Mai, davvero mai, avrei pensato di vedere sofferenze e umiliazioni così profonde tra gli uomini, le donne e i bambini intrappolati a tempo indefinito sull’isola di Lesbo, in Grecia, proprio ai confini dell’Europa. La missione con Medici Senza Frontiere (MSF) è iniziata nell’estate del 2019, durante il picco degli arrivi dalla Turchia, proseguita poi con l’arrivo del Covid-19 e le violente proteste contro la presenza dei rifugiati sull’isola. Ho lasciato Lesbo a poco più di un mese dagli incendi che hanno distrutto Moria.  Il nuovo campo, costruito alla svelta su un ex poligono di tiro a ridosso del mare, ha già mostrato tutti i suoi (prevedibili) limiti alle prime piogge, con intere zone allagate e centinaia di tende inondate di fango.

L’accordo maledetto

Per capire quanto sia profonda la crisi del sistema di accoglienza e di asilo europeo occorre andare indietro nel tempo al 18 marzo 2016, quando l’Europa firma un accordo con la Turchia che di fatto intrappola migliaia di persone per mesi in condizioni disumane all'interno di sovraffollati centri sulle isole greche. Tutto questo con l'obiettivo dichiarato di aumentare i respingimenti verso i paesi d'origine e quello non dichiarato, ma evidente, di dissuadere le persone dal mettersi in viaggio attraverso processi e condizioni di accoglienza del tutto inaccettabili. A quasi 5 anni da quell’intesa, generatrice di una spirale infinita di sofferenze e abusi, il nuovo Patto europeo sulla migrazione sembra perseverare nello stesso approccio basato su politiche securitarie, respingimenti e deterrenza.

Peccato che nessuna di queste politiche fermerà mai chi fugge da guerre e violenze. I leader europei lo sanno bene, ma fanno finta di non sentire e di non vedere. Molto più facile sembra la via politica che stigmatizza i disperati che fuggono da guerre e persecuzioni, trasformandoli in facili ed illusori nemici. La politica europea sta scegliendo consapevolmente di abbandonare in Grecia intere famiglie fuggite da Afghanistan, Siria o Iraq che avrebbero diritto e bisogno di una protezione internazionale. Moltissimi sono bambini. Vivono in condizioni degradanti, malsane, di sovraffollamento e insicurezza, con scarso accesso ai servizi sanitari, legali e medici di base. Le giornate delle migliaia di invisibili di Lesbo trascorrono facendo file lunghissime: file per il cibo, file per accedere ai pochi bagni presenti (nel nuovo campo non ci sono neanche le docce e ci si lava in mare), file per accedere alla procedura di richiesta di asilo. Mesi, addirittura anni, passati in condizioni umilianti, con speranze che si affievoliscono ogni giorno e nessuna certezza. Privare persone vulnerabili della loro dignità e salute nel tentativo di scoraggiare altri dal venire in Europa, è crudele, inumano e cinico. E non ha fermato le partenze.

La clinica pediatrica

Nella clinica pediatrica di MSF a Lesbo assistiamo bambini colpiti da gravi problemi medici, come complicazioni cardiache, diabete, epilessia, tumori, oltre a tristemente diffusi problemi di salute mentale. Non siamo in grado di fornire trattamenti specialistici per queste patologie, che d'altronde non trovano risposte adeguate neanche presso l'ospedale pubblico sull'isola di Lesbo. Non ricordo più il numero di appelli fatti alle autorità greche ed europee per evacuare questi bambini a cui vengono sistematicamente negate cure mediche essenziali.

Molte delle sofferenze che i nostri dottori e psicologi trattano sull'isola sono il diretto risultato delle politiche di contenimento europee. Minori, persino bambini, che dopo essere sopravvissuti ad esperienze traumatiche nei loro paesi d'origine o durante il viaggio, perdono in questi centri ogni speranza. Le forti condizioni depressive si traducono in episodi di autolesionismo e, in casi estremi ma frequenti, in tentativi di suicidio.

