Il governo italiano si muove per la liberazione di Ikram Nazih, la studentessa italo-marocchina reclusa in un carcere di Marrakesh dal 28 giugno scorso. Ma lo fa in silenzio e con discrezione. Una linea sposata in primis dalla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese che lo scorso 16 luglio si è recata in visita istituzionale proprio in Marocco. Nel comunicato ufficiale non c’è traccia del caso della 23enne condannata a tre anni di carcere perché colpevole, secondo la giustizia marocchina, di blasfemia a causa della condivisione di un post che, con un gioco di parole, trasformava la sura dell’abbondanza in sura del whisky.

«Gli incontri del ministro», si legge nella nota del Viminale, «hanno offerto l’occasione per fare il punto sull’attuale stato dei rapporti di collaborazione tra due Paesi uniti da legami di amicizia». I temi affrontati ufficialmente sono stati il partenariato strategico italo-marocchino, il rafforzamento della cooperazione nel settore della sicurezza e la gestione dei flussi migratori.

A porte chiuse

Eppure risulta a Domani che la ministra avrebbe portato avanti delle trattative a porte chiuse con i tre componenti dell’esecutivo di Rabat incontrati nel corso della visita: il ministro degli Affari esteri e dei marocchini residenti all’estero, Nasser Bourita, il ministro dell’Interno, Abdelouafi Laftit, e il ministro dell’Habous e degli Affari islamici, Ahmed Taoufiq.

Lo scopo è quello di portare a casa il prima possibile Ikram che, secondo fonti vicine alla diplomazia italiana, sarebbe sconvolta da quello che è accaduto. Il "gioco della sura del whisky" aveva suscitato delle critiche dai suoi amici di Facebook e per questo la ragazza aveva deciso di cancellarlo poco dopo la sua pubblicazione. Ma tutto ciò era accaduto nel 2019 e la 23enne, che frequenta l’Università a Marsiglia, non avrebbe mai immaginato che quel gesto avrebbe provocato una denuncia a suo carico e fatto addirittura scattare un arresto a due anni di distanza.

«Il governo marocchino ha una vasta rete di associazioni che possono essere utilizzate in questo genere di casi», chiarisce Hicham Mansouri, giornalista investigativo marocchino, rifugiato politico in Francia. Il suo nome compare tra i 180 reporter nel mondo spiati dallo spyware Pegasus (il Marocco è uno dei dieci clienti principali di Nso, l’azienda israeliana che lo produce). «È un sistema di organizzazioni e persone che controllano le attività online e sono anche pronte ad agire contro un bersaglio quando necessario».

Il passaporto non basta

Il caso è delicato, lo ripetono come un mantra tutte le persone vicine al governo italiano che in questi giorni sono al lavoro sul dossier, e lo dimostra il fatto che Ikram non sia la prima persona con doppio passaporto a finire dietro le sbarre. Lo scorso 6 febbraio è successo a Chafik el-Omrani, titolare di doppio passaporto, marocchino e statunitense, e noto agli utenti di YouTube, con il nome 3robi F Merican, per i suoi video che criticano il governo marocchino. El-Omrani è stato arrestato all’aeroporto di Rabat con l’accusa di «commettere online atti di natura criminale» pubblicando dei video «dispregiativi nei confronti di istituzioni costituzionali, organi e funzionari pubblici». Lo youTuber è stato rilasciato a maggio dopo aver scontato una condanna di tre mesi di reclusione.

«Una pena meno severa perché aveva la doppia cittadinanza», commenta Mansouri. «Ma sufficiente a far passare il messaggio che anche all’estero il Marocco spia i suoi cittadini. Ovunque tu ti trovi non sei mai davvero al sicuro e il passaporto di un paese europeo o degli Stati Uniti non ti garantisce alcuna protezione».

Un altro caso riguarda Maâti Monjib, giornalista, storico e attivista per i diritti umani, arrestato a dicembre 2020 all’interno di un’indagine per «riciclaggio di denaro sporco» è stato condannato il 27 gennaio 2021 a un anno di carcere sulla base di un nuovo dossier per «attentato alla sicurezza interna dello stato», «frode» e «altri reati» che non sono specificati nella sentenza.

Ora Monjib si trova in libertà provvisoria. E’ stato rilasciato a marzo dopo 19 giorni di sciopero della fame ma i processi suo carico continuano. Anche lui ha il passaporto francese ma gli attivisti e le ONG che si occupano del suo caso accusano la Francia di non aver mai fatto nulla per alleggerire la sua posizione con la giustizia marocchina.

Ma la differenza tra il caso di Ikram e quelli di el-Omran e Monjib è evidente. La giovane studentessa, infatti, non è impegnata apertamente sulle questioni politiche marocchine. È nata in Italia e non ha mai vissuto in Marocco se non per brevi periodi estivi.

Titolino

Come ci riferisce in anonimato una ragazza che appartiene alla comunità musulmana in Italia e che segue Ikram sui social, il suo account non ha un seguito così importante da poterla definire un’influencer, tantomeno sui temi politici.

Secondo Mansouri, però, sono molti i marocchini all’estero abituati ad autocensurarsi sui social proprio per timore di finire nei guai. «Molti amici e miei connazionali in Europa hanno interrotto tutte le attività sui social network. Hanno paura persino di condividere o mettere like a un post».

Intanto in Italia, mentre come abbiamo visto il governo sceglie la diplomazia del basso profilo, sul fronte parlamentare il caso di Ikram continua a montare. Alla prima interrogazione parlamentare depositata dal leghista Massimiliano Capitanio, lo scorso primo luglio, e a quella annunciata proprio a Domani dal responsabile della politica estera del Pd Emanuele Fiano, se ne è aggiunta ieri una terza a firma di Elisa Siragusa, deputata del Movimento 5 stelle.

La strada da percorrere, però, resta complicata. «La diplomazia italiana non ha armi davanti a un reato ritenuto così grave dal governo marocchino», dice l’ambasciatore Armando Sanguini, consulente dell’Ispi. «La richiesta della grazia reale è un passaggio fondamentale ed è la mossa giusta per ottenere la liberazione o la riduzione della pena».

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