Potranno finalmente rientrare in Italia i soldati italiani che, come raccontato da Domani, sono rimasti bloccati a Misurata in attesa dei colleghi provenienti da Roma. L’ambasciata libica nella capitale, infatti, non rilasciava i visti d’ingresso. Questo ha impedito la partenza dei militari che dovevano garantire l’avvicendamento delle truppe impiegate nella città della Tripolitania, dove si trova l’ospedale da campo “Role 2” delle nostre forze armate.

Nelle ultime ore il governo, con i ministri della Difesa e degli Esteri, Lorenzo Guerini e Luigi Di Maio, ha convinto le autorità libiche a firmare i documenti che autorizzano la partenza da Roma. E così, dopo più di due settimane fermi a Misurata, i soldati “ostaggi” del limbo burocratico creato dalla Libia, potranno terminare la loro missione e rientrare in Italia. La risoluzione della crisi però non risolve la questione di fondo: l’ostilità crescente dei libici nei confronti della presenza militare italiana a Misurata seppure per gestire una struttura ospedaliera che dovrebbe anche formare i medici del territorio.

La mediazione secondo quanto risulta era in corso da tempo e la vicenda era stata segnalata anche al primo ministro del governo di unità nazionale libico, Abdelhamid Dabaiba, in visita in Italia il 31 maggio scorso.

«È l’esito di un lavoro positivo, conclusosi in queste ore, frutto della proficua sinergia istituzionale, anzitutto con le autorità libiche, che voglio ringraziare per la collaborazione», ha detto Guerini, il quale ha ringraziato il ministro degli Esteri Di Maio «per il sostegno e l’impegno profusi e per il concreto contributo al raggiungimento di tale risultato».

Autorità libiche ringraziate anche in una nota del titolare della Farnesina: «Questo risultato, per il quale ringrazio è un importante segnale di collaborazione mostrato dalle autorità libiche, che si inserisce nell’ambito della più ampia e strategica cooperazione bilaterale tra Italia e Libia».

Che ne sarà di noi

Resta tuttavia un mistero il destino dell’ospedale militare di Misurata, un’area sulla quale l’influenza della Turchia è ormai totale. Recep Tayyip Erdoğan si è infatti garantito il controllo di un pezzo dell’economia di questo territorio, a partire dai porti. È il prezzo che il governo di Tripoli ha dovuto pagare per il sostegno turco nella guerra contro le milizie del generale Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica.

Per questo il sospetto di chi ha seguito il dossier nei ministeri interessati è che la crisi dei visti, innescata dall’ambasciata della Libia a Roma, sia in realtà un sottile ricatto. Non è un segreto che nell’ultimo anno il campo “Role 2” sia diventato una presenza poco gradita. Il governo di Tripoli ha promesso alla Turchia una base a Misurata. La battaglia dei visti potrebbe essere quindi un modo per esercitare pressioni sull’Italia. E il regista potrebbe essere Erdogan. C’è chi ridimensiona questa interpretazione. «La situazione è cambiata rispetto a quando c’era il conflitto in Libia» spiegano fonti della Difesa, «con l’arrivo di Draghi la situazione è cambiata». E anche con la Turchia i rapporti sono buoni, la dimostrazione, riferiscono le stesse fonti, è il recente incontro bilaterale tra Guerini e il suo omologo turco.

Non è la prima volta che, con la scusa della mancanza del visto sul passaporto, il governo libico crea problemi all’esercito italiano: nel luglio 2020 erano stati bloccati 40 soldati atterrati a Misurata che avrebbero dovuto dare il cambio ai loro colleghi della missione Ippocrate. Tra gli sgarbi istituzionali c’è poi l’ostilità quotidiana riferita da chi è stato in missione a Misurata o si trova ancora lì. I libici ostacolano, spesso, l’arrivo dei rifornimenti alimentari all’interno della base italiana, allo stesso modo è accaduto che bloccassero all’esterno della base per diverse settimane alcune ditte che si occupano della manutenzione interna al campo. «Continuano a ricattarci perché ci vogliono fuori dall’aeroporto militare sede dell’accademia militare libica di Misurata occupata dagli italiani da almeno 4 anni», riferisce più di un militare che è rientrato dalla missione. Tutti segnali, grandi e piccoli, che indicano che da tempo, in maniera non troppo formale, i libici stanno chiedendo ai nostri contingenti di lasciare l’area.

Il rapporto con l’Italia

Il 5 agosto dell’anno scorso il ministro Guerini aveva annunciato, al termine di un incontro bilaterale con l’allora premier Fayez al-Serraj, la piena disponibilità a spostare la struttura ospedaliera in «un’area più funzionale». Ipotesi ora, spiegano fonti della Difesa, rientrata. Poco dopo l’annuncio di Guerini del 5 agosto, la Libia siglava un nuovo accordo con Turchia e Qatar per la formazione delle truppe nazionali libiche. Intesa, quest’ultima, che ha messo in secondo piano il rapporto con l’Italia, fondato più sulla questione migranti e i sui soldi europei destinati al contrasto dell’immigrazione lungo la rotta del Mediterraneo centrale. L’accordo sui migranti però è altra cosa rispetto alla partita economica sul territorio, che controlla la Turchia attraverso imponenti investimenti. Chi governa la Libia dal canto suo sa bene che nei rapporti di forza ha un vantaggio rispetto all’Europa. Le istituzioni europee, infatti, si sono legate mani e piedi alle forze che governano Tripoli, strumento imprescindibile per frenare gli sbarchi in Italia. Per l’Ue le autorità libiche sono ormai la polizia di frontiera dell’Europa. E per questo sono i padroni del gioco.

© Riproduzione riservata