Dopo oltre due mesi e mezzo di fermo amministrativo, il rimorchiatore Open Arms per il salvataggio dei migranti in mare è stato liberato dalle autorità italiane e naviga adesso nelle acque del Mediterraneo, diretto verso le coste spagnole. Per il fondatore della Ong, Oscar Camps, il blocco è stato l’ennesimo atto di ostruzionismo: «È un caso che questa ispezione sia stata fatta lo stesso giorno in cui il Gup del tribunale di Palermo, Lorenzo Iannelli, ha deciso di rinviare a giudizio Matteo Salvini per sequestro di persona?» chiede, e aggiunge: «E qual è stato il risultato di questa ispezione senza precedenti? Alcune presunte “gravi carenze legate alla sicurezza della navigazione”. Queste presunte carenze sono state tutte smontate immediatamente e per iscritto dall'amministrazione spagnola».

Per Camps «l'Italia interpreta a suo modo e nel proprio interesse le ispezioni del Port State Control (operate dalla Guardia costiera, ndr) che sono pensate per le navi commerciali e non per le imbarcazioni con scopi umanitari».

Le irregolarità tecniche, spiega, «sono state prontamente risolte dall'equipaggio» ma «le autorità competenti si sono rifiutate per settimane di riesaminare la nave e di constatare che non vi fosse alcun problema di sicurezza per la navigazione o alcun pericolo per l'ambiente».

Peggio di Salvini

«Salvini minacciava di bloccare le Ong, questo governo lo ha fatto davvero» scriveva la Ong Open Arms qualche settimana fa. Ad oggi non c’è nessuna nave umanitaria in mare per salvare i migranti che tentano di attraversare il Mediterraneo, lo stato italiano ne ha bloccate altre quattro con l’accusa di non essere sicure.

Intanto le morti in mare rispetto all’anno scorso, perché nessuno è arrivato in tempo a salvare i naufraghi, «sono aumentate del duecento per cento», dice a Domani Carlotta Sami, portavoce dell’Alto commissariato delle nazioni unite per i rifugiati (Unhcr).

Ancora vivide le immagini del disperato tentativo di salvataggio della Ocean Viking, che a fine aprile ha potuto solo fare da testimone alla morte di oltre 130 migranti dopo il mancato intervento di Italia, Malta e Libia. Adesso, con l’arrivo dell’estate, si temono il mare piatto e il bel tempo. Renderanno più facili le partenze dei migranti: «Sembra una cosa banale, ma non lo è» dice Sami.

I fermi

L’ultimo fermo amministrativo disposto è del 5 giugno, e si è abbattuto sulla nave Sea Eye 4 dell’omonima Ong tedesca: «Salviamo vite umane in uno dei tratti di mare più mortali al mondo» si legge sui loro profili social. Il motivo del blocco è sempre lo stesso, paradossale: la nave aveva soccorso 415 migranti, ma può ospitare al massimo 27 persone. Per la Guardia costiera, «in caso di emergenza a bordo della nave, che ne comporti l'evacuazione, si ritiene che l'equipaggio non sarebbe in grado, anche per consistenza numerica e di qualifica, di garantire che le persone ospitate possano essere avviate ai mezzi di salvataggio né ovviamente trovare posto sufficiente per essere sugli stessi ospitate».

La stessa sorte è toccata nelle scorse settimane alla Sea Watch 3 e 4. Infine - sempre della Sea Eye - alla nave Alan Kurdi, dal nome del bambino morto sulle spiagge turche nel 2015, bloccata per 7 mesi. In questo caso il Tar ad aprile ha dato il permesso di tornare in Spagna per adattamenti necessari, ma non può ancora effettuare salvataggi.

La nave Alan Kurdi (LaPresse)

Alle quattro bloccate dallo stato con l’accusa di non essere sicure, si aggiunge l’indisponibilità di altre navi. Due non possono portare avanti salvataggi per lavori di ammodernamento. La Ocean Viking di Sos Méditerranée è tornata a Marsiglia, mentre la Mare Jonio di Mediterranea è in cantiere. Infine la Aita Mari, della Ong Salvamento Maritimo Humanitario, dopo aver salvato 45 persone è tornata in Spagna. L’ultima nave disponibile era la Geo Barents di Medici Senza Frontiere che ha iniziato a operare di recente. Ma attualmente è in stato di quarantena dopo aver salvato 410 migranti.

I blocchi

Dopo, ricorda Marco Bertotto, responsabile Affari umanitari di Msf, è molto probabile che ci sarà l’ispezione della Guardia costiera. L’annuncio del ritorno in mare era stato dato il 13 maggio. La presidente di Msf Italia, Claudia Lodesani, aveva spiegato che la Ong è stata spinta dalla necessità: «Italia e Malta da due anni hanno smantellato il soccorso in mare, non intervengono e non coordinano». E le azioni di blocco hanno un motivo specifico: «Si tenta di tenere le organizzazioni fuori dal Mediterraneo perché siamo testimoni scomodi». 

Open Arms le ha fatto eco e ha scritto su Twitter: «Salvini minacciava, questo governo ha ottenuto il risultato. Nessuna Ong è più in grado di soccorrere chi rischia la morte nel Mediterraneo». A corredo una foto con il presidente del consiglio Mario Draghi, del ministro dei trasporti e delle infrastrutture sostenibili, Enrico Giovanni e della ministra dell’Interno Lamorgese, e ripete l’accusa: «Ci bloccano con fermi amministrativi, con cavilli pretestuosi, con pretesti arbitrari. Perché? Per nascondere la verità del Mediterraneo». Il problema, scrive Open Arms, «non è Salvini in sè, è il Salvini in te».

Arrivi in aumento

I dati non sono incoraggianti. Gli arrivi secondo i dati dell’Unhcr rispetto all’anno scorso sono aumentati del 150 per cento: «In dati assoluti si tratta di 15 mila persone» spiega Sami. L’Agenzia Onu rileva «una maggiore organizzazione dei trafficanti in Libia, e non solo, ci sono stati molti arrivi dalla Turchia». Questi però, specifica «sono numeri assolutamente gestibili, quello che ci preoccupa è l’aumento dei morti, che quest’anno sono oltre 700». Con l’incognita di cosa accadrà con il bel tempo: «C’è un grande bisogno di capacità di ricerca e soccorso. Il lavoro delle organizzazioni non governative è ottimo, ma è fuori solo Medici senza frontiere».

L’Unhcr «chiede con forza alle autorità degli stati europei di ripristinare un sistema di ricerca e soccorso coordinato nel Mediterraneo» conclude Sami. La stessa richiesta che le Ong hanno fatto alla ministra dell’Interno Lamorgese dieci giorni fa con la preghiera di portare il loro appello a Draghi – che non ha partecipato all’incontro –, al ministero della Salute, che gestisce le quarantene delle navi delle Ong dopo i salvataggi, e infine al ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili: «Abbiamo chiesto alla ministra di riconoscere il ruolo delle organizzazioni umanitarie, colpite dalla criminalizzazione, liberando le nostre navi ancora sotto fermo» hanno riferito i rappresentanti delle organizzazioni. Prima che la Guardia costiera bloccasse un’altra nave.

© Riproduzione riservata