È una partita a scacchi quella che contrappone interessi economici e buona politica per il progetto del nuovo stadio di San Siro a Milano. Uno dei maggiori, e allo stesso tempo più controversi, piani di sviluppo immobiliare d’Italia, che dovrebbe ridisegnare parte del quartiere a nord ovest della città lombarda con un impatto che andrà ben oltre il catino da 65mila posti dove giocheranno Inter e Milan quando il passaggio dal vecchio al nuovo stadio sarà completato.

Oltre al nuovo stadio, che sarà privato a differenza del Meazza, sono previste ampie aree commerciali e residenziali e la rigenerazione del vecchio San Siro, di cui resteranno solo le due curve. Il resto sarà, infatti, smantellato dopo che, lo scorso maggio, la presidente della Commissione regionale lombarda per il patrimonio culturale, Francesca Furst, insediatasi nel ruolo solo una ventina di giorni prima della sua decisione, ha negato l’esistenza di un vincolo architettonico. Ha sostenuto che l’originario impianto datato 1925/26 è ormai residuale rispetto alle successive modifiche e quindi non è meritevole di tutela.

Il Comune di Milano ha scritto a Milan e Inter per chiedere ai due club chiarimenti e approfondimenti sul progetto. A partire dalla necessità «di poter accedere alla documentazioni che attesti il possesso dei requisiti di partecipazione dei soggetti proponenti e l’effettiva titolarità delle azioni della società proponenti». Ma anche «opportuni chiarimenti» rispetto alla quantità e alla qualità degli spazi che resteranno a uso pubblico.

Le due squadre milanesi sono da molto tempo impegnate a chiudere l’accordo con il comune per questo affare immobiliare da ben 1,2 miliardi di euro. La corposa cifra che ama ripetere spesso il presidente del Milan Paolo Scaroni, il grande regista di questa partita. Un manager abituato a ragionare a nove zeri, tanti quanti erano i dividendi che staccava al ministero dell’Economia quando era amministratore delegato dell’Eni.

Entro qualche settimana, secondo quello che è filtrato da palazzo Marino, sede del comune, la giunta guidata dal sindaco Giuseppe Sala potrebbe rilasciare la “dichiarazione di pubblico interesse” per questo progetto da lui fortemente voluto. È la chiave che aprirebbe poi a Inter e Milan la firma della convenzione urbanistica, indispensabile per blindare quell'area comunale al loro disegno di riqualificazione immobiliare. A quel punto la partita sarebbe chiusa, e chi non vede di buon occhio tutto quel cemento nel quartiere non avrebbe che da ingoiare il rospo, o traslocare.

Sala, che proprio il giorno di Sant’Ambrogio ha annunciato ufficialmente la sua ricandidatura alle comunali come candidato del centrosinistra, se sarà rieletto potrà così seguire anche la fase di realizzazione. E potrà magari tagliare il nastro, come vorrebbe fare con le Olimpiadi invernali del 2026. Scaroni, dal canto suo, non perde l’occasione per ricordare che se le autorizzazioni arrivassero tutte velocemente si potrebbe partire già nel 2021 con i lavori. Come una boccata d’ossigeno nel prossimo anno, elettorale, per questa Milano in profonda crisi da Covid. Dietro questa facciata rassicurante, però, la situazione è tutt’altro che idilliaca, perché i nodi da sciogliere sono ancora tanti. E i colpi di scena non mancano.

Il parere del comitato

A cominciare dalla questione della proprietà del Milan che si perde in una lunga catena societaria che passa per il Lussemburgo e prosegue per altre legislazioni molto opache, sollevata dalla trasmissione Report lo scorso novembre e ripresa dalla commissione Antimafia del comune, presieduta dal piddino David Gentili. Il Milan è del fondo americano Elliott, come si è sempre lasciato intendere, o degli oscuri finanzieri italiani Gianluca D’Avanzo e Salvatore Cerchione, com’è emerso dalle carte lussemburghesi?

Se ne è parlato in una seduta della commissione dello scorso primo dicembre nella quale era presente anche il Comitato antimafia, voluto dallo stesso Sala come organo consultorio in materie di antiriciclaggio. Al suo interno ci sono ex magistrati, professionisti e professori universitari. Il tema della proprietà del Milan è stato trattato in connessione a un articolato parere discusso dal sindaco circa un mese fa e di cui Domani aveva dato notizia in anteprima.

Chi è il beneficiario?

