A un anno dall’inizio della pandemia, la condizione socioeconomica delle donne è a serio rischio di peggioramento. A lanciare l’allarme è il report Evidence review of the global childcare crisis and the road for post Covid-19 recovery and resilience stilato dall’International Development Research Centre con il contributo della Fondazione Bill & Melinda Gates.

«Oggi non ci preoccupiamo più solo del fatto che i progressi sull’uguaglianza delle donne si fermano – scrivono i ricercatori nel documento – stiamo vedendo la possibilità che tali progressi siano invertiti».

Il rapporto parte dall’analisi dell’impatto che il Covid-19 ha avuto sulle condizioni di vita delle donne. Molte di loro svolgono lavori sottopagati e appartengono a una fascia di popolazione precaria che ha accusato di più gli effetti delle misure restrittive introdotte per affrontare la pandemia. «A questo – scrivono nel documento – si aggiunge un altro fardello, ovvero che il lavoro di assistenza all’infanzia non retribuito delle donne sta aumentando vertiginosamente» arrivando così a «un punto critico».

L’assistenza all’infanzia

Secondo il rapporto, tale forma di assistenza deve essere affrontata nei vari piani di recupero varati per uscire dalla crisi sanitaria ed economica, con l’obiettivo di «promuovere l’uguaglianza di genere». Infatti, garantire un’assistenza all’infanzia a prezzi accessibili permetterebbe alle madri di partecipare alla forza lavoro e di creare anche nuovi posti di occupazione.

«Limitare la spesa per il lavoro di cura sarebbe miope, quando più donne lavorano, le economie crescono» si legge nel documento. Infatti, il divario di genere nella partecipazione alla forza lavoro nei paesi dell’Ocse costa all’economia circa il 15 per cento del Pil.

Nel 2018, circa 606 milioni di donne non erano disponibili a lavorare a causa di responsabilità nella cura dei bambini, rispetto a soli 41 milioni di uomini. Tuttavia, la pandemia ha portato questa crisi a livelli senza precedenti. Per contrastare la diffusione del contagio, il 90 per cento dei paesi ha chiuso le scuole, questo significa che circa 1,5 miliardi di bambini sono rimasti a casa, e sono le donne quelle che si stanno caricando sulle spalle il peso della loro educazione.

Secondo il rapporto «nella maggior parte dei paesi le donne impiegano più di trenta ore a settimana nella cura dei bambini, quasi l’equivalente di un lavoro a tempo pieno». Il numero aumenta per le donne più emarginate, quelle che hanno un basso reddito, chi lavora nel settore informale e chi vive nelle zone rurali dove i servizi pubblici faticano ad arrivare.

«Eppure – si legge nel rapporto – finora non abbiamo visto la mobilitazione di aiuti pubblici, privati ed esteri. Finanziamenti che sono urgentemente necessari per affrontare questa crisi».

Invertire la crisi e i piani di recupero

La situazione è più grave nei paesi poveri e in via di sviluppo, dove i pacchetti di aiuti varati per contrastare la pandemia hanno fallito nell’affrontare la questione dell’assistenza infantile. In Africa, per esempio, solo 4 delle 113 misure di risposta al Covid-19 hanno preso in considerazione il sostegno all’assistenza non retribuita.

Oggi, il settore educativo dell’infanzia rischia di crollare. Le chiusure e i timori di esposizione al virus hanno portato a un forte calo della domanda di lavoro a tutti i livelli. Le strutture per l’infanzia stanno chiudendo in massa, mettendo a rischio migliaia povertà migliaia di donne.

Secondo il report, il problema è che l’intero settore è «tristemente oscurato» e spesso «non viene considerato come un vero lavoro». «Le donne non dovrebbero essere costrette a scegliere tra mettere il cibo in tavola o prendersi cura dei bambini – si legge nel documento – e i politici devono cogliere l’opportunità di correggere questa crisi».
Attualmente, solo l’8 per cento delle risposte economiche globali ha affrontato il tema dell’assistenza non retribuita, compresa la cura dei bambini, e ben due terzi dei paesi non hanno adottato alcuna misura. Per far fronte a questa situazione chi ha lavorato al rapporto chiede di intervenire in tre diversi ambiti: innanzitutto bisogna riconoscere il lavoro di cura non pagato e deve essere ridistribuito. Per fare ciò bisogna aumentare i sussidi, finanziare l’aumento dei costi per l’assistenza all’infanzia, dare vita a programmi di assistenza alle famiglie monoparentali e soprattutto istituire un fondo per gli assistenti che stanno soffrendo di questo periodo di lockdown.

In secondo luogo, i governi devono aumentare i finanziamenti pubblici e privati e migliorare il sostegno al reddito sia per i lavoratori dei centri che per quelli domestici.

Infine, deve essere garantita la rappresentanza sindacale dei lavoratori del settore per dialogare con le istituzioni statali e rafforzare così le azioni collettive.

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