In pubblico è tutto legalità e giustizia. In privato mostra disprezzo per chiunque, ringhia, inveisce contro i magistrati che vorrebbe “pigliare a legnate”, erutta minacce. E promette vendette: «Un ci nné pì nuddru». Non ce n’è per nessuno. Nemmeno per il ministro dell’Interno Angelino Alfano, al quale manda messaggi obliqui. Ai convegni parla un italiano incerto, alle cene con i suoi complici la lingua che usa è un siciliano arcaico di difficile comprensione per i contemporanei.

Giovanni Crescente, che è stato direttore di Confindustria Caltanissetta per un paio di anni, ricorda: «Gli scrivevo i discorsi e una volta mi cancellò dal testo la parola consesso, dicendomi che certi vocaboli era meglio non usarli per non creare imbarazzo alla platea». Consesso, troppo osé per l’assemblea dei soci imprenditori. Disagi verbali e malizie paesane.

Un giorno fa pubblicare su un foglio locale la notizia che l’università La Sapienza gli ha conferito, «durante una solenne cerimonia in un albergo di Roma», una laurea honoris causa in Economia e Commercio. Il giorno dopo il magnifico rettore smentisce. La settimana successiva, lo stesso foglio corregge il tiro: la laurea del Cavaliere Montante è dell’università di Berkeley. A leggere con attenzione fra le righe si capisce però che non è quella californiana dei Nobel ma quella sconosciuta di Berkley. Una “e” in meno che fa la differenza.

Doppia faccia

È uno degli uomini più potenti d’Italia e sembra appena uscito dall’antro di un’isola che non c’è più o da un satyricon di Ciprì e Maresco, confuso fra quei personaggi grotteschi di Cinico Tv. Ma sono le microspie che ascoltano la voce di Calogero Antonio Montante detto Antonello a disvelare, implacabilmente, l’altro suo volto. Intercettazioni spietate. Uno sdoppiamento di personalità, tipo dottor Jekyll e Mister Hyde, che ha reso agli investigatori meno faticosa la ricerca di un nome in codice per loro inchiesta. L’hanno chiamata operazione Double Face, doppia faccia, proprio come quella dell’uomo che avevano sotto indagine. Due Montante, uno in versione istituzionale e l’altro nascosto. Il rispettabile vicepresidente di Confindustria, commosso e pensieroso insieme al suo socio Ivan Lo Bello, a prua di una di quelle navi cariche di bambini che ogni 23 maggio attraccano ai moli di Palermo per ricordare il giudice Falcone.

E l’imprenditore vorace che trama a ogni ora del giorno e della notte contro qualcuno, che va a caccia di una targa dell’auto di un magistrato per tentare un ricatto, che manovra come un pupo il governatore della Sicilia. In giacca e cravatta in prefettura mentre decide quali aziende devono scivolare nelle “white list” antimafia (c’è sempre la sua) e quali nelle “black list” (ci sono sempre quelle della concorrenza) e travestito da ciclista con caschetto e salopette quando va a trovare la sua amica Linda Vancheri per indurla alla falsa testimonianza alla vigilia di un interrogatorio. Sorridente e affettato mentre fa il baciamano alla presidente dell’Eni Emma Marcegaglia, guardingo e insieme audace quando la sua penna-registratore cattura le conversazioni degli ignari interlocutori che sono un capo della polizia, il suo avvocato, l’ex deputato in cerca di una poltrona, l’amico, perfino suo fratello. Nel fascicolo processuale c’è il mondo occulto di Calogero Montante, quello che lui immagina al riparo da orecchie indiscrete, inaccessibile. Solo suo.

Per quasi tre anni si serve di utenze intestate a una vecchietta di un paesino della Sicilia interna, a una casalinga di Asti, a una signora nata in provincia dell’Aquila e residente a Roma. Fa bonificare la sua villa di Serradifalco dalle “cimici” ma è una pulizia elettronica troppo superficiale. È sicuro che altri non lo possano mai ascoltare ma prende un abbaglio e subisce pure la beffa. Parla a ruota libera sul suo cellulare ma il suo cellulare - dal giugno 2014 alla primavera del 2017, tutto l’arco dell’indagine - non sarà intercettato nemmeno per un secondo. Una scaltra scelta investigativa, dettata proprio dall’interesse di non captare le comunicazioni “ufficiali” di Antonello ma quelle clandestine.

È aggressivo, sempre pronto a colpire. Una sera è in auto con uno dei maggiordomi al suo servizio, il vicepresidente della Camera di commercio di Caltanissetta Giuseppe Valenza, che gli sta raccontando di un incontro al Viminale con il ministro Angelino Alfano. Gli risponde sprezzante Montante: «U’ faciva o u’ faciva», lo faceva o lo faceva. E aggiunge: «Sa di chi si preoccupava iddru...nun lu sapi nuddru..ì, tu e iddru u sapimu...». Traduzione: sa il ministro di cosa deve preoccupparsi, non lo sa nessuno, solo io, tu e lui lo sappiamo. Segreti.

