Diciamoci la verità: nonostante i reali progressi nella trasformazione digitale del paese, l'Italia rimane una Repubblica fondata sulla carta. Ce lo ha ricordato una pandemia tutta vissuta a colpi di autocertificazioni da stampare e anche il traffico di bozze e richieste politiche consegnate in risme rigorosamente cartacee durante la crisi di governo.

Non a caso, l'attività produttiva del settore non si è mai interrotta, nemmeno durante il primo lockdown, perché l'Italia senza carta non va avanti. Non sappiamo se i fogli di Renzi fossero riciclati, ma per fortuna il 57 per cento della carta che gira oggi in Italia lo è (e con gli imballaggi si arriva all'80 per cento), i 600 impianti di recupero su tutto il territorio processano e immettono nel sistema 6,56 milioni di tonnellate di carta da macero, dati che ci mettono tra leader europei dell'economia circolare.

Per non sprecare questi risultati, il settore che ha permesso questa transizione, rappresentato da Unirima, da tempo chiede al governo più attenzione, più risorse e meccanismi fiscali più virtuosi. 

Un comparto storico

Non snobbateci, sembrano dire. Il timore è che, mentre l'Italia prova a rendere sostenibili mondi molto più complessi, come trasporti, acciaio, energia, le esigenze e il funzionamento stesso del comparto riciclo vengano dati in qualche modo per scontati, come se facessero parte stabilmente del sistema e non potessero essere messi in discussione.

Questo è in effetti un settore storico, alcune di queste imprese nascono all'inizio del secolo scorso, quando raccoglievano la carta dei giornali vecchi e la smistavano ai mercati, mentre oggi l'output industriale sono gigantesche balle di carta pressata da vendere alle cartiere. Le aziende dei maceri vengono da un tempo in cui l'economia circolare non si chiamava ancora economia circolare e la carta era anzi uno dei terreni sensibili di lotta dell'ambientalismo.

Sembra davvero passato un secolo. Poi l'urgenza climatica ha cambiato le priorità e le parole d'ordine, e quindi nessuno ce l'ha più con la carta in sé. Intanto il settore ha fatto passi enormi verso un ciclo virtuoso, proprio grazie alla produzione di materia prima secondaria, da scarti e rifiuti.

Superare le crisi

Prima di arrivare alle richieste e agli intoppi che rischiano di bloccare il sistema riciclo carta in Italia, serve un po' di contesto. «Questo è un settore strategico che ha retto a tante crisi, compresa quella del CoVid», spiega Francesco Sicilia, direttore generale di Unirima, «Ma il nostro annus horribilis è stato il 2018 e l'epicentro della nostra crisi è stata la Cina».

Da quindici anni infatti l'Italia è un esportatore netto di carta riciclata e il primo mercato di sbocco, fino a tre anni fa, era la Cina. Poi c'è stata la guerra commerciale con gli Stati Uniti di Trump, tra le cui conseguenze c'è stata la decisione cinese di chiudere l'importazione di rifiuti, senza fare nessuna distinzione tra riciclabili e non riciclabili, tra discarica e materiali ancora utilizzabili.

«Xi Jinping lo ha comunicato unilateralmente unilateralmente al Wto, con un documento in cinese mai tradotto: la Cina era chiusa per la spazzatura straniera e non avrebbe importato più rifiuti. Non è servito a niente spiegare che noi non esportiamo rifiuti ma materia prima secondaria, perché non c'è uno standard riconosciuto, così la nostra produzione è finita in lista nera come tutti i rifiuti e non sono mai più tornati indietro». Esportazioni, profitti e resilienza sono crollate, mettendo a rischio il settore.

Un settore da preservare

Il riciclo di carta va preservato innanzitutto per i benefici ambientali, il risparmio di emissioni di produzione e soprattutto di materia prima, perché una tonnellata di materiale riciclato sostituisce in modo quasi equivalente una tonnellata di quello vergine.

«Il settore nasce per necessità, perché quando la produzione di carta diventava un processo su scala industriale c'erano ancora poche foreste in Italia». Oggi la situazione forestale è cambiata, il patrimonio è raddoppiato e sarebbe assurdo andare a intaccarlo.

«Inoltre la carta è interamente riciclabile, tutto quello che non è frazione estranea può diventare materia prima secondaria, al contrario, per esempio, di quanto accade con la plastica». E quindi? Cosa serve per proteggere il settore? Ci sono le richieste attuali, come più fondi nel Recovery plan e la modifica nella raccolta dei rifiuti urbani, ma più a monte c'è la richiesta di «riconoscere l'economia circolare come tale e non costringerla a competere con l'economia lineare».

Dopo una lunga trattativa con il ministero dello Sviluppo economico, nell'ultima bozza del Recovery plan all'intero settore dell'economia circolare sono stati destinati 4,5 miliardi di euro, una cifra che Unirima giudica ancora inadeguata.

Avevano chiesto tre miliardi di euro solo per il settore carta, plastica e metalli, con questa impostazione del governo i fondi per i singoli settori saranno molto più bassi di quanto necessario per gli obiettivi di investimento a lungo termine: rinnovare attrezzature e impianti, migliorare la sostenibilità dei processi, il passaggio a tecnologie più avanzate per aumentare la quantità di materiale riciclato. Insomma, svecchiare e ammodernare.

La seconda richiesta nell'ambito dei fondi Next generation Eu è un contributo straordinario per ogni tonnellata di materiale riciclato dagli impianti, un modo per riconoscere il beneficio ambientale di questa produzione. «È come per lo sviluppo delle rinnovabili, senza incentivi non si può crescere in modo sostanziale».

E infine c'è la questione della Tari per le utenze urbane non domestiche, che sembra una questione tecnica e marginale ma che rischia di essere il tassello che blocca a tempo indeterminato l'evoluzione del riciclo in Italia. «La Tari, cioè la tassa sui rifiuti, è obsoleta, perché dovrebbe essere una tariffa», spiega Sicilia, «ma funziona come una tassa».

La contestazione di fondo riguarda lo smaltimento di carta e cartone da parte delle attività commerciali: negozi, supermercati, bar, studi commerciali. La Tari com'è oggi non premia l'efficientamento, per cui se un'attività si rivolge a un privato per smaltire e riciclare i rifiuti, rinunciando a ricevere il servizio dal comune, non ottiene nessun beneficio e continua a pagare anche per un servizio non più erogato. «La detassazione che si fa oggi è irrisoria, non premia il mercato e il riciclo».

La richiesta era stata fatta per la legge di Bilancio, ed è stata ignorata. Intanto il governo è entrato in crisi, fioccano le interpretazioni locali e l'economia circolare, come tanti settori, rimane ferma in attesa di capire qual è la visione della politica italiana in materia di ambiente.

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