Sarà ancora Malagò-Resto del Mondo? La domanda è paradossale, ma ieri pomeriggio, quando nel Salone d’Onore del Coni il presidente uscente ha firmato degli orgogliosi e polemici saluti per il suo mandato che è ormai agli sgoccioli si è avuta una sensazione: la partita del dirigente romano dentro queste stanze e questi palazzi non è del tutto chiusa. Anzi, per niente.

Giovanni Malagò sarà il king maker di maggioranza (la sua, non quella governativa) delle elezioni che designeranno il suo successore il prossimo 26 giugno. E questo appuntamento potrebbe proiettare per l’ennesima volta il film di questi anni, una sfida del presidente che fa i bagagli con quel “resto del mondo” che gli è stato come minimo avversario e qualche volta nemico: gli autori della legge che ha istituito Sport e Salute ridimensionando il ruolo del Coni, certo (ma non tutti, Malagò ha avuto parole al miele per Giancarlo Giorgetti); qualche avversario interno poco solidale nel corpo a corpo per cedere meno prerogative possibili; pezzi di maggioranza governativa, primo fra tutti Andrea Abodi, il ministro dello Sport con cui soprattutto negli ultimi tempi c’è stata una faticosa convivenza.

I nomi in campo

Non è un caso che chi aspettava un endorsement di Malagò in direzione di qualche candidatura in divenire, ha dovuto invece ascoltare un altro spartito: la rivendicazione del lavoro fatto, che non è bastato però a strappare l’agognata proroga, almeno fino all’appuntamento di Milano-Cortina.

«I conti sono ok, i risultati sono stati straordinari, ma siamo arrivati oggi e prendo atto che non è giusto avere un mandato in più per completare quel percorso iniziato quando l’Italia era ridotta male e dopo aver ricostruito la nostra credibilità».

Il riferimento non è tanto a un’epoca precedente, quella di Gianni Petrucci, il gran capo del basket che peraltro è vicinissimo al presidente uscente e ieri ha pronunciato un appello alla ricomposizione soprattutto in direzione dei due anti Malagò per eccellenza, i numeri uno di tennis e nuoto, Angelo Binaghi e Paolo Barelli, ma al lavoro per impedire che il Coni diventasse piccolo piccolo, del tutto ininfluente.

Come numero 1 del Coni, questa la sua lettura, ha impedito che le cose si mettessero ancora peggio di fronte all’applicazione della riforma battezzata a fine 2018 dal governo giallo verde. Quella che istituiva Sport e Salute e sottraeva al Coni il patrimonio impiantistico (prima di tutti lo stadio Olimpico di Roma) e la “cassa” dello sport italiano, cioè le risorse per gli organismi sportivi, in particolare le federazioni.

Il modello Coventry

Ma come farà Malagò a giocare la partita con il “resto del mondo” se non potrà candidarsi? Di certo non sarà la stessa cosa, di certo una cosa è condurre tutto in prima persona, un’altra gestire un percorso verso una soluzione amica, un po’ come ha fatto qualche settimana fa Thomas Bach sostenendo, non in forma ufficiale ma sostanziale, l’elezione di Kirsty Coventry alla sua sostituzione. Malagò potrebbe fare qualcosa del genere, ma questo itinerario sembra avere più variabili e tutto sembra ancora in movimento.

Anche perché semplificare così un quadro in grande evoluzione è senz’altro riduttivo. E perché, diciamoci la verità, tutte le candidature che sono uscite o stanno uscendo presentano dei curriculum inattaccabili dal punto di vista sportivo.

Quelli più vicini a Malagò e quelli meno, per dire Luca Pancalli da una parte e Luciano Buonfiglio e Diana Bianchedi dall’altra. Ricordando che alla corsa si è iscritto anche un outsider, l’ex velista Ettore Thermes. Questi nomi non possono essere letti unilateralmente, da una parte i figli o i fratelli di Malagò, dall’altra chi con lui non ha una grande sintonia.