Un bambino di 12 anni è arrivato nella nostra clinica dopo essersi ripetutamente ferito tagliandosi la testa con un coltello. Una bambina di 9 anni con gravi ferite causate dall’esplosione di una bomba in Afghanistan, sorrideva ancora prima di arrivare in Grecia. Tuttavia, nei mesi che ha trascorso intrappolata sull’isola di Lesbo, ha smesso di parlare e di mangiare e si è completamente isolata dalla vita.

L'Europa è un sogno per ognuno di loro ma per molti diventa presto un incubo e una malattia degenerativa.

Non pochi dei nostri pazienti sono peggiorati al punto da non riuscire più a svolgere le più basilari attività quotidiane, come dormire, mangiare o comunicare. Le nostre équipe possono mitigare alcuni di questi sintomi, ma non possono restituire loro la dignità negata dalle condizioni di vita estreme. C'è poco che possiamo fare per fermare questa spirale di sofferenza, per la quale non abbiamo cure.

European way of life

Le persone arrivano in Grecia credendo che i loro bambini cominceranno a vivere una vita normale. È questo il motivo per cui corrono il rischio di fuggire. Quando capiscono che non sarà così, il loro morale subisce un vero e proprio tracollo. Vedere i propri figli crescere senza un futuro e privati della loro infanzia è qualcosa di straziante. Vivere in baraccopoli, nella paura, nell'incertezza, è mentalmente e fisicamente debilitante. Non vi è possibilità di riprendersi, di mettere i pensieri in ordine.

La situazione è paragonabile, e a tratti peggiore, di ciò che ho visto dopo disastri naturali o in zone di guerra in altre parti del mondo. È vergognoso accettare questa situazione in Europa e per decisione dell’Europa, un continente teoricamente sicuro ed autoproclamatosi patria culturale dei diritti dell'uomo. Di umano in tutto questo non vi è nulla. È l'espressione di un’Europa opportunista, che sta difendendo la sua frontiera condannando all’alienazione intere generazioni di migranti, murandosi viva nel baratro dell’indifferenza.

“Mai più vuol dire mai più”

A più di un mese dagli incendi che hanno distrutto Moria e nonostante le promesse pubbliche dei commissari UE di evitarne un’altra, più di 7.500 persone sono ancora intrappolate in condizioni degradanti in un nuovo campo costruito sull’isola di Lesbo, che perpetua la stessa miseria di quello di Moria. Non c'è acqua corrente e il cibo viene distribuito una volta al giorno. Le persone lavano se stesse e i propri figli in mare perché non ci sono docce, i bagni chimici sono pochi e spesso inservibili. E condizioni simili esistono in altre isole e centri come sull'isola di Samos. Intanto l’epidemia di Covid-19 è ancora in corso ed è impossibile per le persone che abitano in questi centri adottare misure di prevenzione come il distanziamento fisico. È inaccettabile.

L’Europa fermi questa follia

Da anni le équipe di MSF curano le conseguenze fisiche e psicologiche di politiche che hanno spinto migliaia di uomini, donne e bambini alla ricerca costante di sicurezza. In Grecia non esiste alcuna emergenza migranti: in crisi è il sistema di accoglienza e di asilo europeo che adotta politiche pericolose e violente, prive di ogni umanità. Soluzioni possibili esistono: molti paesi in Europa hanno espresso la disponibilità ad accogliere persone in cerca di sicurezza, ma i numeri e le modalità sono tutt'oggi inadeguate e le logiche politiche continuano a prevalere sul diritto all'accoglienza e alla protezione umanitaria.

L'Europa della politica e degli interessi è responsabile dell’assurdo dramma che stanno vivendo migliaia di persone abbandonate in mare e alle porte d'Europa.

È ora di fermare questa follia.

#FINE

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