«È come se mi buttassero fuori da casa mia, una casa che mi sono sistemata, coccolata, dove sono successi tantissimi fatti, dove si è scritta la storia del lavoro dei chimici e adesso arriva qualcuno e dice che devo andarmene». Nicoletta Zago della Filctem di Venezia è una delle anime dell’occupazione del “capanon”, come si dice da queste parti. Ogni giorno, più volte al giorno, aggiorna attraverso Twitter su quello che accade nell’edificio di via f.lli Bandiera, una strada che a Marghera separa i luoghi della chimica che fu dal resto della città. Da due settimane al capannone si organizzano i turni perché qualcuno ci sia sempre. La decisione è scattata lo scorso 13 maggio, dopo il voto nel consiglio comunale di Venezia della delibera che ha autorizzato l’acquisto dell’immobile da parte del comune. Ha votato solo la maggioranza: poco meno di 4mila euro da versare all’Eni per l’edificio che venne allestito nel 1970 per rispettare il diritto di assemblea retribuita sui luoghi di lavoro ottenuto con i contratti collettivi del 1969.

Quello che sta accadendo intende togliere di mezzo la presenza fisica e storica dei lavoratori e la loro capacità di incidere. Come sta avvenendo, in modo quasi speculare, per la chimica di base, vista la decisione dell’Eni di fermare l’impianto del cracking e degli aromatici con evidenti effetti sui lavoratori. Quando il Capannone venne costruito era il periodo di massima occupazione in tutta l’area di porto Marghera con 40mila addetti, trainati dalla costruzione del Petrolchimico 2. Ora si viaggia a cifre completamente diverse ma quella che manca è una prospettiva. Da qui la reazione alla decisione di acquisto del capannone che era nell'aria da inizio aprile ma ha lasciato sconcertata la Cgil veneziana, perché il comune non ha cercato il coinvolgimento di chi quel luogo lo utilizza, lo anima, lo vive. L’occupazione è appoggiata dai chimici della Uil ma non dalla Cisl. Davide Camuccio, segretario della Filctem veneziana, parla di una «operazione che ci vede esclusi in una situazione nella quale si profila un futuro estremamente incerto di questa area industriale». Insomma, si chiude con una produzione storica per farlo diventare un non meglio chiarito luogo di memoria. «Rischia di essere il chiaro messaggio che l’Eni ci sta lasciando, e le uniche parole che ha saputo dire il sindaco nei mesi scorsi sono che lui si fida dell’azienda», dice Camuccio.

Il sindaco Luigi Brugnaro è il convitato di pietra di tutta la vicenda e finora pare trattare la questione come un affare di famiglia, essendo il figlio di Ferruccio, operaio poeta del Petrolchimico, protagonista delle lotte di fabbrica degli anni Settanta e anche degli anni più bui del terrorismo. In queste due settimane nessun contatto, nessun cenno da parte del comune e, soprattutto, del sindaco. All’interno del Capannone le pareti sono occupate da grandi opere d’arte. C’è un murale del 1974 sulla guerra del Vietnam dipinto da Vittorio Basaglia, c’è una tela rossa con la scritta a tempera “C.d.F. p. Marghera” con un grande pugno davanti alle ciminiere realizzato da Augusto Cuciniello, c’è la Tuta blu di Bruno Garlandi che rappresenta il cambiamento tecnologico a scapito dei lavoratori. Negli anni Settanta Milo Polles e Luciano Groja, un poeta e un pittore entrambi operai del Petrolchimico ebbero l’idea di coinvolgere degli artisti per portare l’arte in fabbrica. Queste opere parlano della storia del movimento operaio e del conflitto tra ambiente e lavoro che qui è ben lontano dall’essere risolto. Sono state tutte donate alla Cgil, insomma «sono dei lavoratori» sintetizza Camuccio. Cosa potrà diventare il “capanon” è parte della protesta. «Che il comune se ne faccia carico potrebbe essere anche un bene ma trovo vergognoso che tutto questo sia avvenuto in un modo silenzioso e senza confrontarsi con il sindacato. Sinceramente io immaginavo che l’Eni avrebbe potuto anche ragionare con noi per l’acquisto. Non avrei mai pensato che la fine sarebbe stata questa», dice Zago. Il timore è che in futuro si voglia proprio trasformare l’edificio per farne qualcos’altro. Una rimozione totale della funzione del luogo, una prospettiva che sembra ancora peggiore della paura che diventi un museo privato della vita che ora scorre dentro.

Iniziative artistiche

Un ex sindaco, Massimo Cacciari, ha scritto una lettera aperta ai lavoratori per segnalare il suo appoggio e sottolineare che è giusto che questo spazio sia del sindacato. Nel frattempo al capannone si organizzano iniziative come lo spettacolo teatrale dedicato a Giuseppe Di Vittorio o si accettano volentieri le visite di chi ha voglia di informarsi e magari testimoniare a favore delle ragioni dei lavoratori come ha fatto Pif pochi giorni fa. Nic Pinton, fotografo e tra i creatori del Centro di documentazione di porto Marghera, spiega che è arrivato anche lui al “capanon” con la sua attrezzatura perché questo è il momento di prendere parte. Ha dato appuntamento ad alcuni artisti che hanno realizzato i grandi quadri e li vuole intervistare perché rimanga agli atti che i quadri si trovano in quel posto perché è il luogo dei lavoratori. «Negli ultimi anni ho avuto bisogno di staccarmi da Porto Marghera perché sentivo di aver dato tanto a questa causa, ma questo è il momento di esserci e io voglio farlo come so e come posso».

 

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