Minacce al pm

È a tavola però dove Calogero Montante dà il meglio di sé, circondato dai suoi cortigiani. Soprattutto uno, Michele Trobia, presidente del circolo del tennis di Caltanissetta, un pittoresco personaggio che si precipita a fare i salamelecchi ai nuovi questori e ai nuovi prefetti che arrivano in città per poi attirarli nel suo giro. Spesso cenano insieme. Trobia lo aizza contro tutti coloro che Montante considera nemici: «E allura Antonello c’ama a fari, ci ama rumpuri u culu a tutti? Ni pigliammu sta bella soddisfazione..». E Montante: «U culu ci lu spaccammu di sicuru». La scena si ripete più volte. Nella villa di Montante a Serradifalco, nel ristorante del circolo del tennis.

A cena ci sono Montante e signora, Michele Trobia e signora e altre due coppie. Il presidente del circolo a tarda sera resta solo con sua moglie Rosanna e ripete a memoria le parole pronunciate a tavola da Montante: «Prima u pigliu a lignati e dopo u scassu». Prima lo prendo a bastonate e poi lo faccio a pezzi. Bersaglio di uno scoppio d’ira è Stefano Luciani, il sostituto procuratore della repubblica che indaga su di lui. Ma è solo una frase, poi ce n’è un’altra: «Prima paga Luciani.. tutti devono pagare, se la deve aspettare una vendetta». E anche una terza: «Se ne esce vivo è una fortuna». I coniugi Trobia ironizzano poi sul cibo ingurgitato da Montante: «Chiddru si mangiò un cufinu di pani, un piattu e minzu di risu... tutta a vacilata di funghi..». Una montagna di pane, un piatto e mezzo di riso, una bacinella stracolma di funghi. Calogero Montante si sfoga anche con Giuseppe Catanzaro, il “re della monnezza” siciliana.

Catanzaro gli dice che è andato a trovare il prefetto Nicola Diomede (prima nella segreteria tecnica del ministro Alfano, poi allontanato da Agrigento perché coinvolto nello scandalo di una società che gestiva la distribuzione dell’acqua) e all’improvviso Antonello sibila: «Ricordati sta data che ti dico io...un ci nné pì nuddru». Annotano i poliziotti nel loro rapporto: «Il Montante, quindi, affermava che se la situazione fosse degenerata, non avrebbe salvato nessuno perché avrebbe colpito molte persone dicendo tutte cose». Nella stessa telefonata rassicura Catanzaro sull’inchiesta che lo riguarda: «Perché pensavano che cu na botta cadiva». Pensavano che con un solo colpo (l’avviso di garanzia per mafia) mi potessero abbattere. E cita due precedenti a suo vantaggio: «Pi’ i cose serie no pi’ minchiate, pi’ cosi serie a mafia seria Schifani da indagato diventò e restò presidente del Senato». Renato Schifani, seppure indagato per mafia (poi prosciolto) è diventato e rimasto presidente del Senato. Con Catanzaro fanno anche il nome di un altro fortunato: Saverio Romano (anche lui indagato per mafia e anche lui prosciolto), nominato ministro dell’Agricoltura in un governo Berlusconi.

Le sfuriate

A volte Montante si infuria e sputa fuoco. Quando per esempio si lamenta con Diego Di Simone, il capo della security di Confindustria, perché alle sue telefonate non risponde più Arturo De Felice, che è il capo della Direzione investigativa antimafia. Sbotta: «La gente sono una merda, si pigliano i favori, gli abbiamo cambiato la vita..». Il riferimento è ai due figli di De Felice che ha fatto assumere con le sue raccomandazioni.

Calogero Montante è molto interessato anche a giornali e giornalisti. Dà del “coglione” al governatore Rosario Crocetta che, a suo dire, non sa gestire l’ufficio stampa della regione. E, poi, dovrebbe comportarsi altrimenti per assicurarsi una certa benevolenza dalle cronache. Lo spiega all’assessore regionale alle Attività produttive Mariella Lo Bello, una della sua cerchia stretta. Le dice: «Dunaci du miliuna l’anno e non rompono più i coglioni..capisti?». Capito? La considerazione che Calogero Montante ha per la nostra categoria decisamente non è altissima. E, in qualche caso, forse non senza ragione vista l’esperienza diretta che ha avuto. Fra l’altro ben documentata, in una sessantina di pagine, nell’inchiesta a suo carico.

© Riproduzione riservata