A cercare nel suo passato appartenenze politiche, emergono non solo la partecipazione alla Leopolda del 2019 ma ancora prima i contatti con Vedrò, il think tank bipartisan di Enrico Letta. A volerlo a capo dell’Istituto italiano di tecnologia poi era stato soprattutto Vittorio Grilli, direttore del tesoro con il ministro Giulio Tremonti. Roberto Cingolani, 59 anni, fisico di formazione, esperto di nanotecnologie, intelligenza artificiale, ma anche anzi soprattutto della scienza dei materiali – materia studiata anche dalla moglie - con la politica ha imparato da tempo avere a che fare.

Da Lecce agli investimenti di Genova

Milanese ma solo di nascita, pugliese più che di adozione, Cingolani  si forma all’università di Bari, dove studia fisica e svolge anche il dottorato. Dopo il perfezionamento alla Scuola normale di Pisa e tre anni al Max Planck Institut di Stoccarda, torna di nuovo a Sud, per diventare prima ricercatore poi professore a Lecce, all’università del Salento. È qui che fonda e dirige il suo primo laboratorio di nanotecnologie.

Nel 2005, durante il quarto governo Berlusconi: arriva la nomina a direttore dell’istituto italiano di tecnologia, l’istituto pensato come un polo di eccellenza dell’innovazione su cui si vogliono incanalare e concentrare i pochi fondi che vengono offerti alla ricerca italiana. Cingolani all’epoca assume l’incarico tra i brontolii e le accuse e le critiche aperte del mondo della ricerca italiano lasciato da sempre a bocca asciutta.

La chiamata di Renzi e Finmeccanica

In quattordici anni l’Iit di Cingolani ha registrato un migliaio di brevetti grazie a 1700 scienziati. Quando Matteo Renzi pensa allo Human Technopole, il centro per le scienze della vita e biomedicali da creare a Milano nel dopo expo, il nome a cui pensa di affidarsi è sempre il suo, ma il suo ruolo si ferma alla prima fase di progettazione. E ancora nel 2019 Leonardo Finmeccanica lo chiama come capo dell’innovazione per colmare un divario accumulato negli anni passati.

Quasi omaggiando Vittorio Grilli, spesso desritto come suo arcinemico,  chiama proprio Cingolani a guidare il ministero della transizione ecologica, a cui affida la delega dell’ambiente, dell’energia e una parte consistente, seppure privata del grasso del ministero dei trasporti delle infrastrutture, dei fondi del Recovery plan. In questo ruolo Cingolani deve fare i conti con assenza di una politica industriale coerente sulla rinconversione energetica e con i grandi e a volte contrapposti interessi dei campioni nazionali, Eni, Enel e Snam. E ancora una volta è chiamato a far fruttare un grande investimento fatto su di lui.

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