In sostanza si chiede al primo cittadino di emanare un regolamento che imponga a chi riceve una convenzione urbanistica, una concessione, un’agevolazione o un finanziamento, ma anche un appalto, di rivelare prima il titolare effettivo che ne avrebbe goduto, pena far saltare l’affare, anche se miliardario e spinto dalle due glorie calcistiche cittadine. In questo momento, per quanto paradossale possa sembrare, le amministrazioni pubbliche non sono tenute a sapere chi è il titolare effettivo delle aziende con cui contrattano. E tra queste possono esserci benissimo società infiltrate dalla criminalità organizzata, o lunghe catene societarie che portano a paradisi fiscali opachi.

Nel 2018 l’Anac, Autorità nazionale anti corruzione, allora presieduta da Raffaele Cantone, aveva escluso che le amministrazioni pubbliche potessero chiedere il titolare effettivo. Durante la commissione del primo dicembre il segretario generale Fabrizio Dall’Acqua aveva rassicurato che il comune avrebbe chiesto nuovamente all’Anac di esprimersi, lasciando intendere che ci sarebbero margini per ottenere il via libera, ma con tempi non brevi. Arriverà a giochi fatti?

Caso, o contromossa sulla scacchiera di San Siro, solo 48 ore dopo la commissione di Gentili, è emerso che il fondatore del fondo Elliott, Paul Singer, risulta ora essere il titolare di oltre il 95 per cento di Project Redblack, la società lussemburghese a monte nella catena di controllo del Milan. D’Avanzo e Cerchione, che restano nel consiglio d’amministrazione del Milan insieme a Scaroni, all’ex a.d di Telecom Italia Marco Patuano, ora numero uno della municipalizzata lombarda A2a e al costruttore Massimo Ferrari, direttore generale dell’ex Salini Impregilo (ora Webuild), sono scesi al 4 per cento e poco più. Secondo il sito specializzato Calcio & Finanza, il passaggio del 45 per cento delle quote di Project Redblack, che ha permesso a Elliott di diventare chiaramente il proprietario del Milan, sarebbe avvenuto alla cifra simbolica di un euro. Un po’ poco per avere il controllo totale della attuale capolista del campionato di Serie A. Ma forse così le malelingue sono accontentate.

Fondi esteri

Caso chiuso? Non proprio. C’è da sciogliere il nodo vero: capire chi finanzia la costruzione del nuovo complesso. Bisogna mettere sul piatto un miliardo e duecento milioni di euro, cifra che in questo momento non si rintraccia nei bilanci di Inter e Milan, zeppi di perdite. Scaroni ha parlato genericamente di «fondi esteri». Abbiamo provato a chiedere allo squadrone di comunicatori ingaggiati dalle società per questo progetto (sono al lavoro sul dossier alcune delle maggiori società di pr italiane) da chi provenissero. Impossibile ottenere una risposta.

Per questo progetto sarà costituita una società ad hoc, magari gestita da uomini vicini a Elliott ma estranea alle due squadre, che raccoglierà e impiegherà questi fondi? Probabile, dato che ben difficilmente il miliardo passerà per i due club. Si tratta di congetture ovviamente, perché anche a questa domanda non c’è stata risposta. Ma se fosse così, perché a trattare col comune sono i numeri uno di Inter e Milan e non coloro che poi saranno i titolari della convenzione urbanistica per il grande complesso immobiliare? Le stranezze non finiscono qui. In chiusura di seduta della commissione antimafia del primo dicembre il consigliere Pd Basilio Rizzo ha informato di aver chiesto una copia del piano San Siro depositata in comune per approfondire i tanti temi aperti.

L’amministrazione comunale si è detta disposta a metterla a disposizione al consigliere, a patto però che non ne divulghi i contenuti. Come se fosse un patto confidenziale tra privati e non ci sia, invece, un interesse pubblico nel portare a conoscenza dei milanesi i dettagli del piano.

In questa partita tutta amministrativa resta sullo sfondo, come uno sfocato convitato di pietra, l’indagine penale coordinata dal procuratore aggiunto della procura di Milano Fabio De Pasquale. L’indagine è nata dal passaggio di proprietà del Milan da Berlusconi all’uomo d’affari cinese Yonghong Li, uscito velocemente di scena per l’impossibilità di ripagare i crediti proprio a Elliott. Non si sa nulla sullo stato delle indagini.

Ben più chiaro è che la Milano dei grandi progetti immobiliari ha bisogno di più trasparenza. La pretesa di trasparenza dovrebbe però andare oltre il nuovo San Siro e puntare dritto al business della riqualificazione degli ex scali ferroviari: progetti per svariati miliardi di euro, tra cui il villaggio delle Olimpiadi invernali 2026 da costruire nell’ex Scalo romana, acquisito da una cordata guidata dalla Coima di Manfredi Catella. E tanti altri progetti per i quali il comune dovrebbe attrezzarsi di strumenti di trasparenza adeguati a comprendere da dove viene e a chi torneranno i frutti di quel fiume di denaro.

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