L’11 dicembre del 2012 Ludovico Gay, dirigente pubblico, già direttore del servizio promozione dell’attuale Masaf e dirigente generale di una società controllata del ministero, Buonitalia S.p.A., è finito agli arresti (insieme ad altre undici persone) nel carcere romano di Regina Coeli con l’accusa di aver distorto soldi pubblici destinati a finanziare iniziative di formazione e comunicazione nel settore agroalimentare. La richiesta di arresto preventivo è stata avanzata dal pm Stefano Rocco Fava e firmata dal giudice per le indagini preliminare Flavia Costantini. Secondo gli inquirenti il sistema messo in piedi coinvolgeva altre 37 persone tra dirigenti e imprenditori, accusati a vario titolo di aver sottratto 32 milioni di contributi pubblici. 

Gay rimane quattro mesi nel carcere romano e viene scarcerato dopo il giudizio della Corte di Cassazione a cui aveva fatto ricorso che aveva riconosciuto l’insussistenza delle motivazioni di custodia cautelare. Ma ci sono voluti dieci anni prima che il manager venga risarcito per ingiusta detenzione e due sentenze di assoluzione perché «il fatto non sussiste».

Carriera stroncata e il risarcimento

Per Ludovico Gay l’ultima decade è stata molto complicata. Il calvario giudiziario non solo ha portato alla perdita del lavoro ma ha anche stroncato la sua carriera, provocando pesanti ripercussioni personali. In questi anni Gay ha dovuto anche sopportare una gogna mediatica pubblica che lo aveva già additato come colpevole. 

A giugno l’ex dirigente ha presentato le proprie istanze alla Corte d’appello di Roma per chiudere una volta per tutte l’assurda vicenda giudiziaria. A settembre, la Corte decide di riconoscere le sue ragioni ribadendo la mancanza di qualsiasi profilo di colpa, la totale inconsistenza delle accuse e riconoscendo che già durante l’interrogatorio di garanzia Gay aveva dato una propria versione dei fatti, con spiegazioni e prove documentali, che, «se fosse stata esaminata con cura sin dalla fase delle indagini preliminari sarebbe emersa la carenza della gravità del quadro indiziario, come poi affermato nella sentenza di assoluzione».

Non solo, i giudici di appello hanno riconosciuto il «comportamento collaborativo» di Ludovico Gay e il fatto che gli elementi informativi offerti dallo stesso avrebbero «potuto e dovuto essere apprezzati in maniera più approfondita». Nella sua sentenza la Corte ha riconosciuto a Gay il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione con una somma risarcitoria di circa 170mila euro. L’ex dirigente è l’unico degli indagati a cui per il momento è stato riconosciuto il risarcimento. Tra gli altri è stata anche archiviata la posizione di Riccardo Deserti, direttore del Consorzio del Parmigiano Reggiano.

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