Il 26 settembre, a San Marino, si andrà alle urne per decidere sulla legalizzazione dell’aborto. La campagna referendaria delle scorse settimane si è conclusa il 24, venerdì, e ha visto contrapporsi in modo molto acceso i due comitati avversari, l’Unione delle donne sammarinesi (Uds), promotore del referendum, per il Sì e Uno di noi per il No.

In Repubblica interrompere volontariamente una gravidanza è ancora considerato un reato punibile con il carcere, dai 3 ai 6 anni. Gli articoli che lo stabiliscono sono il 153 e il 154 del codice penale sammarinese: il primo vieta l’interruzione della gravidanza senza eccezioni, neppure in caso di stupro, incesto o malformazione del feto; il secondo puntualizza che l’aborto di un figlio illegittimo, seppur punito, prevede pene meno severe. La sola ammissibilità dell’aborto terapeutico, in base all’articolo 42, riguarda «lo stato di necessità», ovvero il pericolo di vita della madre e dipende dall’autorizzazione di un giudice. Un codice antico, che risale al 1865 e che non è mai stato modificato in merito neanche con la riforma del 1974, appena un anno dopo la parificazione dei diritti delle donne e l’accesso alle cariche elettive.

«San Marino non può più stare nelle retrovie dei paesi moderni. Quasi tutti i paesi europei hanno legalizzato l’aborto da oltre quarant’anni, non possiamo più permetterci di dire, anche in contesti internazionali, che San Marino mette in prigione le donne che fanno questa libera scelta», afferma Karen Pruccoli, presidente dell’Uds. Secondo Antonella Mularoni, referente del comitato Uno di noi, invece, «è importante che vinca il no, perché il quesito referendario, se approvato, rischia di fare introdurre nel nostro ordinamento una legislazione molto più abortista di altri paesi», spiega l’ex segretaria di Stato agli Affari esteri, sottolineando la necessità di riaffermare il valore della vita che è sempre stato tutelato dall’ordinamento sammarinese.

Servizio a cura di Carmen Baffi e Michele Valente

Verso la legalizzazione

Sul monte Titano, i tentativi di legalizzare l’aborto negli anni sono stati molteplici, ma «sono sempre stati regolarmente messi in un cassetto da una politica che ha preferito lasciare le donne da sole, non tutelandole economicamente con l’assistenza sanitaria», dichiara ancora Pruccoli, aggiungendo che si tratta di un’ipocrisia che va superata, oltre alla necessità di «essere un paese laico che regolamenti un fenomeno esistente in modo civile e moderno».

Nel 2003, il progetto di legge promosso dalla consigliera Vanessa Muratori per depenalizzare e regolamentare l’interruzione volontaria di gravidanza è stato respinto dalla commissione Sanità. Nel 2016, i cittadini hanno chiesto, con tre istanze d’Arengo presentate al Consiglio grande e generale, il parlamento monocamerale della repubblica di San Marino di depenalizzare l’aborto in caso di stupro, pericolo di vita e malformazioni gravi del feto. Tutte le richieste della cittadinanza, però, dopo essere state approvate, non si sono mai trasformate in legge e interrompere la gravidanza ha continuato a essere reato.

A marzo 2021, quando il Collegio garante, la Corte costituzionale di San Marino, ha dichiarato ammissibile il questito referendario propositivo sulla depenalizzazione e legalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza presentato dal comitato per il Sì, dando il via a una raccolta firme terminata a fine maggio scorso. Oggi ai cittadini viene sottoposto un quesito «molto semplice», spiega Pruccoli, in cui si chiede loro se vogliono che «sia consentito alla donna di interrompere volontariamente la gravidanza entro la dodicesima settimana di gestazione, e anche successivamente se vi sia pericolo per la vita della donna o se vi siano anomalie e malformazioni del feto che comportino grave rischio per la salute fisica o psicologica della donna». Proprio intorno a questa semplice domanda, negli ultimi mesi si è aperto un dibattito molto acceso. Mularoni si concentra in particolare sul fattore tempo, ovvero i termini previsti dal quesito referendario, «che per noi vuol dire anche fino al nono mese», spiega Mularoni. Su questa dichiarazione è in disaccordo Pruccoli, la quale attacca il comitato avversario di fare «disinformazione e mistificazione del quesito».

