Dal 2 giugno l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli stati e le organizzazioni internazionali, sarà in visita ufficiale a Cuba per i novant’anni di rapporti diplomatici ininterrotti tra la nazione caraibica e la Santa sede. La notizia è importante per diversi motivi.

Il ministro degli Esteri di Leone XIV è il primo alto rappresentante vaticano in missione all’estero per volere del pontefice. Oltre all’udienza con il presidente della Repubblica, Miguel Díaz-Canel, che affronta una crisi fra le più delicate dal tempo della rivoluzione cubana, Gallagher – e il fatto non ha precedenti – parlerà giovedì all’intera classe dirigente del paese dalla tribuna preferita di Fidel Castro nel Palacio de la Revolución.

Gallagher, accompagnato da Antoine Camilleri, nunzio all’Avana, incontrerà naturalmente anche i dodici vescovi dell’isola, laici, esponenti del clero, delle religiose e dell’associazionismo cattolico. Il rappresentante papale arriva in uno dei pochissimi paesi che hanno accolto tre papi, uno dei quali – Francesco – lo ha visitato due volte, nel 2015 e nel 2016.

Rapporti bilaterali

Sin dal 1959 i governanti cubani hanno sempre riservato molta cura ai rapporti bilaterali, considerati di fondamentale importanza per l’intera America latina, e allo stesso modo il Vaticano e i diversi pontefici hanno dimostrato lungimiranza nel capire l’influenza della piccola nazione caraibica sui paesi dal Río Grande alla Patagonia.

Lo capì Giovanni XXIII che più volte fece sapere di pregare per Fidel Castro. E diverse volte Castro ricordò di aver ascoltato sulla piazza della Rivoluzione – il 29 novembre 1959, dieci mesi dopo la presa del potere e la sconfitta della dittatura di Batista al termine di tre anni di lotta armata – il radiomessaggio di papa Roncalli a chiusura del congresso nazionale cattolico.

Durante la complessa preparazione della visita di Gallagher, era inizialmente previsto che l’intervento dell’arcivescovo si svolgesse nell’auditorium dell’università dell’Avana, dove in passato hanno parlato tre papi. Il cambio della sede indica, secondo i sofisticati codici della diplomazia cubana, una valorizzazione della visita nel nuovissimo contesto creatosi a partire dall’elezione di Prevost.

Da parte sua papa Leone, che in gran parte ha un profilo latinoamericano ed è un metodico conoscitore della storia della regione, ha colto subito quest’occasione per avviare il dialogo con l’Avana. Sulle orme di Giovanni Paolo II, di Benedetto XVI e di Francesco, ma certamente con una connotazione specifica.

L’abbraccio tra Francesco e Kirill

Vi è una circostanza storica rilevante che non può essere sfuggita a papa Prevost. Fu infatti Leone XIII a nominare nel 1898 Placide-Louis Chapelle primo delegato apostolico nell’isola. Molto più tardi, il 2 settembre 1935, il cardinale segretario di stato Eugenio Pacelli (poi papa Pio XII) firmò il documento ufficiale che consentì l’apertura della nunziatura apostolica voluta da Pio XI. Si trattò, come si disse allora, di un «caro gesto di reciprocità».

La storia di questi novant’anni di rapporti bilaterali è forse la più rilevante in tutta l’America latina, e il graduale emergere di personalità cubane e vaticane lo dimostra. Fra queste gli storici ricordano l’ambasciatore Luis Amado-Blanco, e nunzi come Beniamino Stella e Giovanni Angelo Becciu, poi cardinali, Cesare Zacchi, Giorgio Giuseppe Caruana, il primo a presentare le lettere credenziali il 6 dicembre 1935, Giorgio Lingua, Giampiero Gloder, già presidente dell’Accademia ecclesiastica, la «fabbrica» romana dei diplomatici pontifici.

Cuba, fra le sue eccezionalità nei rapporti con la Santa sede, annovera l’evento storico dell’abbraccio dopo quasi mille anni di ostilità, tra papa Francesco e il patriarca moscovita Kirill, avvenuto nell’aeroporto dell’Avana il 12 febbraio 2016. Venne allora firmata una dichiarazione comune cattolica-ortodossa. Questa nella parte sull’Ucraina fu accolta con molte polemiche, che ora – all’inizio del nuovo pontificato – appaiono in una luce diversa.

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