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Sul tavolo della 76esima assemblea generale della Cei (conferenza episcopale italiana) che si chiude venerdì 27 maggio rimane un dossier scottante, quello degli abusi sessuali nella Chiesa. Ed è proprio questo il nodo che il nuovo presidente dei vescovi, il cardinale Matteo Maria Zuppi, è chiamato ad affrontare. Infatti, mentre in tutto il mondo cattolico deflagra lo scandalo della violenza sui bambini e sulle religiose, dai vescovi italiani ancora non arriva alcuna ammissione di responsabilità. Né tantomeno la determinazione ad aprire gli archivi vaticani per una radicale operazione di trasparenza che renda giustizia alle vittime. 

Eppure la dimensione del fenomeno è nota: 325 sacerdoti denunciati per pedofilia negli ultimi 15 anni, 161 già condannati in via definitiva. Numeri di fronte ai quali sono arrivate solo generiche dichiarazioni sulla lotta alla pedofilia nelle parrocchie, come quelle dello stesso presidente uscente della Cei Gualtiero Bassetti.

Nel discorso introduttivo dell'assemblea Bassetti ha ripetuto che la Cei conferma il suo impegno per la tutela dei minori e la promozione di «una migliore conoscenza del fenomeno degli abusi per valutare e rendere più efficaci le misure di protezione e prevenzione».

Parole ugualmente vaghe erano state pronunciate dallo stesso Bassetti a inizio anno quando, in seguito ai dati drammatici sulla pedofilia nel clero in Francia e in Baviera, aveva magnificato il lavoro dei Centri di ascolto diocesani e subordinato la possibilità di istituire una commissione d'inchiesta sugli abusi alla condizione che fosse interna alla Chiesa.

Un'ipotesi che il coordinamento Italy Church Too, la rete di associazioni nata proprio per chiedere che siano dati finalmente ascolto e visibilità alle vittime delle violenze clericali, rifiuta radicalmente perché sfugge al necessario principio di terzietà: la Chiesa non può essere al contempo imputato e giudice.

La richiesta a Zuppi

Foto AGF

Proprio oggi a Roma Italy Church Too tiene una conferenza stampa sulle richieste di giustizia per le vittime dei sacerdoti abusanti, anticipate in una lettera alla Cei diffusa il 23 maggio. I firmatari chiedono «un'indagine indipendente, condotta da professionisti credibili e super partes», e che vengano aperti «canali di fattiva collaborazione con le istituzioni dello Stato italiano».

Viene rivendicata anche l'applicazione delle norme prescritte da papa Francesco nel motu proprio Vos estis lux mundi, che stabilisce fra l'altro per preti e vescovi l’obbligo di segnalazione degli abusi alle istituzioni ecclesiastiche.

Infine si dice no alla prescrizione per i reati di abuso sessuale e e si chiede l'estensione dell'obbligatorietà del certificato antipedofilia, previsto dalla Convenzione di Lanzarote, anche per il clero e il volontariato nelle istituzioni ecclesiastiche.

La lettera è sottoscritta da vittime inascoltate, sacerdoti e intellettuali. Fra le firme anche quella dello storico Mauro Pesce, del filosofo Augusto Cavadi e del teologo Vito Mancuso.

Intanto lo scorso 5 maggio, nella giornata nazionale contro la pedofilia, proprio la Cei è entrata come “invitato permanente” nell'Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile, istituito dal governo italiano presso il Dipartimento per le politiche della famiglia. 

L'Osservatorio, presieduto dal capo del dipartimento Ilaria Antonini, è poco più di una scatola vuota: istituito nel 2007, non ha funzionato che pochi mesi, senza fornire i dati promessi sulla pedofilia nel nostro paese, men che meno azioni di prevenzione del fenomeno.

Ora viene resuscitato, con un nuovo “Piano nazionale di prevenzione e contrasto dell’abuso e dello sfruttamento sessuale minorile”, un vasto programma di sensibilizzazione che però ancora una volta non coinvolge le vittime, che si autodefiniscono “sopravvissuti” e non solo in omaggio ai tanti portati al suicidio dalla violenza subita.

L'assenza dei sopravvissuti è il dato più critico anche nelle iniziative ecclesiastiche: «La Chiesa si riempie la bocca di solidarietà per le vittime ma non le coinvolge – sottolinea Francesco Zanardi, presidente della Rete L'Abuso – la stessa commissione d'inchiesta ecclesiastica interna è solo un modo per lavarsi la coscienza; lo stesso vale per gli sportelli diocesani che i vescovi gestiscono senza rendere conto a nessuno. Quanti sono i casi rilevati? Che cosa succede ai responsabili? Non sappiamo niente».

Due giorni fa il cardinale Sean Patrick O’Malley, presidente della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori, ha invitato i vescovi italiani riuniti in assemblea a una «conversione pastorale» sulla questione degli abusi, senza cedere alla tentazione di difendere l'istituzione.

Ora la palla passa all'arcivescovo di Bologna: ottimo comunicatore, attento ai poveri e sensibile alla causa della pace, in passato ha già mostrato attenzione per frange marginalizzate nella Chiesa, come le persone Lgbt, ma non si è ancora espresso apertamente sugli abusi nella Chiesa

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