Anche le forze politiche sammarinesi sono divise. Il Partito democratico cristiano sammarinese, che ha ottenuto il 33 per cento dei consensi alle elezioni politiche del 2019, è contrario alla depenalizzazione dell’aborto. Il Movimento civico Rete, alleato e seconda forza politica in Consiglio, si è invece schierato a favore, insieme al principale partito di opposizione, Libera. Per il partito di maggioranza, inoltre, fra le ragioni per sostenere il No ci sono quella del mancato coinvolgimento del padre nella decisione di praticare un’interruzione volontaria della gravidanza e la possibilità per le minori di abortire su autorizzazione del giudice tutelare.

Oltreconfine

Nonostante a San Marino l’aborto sia illegale, le donne sammarinesi non hanno mai rinunciato a interrompere una gravidanza indesiderata o rischiosa. Basta infatti varcare i confini della bolla ottocentesca per vedersi riconosciuto un diritto umano, che ancora oggi ha un caro prezzo. In Italia, infatti, l’interruzione volontaria di gravidanza è legale dal 1978. Qui, prima della legge 194 di quell’anno, più di 20mila donne morivano ogni anno per le conseguenze dell’aborto clandestino. Ma la legge non è bastata. Tuttavia, a oggi, in Italia gli aborti clandestini sono ancora tra i 10 e i 13mila annui, a causa di un sistema che consente l’ingresso negli ospedali degli obiettori di coscienza. E il costo da pagare per le cittadine non italiane che vogliono abortire si aggira intorno ai 2mila euro, secondo quanto riporta il movimento femminista Uds.

Anche i dati Istat sulle interruzioni volontarie di gravidanza effettuate da donne residenti a San Marino nelle province di Forlì-Cesena, Pesaro, Urbino e Rimini tra il 2005 e il 2019, presentati dal comitato contrario Uno di noi, forniscono un quadro della situazione: nel 90 per cento dei casi l’aborto è stato praticato nel vicino ospedale di Rimini, dove nel 2013 si è registrato un picco di 30 aborti. Tuttavia, il fenomeno sembra risultare in calo negli ultimi anni, con sole sette interruzioni volontarie di gravidanza nel 2019.

Colpi bassi

Nelle scorse settimane, i comitati avversari si sono scontrati su più fronti, ma ciò che più ha fatto discutere è stata, in particolare, l’organizzazione della campagna referendaria. Sono state diverse le note stampa pubblicate da entrambe le parti per denunciare, reciprocamente, atti vandalici contro i manifesti elettorali. «Ci saremmo aspettati una campagna su posizioni, sì, inconciliabili, ma più seria», dice Pruccoli, che rivendica a nome del suo comitato di aver condotto una campagna informativa su un tema complesso, che ha innumerevoli sfaccettature e che va affrontato, a suo dire, con argomentazioni serie, sia da un punto di vista giuridico che medico-scientifico.

Camminando per le strade di San Marino, in effetti, si notano cartelloni strappati, caduti per terra, scarabocchiati. Ma uno fra tutti, proposto dal comitato per il No ha fatto discutere più di tutti gli altri.

«Io sono un’anomalia», si legge sul manifesto in questione, «per questo ho meno diritti di te?». Sullo sfondo un bambino con sindrome di Down, di fatto strumentalizzato per questioni propagandistiche. Mularoni, nonostante l’indignazione di molti sammarinesi e la condanna del segretario di Stato all’Informazione, Teodoro Lonfernini, non sembra fare passi indietro sulla questione. «Un aspetto che per noi ha molta importanza è quello delle diseguaglianze che questo quesito creerebbe, in particolare fra le persone che vengono considerate anomalie e persone che vengono considerate – precisa – tra virgolette, normali». D'altronde, «tutte le campagne sono aspre», poco importa il resto.

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