«Il nostro quartiere sta cambiando pelle. Ci sentiamo smarriti, stiamo perdendo i nostri punti di riferimento». A dirlo è Anna D’Amico dell’associazione Insieme per San Lorenzo, storico rione fiorentino dove, negli ultimi anni, librai e artigiani sono stati costretti ad abbassare le loro saracinesche lasciando il posto a ristoranti, bed and breakfast e minimarket. Ed è proprio al civico 25 di via San Gallo che «continua a resistere», come dice l’editrice Elisabetta Olobardi, uno degli ultimi punti di riferimento rimasti, la libreria Libri Liberi. Anima di una Firenze diventata un ricordo nostalgico.

Una speranza che nasce

«Noi siamo arrivati qui nel 2003. Eravamo redattori de La Nuova Italia, sfornavamo dei testi scolastici molto originali. Erano i tempi in cui gli insegnanti crescevano con le case editrici». Con la morte dell’editore Tristano Codignola, la vendita della casa editrice e la nuova politica de “i libri van venduti come scarpe”, Elisabetta insieme ad altri due redattori, Manuela e Vittorio, decide di creare una struttura redazionale per lavorare con tutti gli editori, lo studio Sepia. Nel frattempo si dedicano anche all’editoria per bambini con la Fatatrac.

«Al civico 25 c’era una libreria per ragazzi, molto innovativa negli anni Settanta, che era fallita. Restiamo incantati dal giardino, che diventa un po’ il centro di tutto: qui ci si può incontrare, si può accogliere, si possono affrontare i problemi della vita in maniera differente. Decidiamo di comprarla e di offrire uno scaffale in affitto ai tanti piccoli editori che avevano problemi di distribuzione come noi». La porta rimane sempre aperta e da quel 2003 sono diverse le persone che con il loro vissuto iniziano a dare forma all’idea di Elisabetta, a quella bellezza in grado di alleviare le difficoltà della vita. «Due nostre illustratrici scoprono che i loro figli sono dislessici. Ci parlano di questi bambini, bravissimi a scuola materna e che poi, improvvisamente, si trovano in difficoltà durante i primi mesi delle elementari. Gli altri riescono a leggere entro Natale, loro nonostante tutti gli sforzi non ce la fanno. Questo perché i dislessici arrivano alle cose attraverso delle strade diverse». E per aiutarli a percorrerle iniziano a creare dei libri con l’Associazione italiana dislessia che ancora oggi ha una sua sede nella libreria.

Oltre che per i dislessici, la libreria diventa ben presto un riferimento per la via su cui si affaccia.

«Questa via da sempre è stata piena di ragazzi. Prima che Halloween diventasse di moda, coinvolgevamo tutti i negozianti della strada che il 31 ottobre allestivano le loro botteghe a tema per far divertire i bambini. Senza dimenticare che, proprio qui dietro, è nato Collodi. Abbiamo portato il teatro in strada e ci siamo inventati delle passeggiate narrative per far conoscere Pinocchio. Partecipavano gli illustratori, gli attori e i musicisti che abitavano nel quartiere».

Resistere

E poi è la volta di un altro cliente della libreria che riesce a creare qualcosa di unico. «Un giorno ci propone di realizzare un caffè Alzheimer, uno di quei luoghi solitamente dentro le Rsa per gli alzheimeriani. Quindi in mezzo ai bambini, al teatrino nel giardino, in mezzo a quelli che comprano i libri, nasce questo nuovo punto di ritrovo. Ci inventiamo dei laboratori dove si lavora la creta. Chi si sente come perduto entra in contatto con questa terra morbida che si lascia modellare e poi indurisce. Una stabilità che per un attimo mette da parte quel senso di vaghezza che ti tormenta».

Proprio da qui e dall’incontro con una psicologa americana, è partito il progetto “Musei italiani per la demenza”. «Prendevamo delle fotografie, loro si disponevano intorno e descrivevano quello che le immagini gli suscitavano. Venivano fuori tante storie in cui qualche ricordo sembrava riaffiorare».

Con l’arrivo della crisi economica e le prime saracinesche abbassate, «eravamo diventati la vetrina di Amazon ma senza essere pagati, così abbiamo deciso di tenere solo i nostri libri e di aprire un bar per studenti gestito dai ragazzi, uno dei primi spazi di co-working del quartiere. È bello vederli mentre entrano in contatto con gli alzheimeriani, quasi come fossero i loro nonni. Poi da lì non ci siamo più fermati: tanti i libri che abbiamo scritto con le scuole, le donne di strada, i detenuti…».

Anche se via San Gallo oggi è più vuota rispetto a vent’anni fa, “noi lottiamo con le unghie e con i denti per questo quartiere” – continua Anna – «Solo qui ci sono oltre 130 nuclei familiari in difficoltà che cerchiamo di aiutare. Nei sabati di maggio portiamo i bambini nelle vecchie botteghe rimaste».

«Negli ultimi due anni sono venuti in tanti per comprare questi spazi e riconvertirli in strutture turistiche. Ci hanno detto che avrebbero acquisito la proprietà, rinnovato l’arredamento e che ci avrebbero continuato a lasciar fare la nostra “eventistica”. Già a sentire ridotto tutto quello che abbiamo costruito a questa parola mi si stringe il cuore», dice Elisabetta mentre si affaccia su quella via, un tempo punto di incontro tra nobili e popolani vista la vicinanza tra il palazzo nobiliare di via dei Ginori e il mercato di San Lorenzo.

Un tempo piena di librerie e tipografie dove i membri del Comitato di liberazione nazionale stampavano giornali e volantini sotto l’occupazione tedesca. «Non vogliamo rinunciare al nostro tessuto sociale, non c’è bisogno di vendere Firenze come Disneyland», chiosa Anna in mezzo agli ultimi libri rimasti sugli scaffali e a quei ragazzi che quotidianamente affollano Libri Liberi. Una speranza di tutto il quartiere.

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