«Papa Leone XIV trarrà ispirazione o slancio» dal suo predecessore, «ma è un’altra cosa. Ogni papa è sempre un’altra cosa»: è quanto emerge dal dialogo con uno dei porporati che sono entrati in Sistina per eleggere il nuovo vescovo di Roma
La domanda ricorrente, sussurrata, in ambienti ecclesiastici di livello è questa: perché i conclavisti non hanno eletto un Francesco II anche se non pochi sostenitori dell’eredità del pontefice argentino pensavano che questo nome sarebbe stato imprudente, provocatorio. C’è stato però un tentativo solido, fallito, anche perché maldestro. Dalle prime ore delle riunioni preconclave girava, anche con battute colloquiali, un suggerimento a tutti e a nessuno: è meglio andare a ripescare un nome oltre il XX secolo.
Il preconclave
Le discussioni, superato lo “scoglio Becciu”, ovviamente questione non chiusa, presero da quasi subito un doppio orientamento puntuale: un’immensa gratitudine e affetto verso papa Bergoglio, sottolineando il suo stile coraggioso, le aperture a nuove sfide con uno sguardo lungimirante e lo slancio instancabile per riportare la chiesa e la sua voce nell’opinione pubblica mondiale.
Al tempo, specie usando la formula della domanda, sono emersi anche i limiti del pontificato, in primo luogo le molte letture socio-politiche a volte decentrate dalla dottrina sociale della chiesa al punto di apparire come elenchi di opinioni personali. A questo sono stati aggiunti anche altri elementi critici da superare nella persona del nuovo vescovo di Roma, tra cui la troppa fluidità nell’applicazione dei testi legislativi e del diritto stesso, i fallimenti piuttosto severi nel caso di riforme ritenute strategiche: l’organigramma della curia (detta Praedicate Evangelium), verticistico, burocratico e costoso (“cumbersome”); la riforma dei media vaticani, ininfluente fuori e dentro la chiesa e anche essa costosa; infine, le famose riforme economiche che però, dieci anni dopo, lo stesso papa Francesco ha evidenziato in una lettera sono state incapaci sino a di salvare il Fondo pensionistico, ora a rischio.
Così le cose il Vaticano fra due non sarà in grado di pagare le sue nuove pensioni. Naturalmente negli oltre 200 interventi dei cardinali non sono mancati i cenni a questioni precise sulla sopravvivenza istituzionale dell’apparato e ai richiami che costano duramente la credibilità della chiesa: dalla pedofilia e l’occultamento di questa fino all’invecchiamento del clero e delle religiose, in particolare nei paesi benestanti del nord del mondo che succhia personale ecclesiastico alle chiese nei paesi poveri. «Una nuova forma di colonialismo», è stato detto.
La conversazione
Questi appunti sono stati raccolti da me in una splendida conversazione sul Gianicolo, a Roma, con un porporato elettore amico di una vita che, seppure, e giustamente, abbottonatissimo su cose sulle quali ha giurato il segreto totale, ha risposto ad alcune mie domande cominciando per la più frequente in questi giorni: secondo lei c’era o non lo Spirito Santo nella Cappella Sistina?
Ecco una sintesi della sua risposta: «Sì, c’era. Ma non era quello che voi giornalisti credete, cosa che a volte diciamo noi stessi. Quella colomba algida che sosta sulla testa. Quello è Cristo. Noi siamo altra cosa. Per noi questo spirito era stare insieme e credimi che un qualcosa impercettibile, ma che conta, si sente. Guardare la chiesa in prospettiva fra tre o dieci cardinali è una cosa. Guardarla in 133 è tutt’altra cosa. Io stesso nel gruppo di conclavisti mi sono scoperto a pensare di molte cose diversamente a quanto pensavo prima. Questo spirito di cui si parla, viene fuori meglio nella comunione. Si può pensare quel che si vuole su questa questione, ma per me c’era sempre qualcosa inafferrabile che ci guidava».
Domando: c’è stata a un certo punto la svolta, ricorda i papabili quasi già eletti fuori dal conclave. Non cresceva lentamente la prospettiva di un papa Leone? «E come ricordo tutto. È accaduto ieri. Si entra papa e si esce cardinale, dice il proverbio romano ma non è corretto. Ciò che è vero è la frase del cardinale Giuseppe Siri (1906 – 1989): i papi si fanno in conclave. Lo abbiamo visto anche ora. Sono i conclavista che tiranno le somme sul periodo passato, chiuso, e quello che si vuole aprire. Per ora il pontificato di Francesco, seppure nella continuità con i precedenti è ancora una parentesi e va sottoposto con amore e rigore al vaglio dei criteri della chiesa. Papa Leone XIV trarrà ispirazione, slancio o verifiche, ma è un’altra cosa. Ogni papa è sempre un’altra cosa fino al punto tale che, teoricamente, papa Prevost potrebbe cancellare quanto ha deciso papa Francesco. Anche lui aveva potere di farlo nei confronti con Benedetto XVI».
E allora dopo ogni conclave si ricomincia daccapo? «No. Assolutamente no. Ricorda che stiamo parlando della chiesa, del suo fondatore, della sua dottrina e delle sue leggi nonché tradizioni e ritti liturgici. Ora parliamo del papato, del ruolo del pastore universale, del governo della sua chiesa. Tra l’altro in questi incontri si parlo anche sulla riforma del papato. Ogni papa insegna, nel bene e nel male, al papa che viene dopo. È il nuovo vescovo di Roma colui che tira le conclusioni e ciò sarà fatto da papa Prevost».
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