Nei giorni in cui la Lega di Matteo Salvini ha iniziato una campagna mediatica per riscrivere la storia dei rapporti con la Russia, in Francia la commissione parlamentare d’inchiesta sulle interferenze straniere ha concluso il suo lavoro: nella relazione finale si legge che Marine Le Pen, leader del Front National e ora del Rassemblement National, è la «cinghia di trasmissione della Russia in Europa». Lega e Rassemblement sono nello stesso gruppo all'europarlamento, Identità e democrazia. La migliore alleata di Salvini a Bruxelles , alla quale lo lega amicizia, stima e comune visione geopolitica, è descritta nelle 218 pagine del report anticipato da Mediapart e letto integralmente da Domani, come a capo di un partito totalmente asservito ai voleri del Cremlino.

La commissione cita naturalmente la questione finanziaria svelata dal quotidiano Mediapart ormai alcuni anni fa, cioè il prestito ottenuto da una banca legata al governo russo pari a 11 milioni di euro. Ma mette in fila molti altri fatti e nomi. In particolare si sofferma moltissimo su una figura: Konstantin Malofeev, soprannominato l’oligarca di Dio, a capo di un impero finanziario e imprenditore dei media con il marchio Tsargrad, voce degli ortodossi e crocevia di intellettuali, filosofi e sovranisti di mezza Europa che si battono contro l’aborto e i diritti Lgbt+.

Malofeev, ha sottolineato la commissione, è il punto di contatto con il nostro paese e la Lega di Salvini. «I partiti di estrema destra hanno effettivamente sostenuto la Russia», ha dichiarato alla commissione Nicolas Tenzer, presidente del centro per gli studi e le ricerca sulle decisioni politiche (Cerap). Tra questi c’è la Lega di Matteo Salvini. Insieme a Le Pen e altri rappresentano «un internazionale fortemente incoraggiata dal Cremlino».

Malofeev è molto legato a Gianluca Savoini, l’ex portavoce del leader leghista, protagonista assoluto della trattativa del Metropol il 18 ottobre 2018, durante la quale lui, assistito da altri due italiani, ha tentato di contrattare con tre russi una partita di gasolio a un prezzo super scontato con l’obiettivo di ricavarne un finanziamento per la Lega in previsione delle elezioni europee dell’anno successivo. L’oligarca, si legge nel report del parlamento francese, «ha lavorato per riunire e federare movimenti europei di estrema destra».

In questo quadro assumono un valore particolare i viaggi a Mosca di Savoini, che spesso ha incontrato Malofeev, anche nel periodo in cui l’oligarca era sotto sanzioni per il sostegno all’annessione della Crimea. Oltre a Malofeev, il rapporto indica in Aleksandr Dugin il terminale della rete sovranista filorussa: pure lui grande amico di Savoini, tanto che quest'ultimo lo ha scelto come presidente onorario di Piemonte-Russia, una delle varie associazioni create dall'ex portavoce di Salvini.

Revisionismo

Il tentativo della Lega di riscrivere la vicenda del Metropol fa a pugni con la storia. Il Metropol non è stata una macchinazione, come vorrebbero far credere a distanza di cinque anni i leghisti, peraltro non del tutto compatti al loro interno sull’operazione di killeraggio mediatico messa a punto. Tre anni di indagini della procura di Milano, seppure finite con l’archiviazione, confermano non solo che la trattativa c’è stata, ma mettono al centro Savoini.

La Lega sta provando adesso a veicolare una narrazione surreale: Savoini è solo una vittima dell'avvocato Gianluca Meranda, dei giornalisti autori dello scoop e di un gruppetto di agenti segreti russi, uno dei quali era seduto al tavolo con Savoini quel 18 ottobre 2018. In pratica i russi avrebbero partecipato a una messinscena, cioè l'offerta di una finanziamento alla Lega, con lo scopo di far uscire la storia sui media e così danneggiare la Lega stessa.

S. e il circolo dei russi

Nella hall dell'hotel Metropol, insieme ai tre italiani (Savoini, Meranda e Francesco Vannucci), c’erano tre emissari di un pezzo dell’establishment putiniano. Due di altissimo profilo: Ilya Yakunin e Andrei Kharchenko. Yakunin è uno stretto collaboratore di Vladimir Pligin, avvocato di fama a Mosca, politico di Russia Unita. Il socio di studio di Pligin è Dymitri Kozak, che ai tempi del Metropol ricopriva l’incarico di vice premier della Federazione Russa con delega all’Energia. Kharchenko è invece un uomo dei servizi segreti russi (come rivelato dall’Espresso nel 2021) e collaboratore di Aleksandr Dugin.

