’altra Css “rifiuto”, peculiarità tutta italiana che lascia troppo spazio all’interpretazione.

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