Il presidente della Conferenza episcopale italiana, Gualtiero Bassetti, ha concesso un’importante intervista al Corriere della Sera sul tema degli abusi sessuali del clero e sulle iniziative che la chiesa italiana ha in animo di assumere per contrastarli.

All’inizio dell’intervista il cardinale conferma la possibilità che anche la chiesa italiana, al pari di quelle nordamericana, francese, irlandese e tedesca, avvii «una ricognizione approfondita e seria» del fenomeno.

Si tratta di una buonissima notizia che però appare subito offuscata da quel che il cardinale dice nel seguito dell’intervista.

In primo luogo, Bassetti non menziona mai l’espressione “commissione indipendente” e anzi fa intendere chiaramente che la Cei vuole determinare nel merito la metodologia dell’indagine, escludendo ogni seria valutazione quantitativa del fenomeno e privilegiando come fonte dei dati «i servizi diocesani per la tutela dei minori», ovvero degli organi interni alla chiesa quasi sempre diretti da personale ecclesiastico di nomina vescovile.  

Quindi, a differenza di quanto hanno fatto quelli francesi e tedeschi, i vescovi italiani non affiderebbero l’eventuale inchiesta a un organismo composto da studiosi davvero indipendenti e autorevoli, messi in grado di agire in forma completamente autonoma dalla chiesa, di richiedere l’accesso ai dossier segretati degli archivi diocesani, di formulare appelli alle vittime sinora rimaste in silenzio affinché raccontino, con la garanzia dell’anonimato, le loro vicende e infine di produrre delle stime quantitative affidabili sulla diffusione complessiva nel fenomeno.

No, la chiesa italiana non si servirebbe di questo strumento, ma di una raccolta di dati generici che provengono dai singoli uffici diocesani, casomai filtrati dall’approvazione del vescovo e dall’imprimatur dello stesso Bassetti.

Insomma, quella che quest’ultimo caldeggia è una sorta di indagine interna affidata ad alcuni sacerdoti e ai loro collaboratori. Le commissioni di inchiesta serie hanno scandagliato soprattutto il passato, da un lato portando alla luce quei crimini che non possono più, per sopravvenuta prescrizione, finire nelle aule di tribunale, dall’altro evidenziando quei nodi strutturali (come la concezione della sessualità e dell’affettività) che sono alla base dei comportamenti abusanti e che richiedono una radicale riforma della chiesa.

Bassetti al contrario sembra guardare soprattutto al futuro e pare in primo luogo preoccupato di convincerci della grande efficacia dei nuovi strumenti di prevenzione di cui sono state, per sua iniziativa, dotate le diocesi italiane.

Il cardinale sembra anche preoccupato di farci capire che quella italiana è una situazione diversa, eccezionale e positiva, nella quale il problema ha una consistenza e una diffusione minori che altrove.

Quel che bisogna soprattutto evitare, a suo parere, è il «giustizialismo», ovvero la tendenza a condannare il clero con troppa severità e precipitazione.  Riassumendo: niente proiezioni numeriche, niente ascolto delle vittime, niente proposte di riforma.

Disorientata e messa con le spalle al muro dall’attivismo riformatore di tanti vescovi europei e dal montare dell’indignazione popolare, la chiesa italiana sta rischiando di reagire nel peggiore dei modi alla “crisi degli abusi”: con dei pannicelli caldi autoassolutori e difensivi che non convinceranno nessuno e che non la proteggeranno dal discredito e dall’impopolarità che avanzerà all’emergere di ogni nuovo scandalo, dinanzi alla scoperta dell’ennesimo prete pedofilo in questa o quella diocesi del Belpaese.

Il torrente diventerà presto un fiume in piena e a quel punto nemmeno l’ospitare sul proprio territorio l’incolpevole vescovo di Roma costituirà un elemento sufficiente ad arginarne il corso.

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