Dugin e Malofeev, entrambi grandi ammiratori di Putin. Entrambi citati dalla commissione parlamentare d'inchiesta francese come protagonisti delle ingerenze russe in Europa. Entrambi presenti nella lunga trattativa per finanziare la Lega, di cui il Metropol è stata una tappa, importante ma soltanto una tappa. I pm, nella loro richiesta di archiviazione, scrivono che dalle indagini è emerso che anche «Kharchenko e Dugin hanno partecipato alla trattativa per la vendita di prodotti petroliferi in qualità di rappresentanti di alti esponenti dell’establishment russo, i quali si sarebbero impegnati a favorire la conclusione dell’operazione con lo scopo di assicurare un sostegno finanziario al partito italiano Lega Salvini premier».

Basterebbe questo album di istantanee per chiedere alla Lega di fare chiarezza sul ruolo di Savoini in Russia. Invece, a oltre quattro anni dalle rivelazioni sul Metropol, Salvini non ha mai condannato il suo ex portavoce per le azioni intraprese. L'ultima sua dichiarazione sul tema è del febbraio 2020: Savoini? «Lo conosco come una persona perbene e lo riterrò tale sino a prova contraria».

Dopo l'archiviazione disposta dal tribunale di Milano, Salvini non ha evidentemente cambiato idea sul suo ex portavoce. Eppure Savoini è stato protagonista assoluto della trattativa, come si legge nel decreto di archiviazione firmato dalla gip Stefania Donadeo: «Gli atti posti in essere erano inequivocabilmente diretti verso l'obiettivo finale di finanziare illecitamente il partito Lega, grazie ai rapporti che Savoini, presidente dell'associazione culturale Lombardia-Russia, aveva saputo tessere con influenti personaggi del mondo politico, economico e culturale russo».

Leggendo i fatti messi in fila dal tribunale di Milano, Savoini sembra tutto fuorché la vittima di un complotto. Il 5 e il 6 giugno 2018, insieme a Vannucci e Meranda, si è recato a Mosca per incontrare alcune persone tra cui proprio Malofeev. A quel tempo l'oligarca russo è già nella lista dei sanzionati dell'Ue, e i giornali internazionali hanno già scritto di lui come finanziatore occulto di Marine Le Pen.

Perché allora Savoini lo va ad incontrare? Il 4 luglio e l'1 agosto l'uomo scelto da Salvini per tenere i rapporti con la Russia torna a Mosca, questa volta da solo. Da qui Savoini contattava Meranda, il quale tre giorni più tardi gli inviava una bozza di fornitura petrolifera in cui sono riportate le stesse condizioni di cui si discuterà un paio di mesi dopo al Metropol. L'uomo di Salvini, poi, girava la bozza dell'accordo a Dugin. Dunque, sembra essere proprio Savoini colui che tiene i rapporti con i russi, cioè con coloro che dovrebbero finanziare il partito. Eppure Salvini continua a stare dalla parte del suo ex portavoce. Perché?

Nell'inchiesta della Procura di Milano c'è un passaggio che suggerisce la risposta. Il 26 settembre Meranda e Vannucci si erano dati appuntamento a Roma. Assieme a loro c'era Yakunin, che ritroveremo al Metropol un mese più tardi. Terminato l'incontro Meranda spediva un messaggio WhatsApp a Savoini: «Fatto incontro... Mi ha chiesto bozza contratto che, ha detto, firmeremo tra tre settimane, subito dopo il previsto incontro tra MASA e DMKO».

La guardia di finanza annota: «La contestualizzazione del messaggio consente di ricollegare le sigle (MASA DMKO) usate rispettivamente a Matteo Salvini e Dymitry Kozak che in effetti avranno un incontro il 17 ottobre 2018 a Mosca...». L'incontro tra Kozak e Salvini era avvenuto in gran segreto, nessuna traccia sull'agenda ufficiale di quel giorno del ministro e vicepremier italiano. Salvini era scomparso dai radar dopo il convegno per riapparire 12 ore dopo in aeroporto a Mosca, in partenza per l'Italia, a poche ore dall'inizio della trattativa del Metropol.

Lega fragile

Sarebbe interessante se la Lega, che ora invoca l'intervento del Copasir(l’organo di controllo parlamentare sull’attività dei servizi segreti) e dei magistrati, citasse anche questi fatti che, lo capiamo, sono molto imbarazzanti anche per l'alleata e presidente del consiglio Giorgia Meloni. Lei, sì, filoatlantica ormai fino all'osso, che guarda alle prossime europee come il momento per conquistare i palazzi Bruxelles con l'alleanza tra conservatori e popolari. Difficile tirare dentro Salvini e Le Pen, ancora insieme nel eurogruppo parlamentare dei sovranisti, e che proprio per le ambiguità sulla Russia rischiano di restare fuori da giochi. Ecco perché il tentativo di cancellare i fatti del Metropol sembra l'ultimo atto disperato di un partito in crisi di identità.

© Riproduzione riservata