Zhang Dayong, l'uomo freddato in strada a Roma la sera di lunedì 14 aprile, secondo la Procura antimafia di Firenze faceva parte della mafia cinese. Era uno dei membri del clan guidato da Zhang Naizhong, considerato tra i capi assoluti nel settore europeo del trasporto merci su gomma.

La mafia dei camion: il tentativo di monopolizzare il settore della distribuzione in Italia, Francia, Spagna e Germania. Dayong era uno dei collaboratori più fidati in Italia di Naizhong. Insieme ad altre 37 persone, attendevano l'esito del processo di primo grado in corso a Firenze: associazione mafiosa, omicidi, estorsioni, bische clandestine.

Non solo l’omicidio

Tutto descritto nell'informativa della Squadra mobile di Prato confluita nell’inchiesta della Dda fiorentina “China Truck”, che nel 2018 portò all'arresto di oltre cento persone. Com'è finita? Con Naizhong in Cina, espatriato dopo meno di un mese di carcere grazie al ricorso vinto dai suoi legali, mentre Dayong era rimasto a vivere a Roma. Ha trovato la morte insieme alla compagna, Gong Xiaoqing, al rientro nella loro casa al Pigneto, uccisi con sei colpi di pistola davanti al palazzo. Sul duplice omicidio indagano i carabinieri del comando provinciale di Roma.

Di sicuro c'è che negli ultimi tempi gli animi sono tornati a scaldarsi tra i gruppi criminali cinesi di stanza in Europa, soprattutto a Prato. A luglio scorso, nella capitale italiana del made in Italy da mani cinesi, le autorità italiane hanno dato notizia del tentato omicidio di Chang Meng Zhang, imprenditore del settore tessile, aggredito da un commando di sei persone arrivato appositamente dalla Cina. Ad ottobre un altro imprenditore cinese ha trovato la sua auto in fiamme, accanto una bara con la sua foto. Poi ci sono stati gli incendi a capannoni e attività commerciali. Sei nel giro di sette mesi. Tra questi quello avvenuto il 16 febbraio scorso alla Elt Express. È un'azienda di trasporti del capoluogo pratese, intestata a Zhang Di, il figlio di Zhang Naizhong, che dopo il clamore dell'inchiesta sul padre ha aperto diverse altre società. Sono intestati a lui, infatti, anche i magazzini di Madrid e Parigi bruciati di recente con le stesse modalità usate nell'attacco della Elt Express del figlio di Naizhong: un pacco bomba azionato da remoto, con all'interno una bottiglia incendiaria.

Tutti questi eventi fanno pensare che l'omicidio di Dayong, collaboratore storico del boss Naizhong, possa rientrare in una vera e propria guerra in corso tra i gruppi cinesi che da anni controllano il trasporto di merci prodotte dalla comunità sinica europea. Secondo gli atti dell'inchiesta China Truck, Dayong faceva parte di «un’associazione di tipo mafioso operante nel territorio di Prato, Firenze, Roma e anche in Stati esteri come Francia, Germania e Spagna»: così ha scritto il 20 febbraio del 2020, nella richiesta di rinvio a giudizio, la procura di Firenze.

Oltre alle attività illecite del gruppo, l'inchiesta svelò anche i rapporti tra Naizhong e qualcuno dei vertici della Repubblica popolare cinese. Nel 2017 le intercettazioni cristallizzarono uno strano episodio: gli uomini del boss accompagnarono infatti in un giro notturno di Roma un importante leader del governo di Pechino, mai identificato, venuto in quei giorni in Italia per una visita di Stato.

La storia del processo China Truck non è stata finora fortunata per la Procura di Firenze. Tra interpreti mancanti e notifiche non eseguite, ad oltre cinque anni da quella richiesta tutto è ancora fermo al primo grado.

«Lo spezzo in un attimo»

Dayong, detto Asheng, classe '72, veniva dalla stessa regione del boss Naizhong: lo Zhejiang, quella da cui proviene la maggioranza dell'emigrazione cinese in Italia. Ma Dayong non era ai vertici dell'organizzazione. Era un collaboratore importante del capo, ma secondo chi ha indagato su di lui all’epoca, non un parigrado criminale.

Per conto di Naizhong controllava le bische a Roma, ricavate nei locali karaoke, e lavorava da esattore (altra delle tante attività attribuite al gruppo), senza lesinare sulla violenza nei confronti dei debitori. Nelle intercettazioni fatte dalla Polizia di Prato nel 2012, si capisce chiaramente quali erano i rapporti tra Dayong e il boss. Naizhong, capo indiscusso dell'organizzazione, sta parlando al telefono con un suo collaboratore. Discutono di un litigio interno che ha tra i protagonisti proprio Dayong, descritto come una testa calda.

Lo vogliono aiutare a risolvere la contesa pacificamente. Naizhong, chiamato dai suoi l'Uomo Nero, dice: «Davanti a me è solo un piccolo rametto...lo spezzo in un attimo!». Era il 2012. In mezzo ci sono stati gli arresti, i sequestri, la scarcerazione, il processo, il ritorno in Cina del boss, con amici e figli lasciati in Europa a curare gli affari, a presidiare il mercato.

Tutto per evitare che qualcun altro potesse cercare di impadronirsene. Ma l’ultimo omicidio e gli attentati recenti fanno pensare che qualcuno voglia prendersi il suo impero italiano, o meglio europeo. Chi? Concorrenti della stessa organizzazione?, è la pista più probabile. Oppure altre mafie con cui si è rotta l’alleanza?

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