All’estero non comprendono come possa il governo di Mario Draghi rischiare di capitolare per un inceneritore che si promette risolverà i problemi di Roma, sommersa dai rifiuti.

La realtà è che il forno che mangerà i rifiuti non è responsabile della crisi nella maggioranza, ne rappresenta solo una scintilla, e neanche avrà una funzione taumaturgica. Quell’impianto non fa miracoli, nel decreto aiuti viene disegnata la cornice giuridica per consentire al sindaco di avviare l’iter di costruzione attribuendogli poteri speciali. Ma a che punto è la notte della capitale tra cinghiali, topi e montagne di pattume?

Il miracolo che non c’è

La strada commissariale non viene percorsa per la prima volta, l’ultima volta è finita malissimo. Correva l’anno 2000, a Roma si svolgeva il Giubileo e la questione rifiuti, anche allora, venne sottratta ai poteri ordinari. La gestione commissariale (all’epoca affidata al presidente di regione) si caricò di due obiettivi, ridurre il pattume prodotto e raggiungere gli obiettivi di raccolta differenziata previsti dalle norme.

Obiettivi entrambi miseramente falliti. Venticinque anni dopo tornano i poteri speciali e il commissario. L’annuncio dell’inceneritore, non sarà pronto prima di 4 anni, ha avuto l’effetto di concentrare l’attenzione unicamente sull’impianto, ogni cosa che accade a Roma è collegata alla costruzione del bruciatore. 

Per costruirlo bisogna prima presentare il piano rifiuti, previsto per fine luglio, poi bisogna concepire il progetto, individuare l’area industriale e indire la gara per la scelta di chi materialmente costruirà l’impianto. Tutto questo non può prescindere dalle necessarie autorizzazioni ambientali.

La giunta assicura che sarà pronto entro il 2025, ma è una visione ottimistica considerando proteste, ritardi, ricorsi che accompagnano ogni impianto del genere. 

Roberto Gualtieri, sindaco della città, sfrutta ogni uscita pubblica per veicolare le virtù dell’impianto che verrà, ma si è spinto oltre. 

«Stiamo lavorando con il massimo impegno per ripulire la città ed entro una settimana l'emergenza sarà superata, torneremo alla situazione precedente all'incendio (il riferimento è al rogo che ha colpito l’impianto Tmb di Malagrotta, ndr). Per raggiungere l'eccellenza, perché Roma sia pulita come merita, come un borgo del Trentino, ci vorranno un paio di anni», dice Roberto Gualtieri. 

La promessa è un grande classico dei primi cittadini capitolini, con le romane e i romani in vacanza diminuiscono i rifiuti prodotti e aumentano le speranze di raccogliere il pattume dai cassonetti, attività che a Roma, per carenza di impianti e incapacità a trovarli, è diventata sporadica.

Attività che potrebbe subire un ulteriore stop visto che i sindacati non vogliono più che i lavoratori raccolgano rifiuti attorno ai cassonetti trasformati in discariche. Eppure, in campagna elettorale, Gualtieri prometteva un piano in 18 mesi che «dimostrerà i suoi effetti già nei primi sei». I sei mesi sono passati, ma niente effetti tranne l’annuncio del bruciatore.

L’inceneritore non mangerà gli scarti organici, per quelli ci vogliono impianti, che bisognava programmare dal giorno uno della nuova avventura amministrativa, visto che la questione è nota da due decenni. Così come non migliorerà la raccolta delle utenze non domestiche (i locali commerciali) con l’azienda, l’Ama, che continua a viaggiare in direzioni opposte, tra spinte a internalizzare il servizio e spinte opposte. 

L’inceneritore neanche è in grado di mettere mano alle gare di Ama nelle quali si procede con continue proroghe degli affidamenti, attraverso lo strumento del quinto dell’appalto, attribuendo nuovi incarichi temporanei a imprese sotto processo o ad aziende di famiglia di imprenditori a processo per reati di mafia, come svelato da Domani. 

L’inceneritore non è in grado di dotare di campane di vetro i luoghi della movida, sepolti ogni sera da valanghe di bottiglie, da cocci in frantumi davanti alle scuole dove giocano i bambini. Ci vuole personale, mezzi e organizzazione. Eppure, negli ultimi giorni, anche i roghi che hanno colpito la capitale sono diventati il pretesto per gridare al complotto contro il forno mangia pattume. Ma complotto di chi?

Il fuoco nemico dell’impianto

I roghi che colpiscono la capitale incrociano il dolo con l’incuria. E quella neanche sarà risolta dalla mano santa dell’inceneritore. Fiamme che danno fuoco alle illegalità diffuse, gli autodemolitori abusivi e senza autorizzazioni o le cataste di rifiuti speciali scaricate illegalmente dal sistema produttivo che produce e smaltisce in nero. 

Di fronte ai roghi, ognuno con storie e origini differenti, si è scatenata una sequela di dichiarazioni di politici, vicini alla giunta, e anche di magistrati che hanno collegato le fiamme all’annuncio dell’inceneritore. Si è arrivati a evocare la mafia. 

Ma c’entra qualcosa? Una delle poche voci fuori dal coro è quella di Alfonso Sabella, un giudice che i malacarne li ha arrestati, già assessore a Roma durante la breve stagione di Ignazio Marino sindaco. 

«Molto probabile che ci siano origini dolose nei roghi, ma non credo che in questa fase ci sia stato l’intervento di mafie o di organizzazioni criminali che intervengono in fasi successive, il tutto trova spiegazione nell’incrocio tra illegalità e incuria che colpisce la capitale da anni», dice Alfonso Sabella. 

E anche in questo caso non basta l’inceneritore a bruciare incuria, illegalità e neanche gli alibi.

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