Si sa per esempio che Pancalli, presidente paralimpico uscente, non gode dell’appoggio del numero uno non più candidabile. A quanto sembra, c’è stato un incontro in cui tutti e due i numeri uno dello sport italiano di questi ultimi anni hanno preso atto delle rispettive intenzioni.

Ma Pancalli non ci sta a essere considerato il “candidato della politica”. Ed è convinto di avere delle carte importanti per dimostrarlo, anche la sua trasversalità in termini parlamentari visto che nel suo profilo c’è, è vero, la stima di Abodi ma anche un’esperienza amministrativa romana, pure breve con il centrosinistra ai tempi di Marino.

Insomma, una cosa è l’essere espressione della politica, una cosa è invece poter essere l’uomo giusto per un dialogo virtuoso. Inoltre l’avvocato che ha in bacheca una collezione di medaglie paralimpiche vinte in piscina, è convinto di poter rappresentare più di tutti gli altri un’idea di sport che tenga insieme risultati e aspirazione alla moltiplicazione di una pratica sportiva in cui l’Italia è nella seconda colonnina della classifica.

Certo la campagna elettorale servirà anche a capire, per esempio nell’indicazione dei candidati alla giunta della sua cordata, quale sarà il suo livello di autonomia dai diversi poteri che si incrociano in questa sfida.

ANSA

La novità Bianchedi

Al tempo stesso, pure nel fronte Malagò sarebbe sbagliato e ingiusto attribuire a Luciano Buonfiglio e a Diana Bianchedi il ruolo di “gregari” del capitano. Buonfiglio è il presidente della canoa, è anche il vice a livello internazionale, è stato numero due di Malagò nella prima legislatura, ha il consenso di diversi presidenti federali che dicono «ora è il momento di uno di noi» e vedono con un certo scetticismo la potenziale candidatura di Bianchedi.

Bianchedi che in un’intervista alla Gazzetta dello Sport ha dato una disponibilità a scendere in campo, ma non ha ancora ufficializzato la sua corsa. Di certo, però, il suo nome ha una legittimità che non si ferma alla rottura di un tabù, visto che sarebbe la prima donna alla guida del Coni dalla sua nascita in un sistema sportivo dove una dirigente donna è storicamente una rarità.

Campionessa olimpica di fioretto a squadre due volte, medico, ben vista dal Cio, anni di lavoro olimpico anche lontano dai riflettori, potrebbe essere la Coventry del Coni. Ma ieri, nel corso della giornata e fino alla riunione informale serale dei presidenti federali, si sarebbe levata più di una voce scettica. E nessuno esclude che la carta vincente del mazzo possa ancora essere coperta visto che per candidarsi c’è tempo fino al 5 giugno.

Milano-Cortina

Per il Coni è in fondo una sfida nella sfida. Da una parte si tratta di prendere atto che inseguire nostalgicamente il passato scegliendo lo spartito conflittuale e sognando perennemente la rivincita contro il potere politico reo di aver invaso ingiustamente il campo è una strategia ormai consumata.

Dall’altra mantenere la barra di un minimo di autonomia, anche di fronte alla crescente politicizzazione, nel senso della vicinanza sempre più tale a Fratelli d’Italia, dei “cugini” di Sport e Salute, è un tentativo di evitare una resa senza condizioni.

Per fortuna, i candidati in campo, sembrano garantire una sintesi costruttiva di queste due esigenze. Nel frattempo, Malagò ha rilanciato su un altro fronte, quello del Cda di Milano-Cortina che senza il suo doppio ruolo di presidente del Coni e presidente del Comitato organizzatore rischia di far saltare l’equilibrio raggiunto a quota 14 membri con un’equa distribuzioni fra membri sportivi e non sportivi. Manca ancora troppo tempo, però, per capire manovre ed effetti in cui si svilupperà la campagna elettorale. Siamo solo all’inizio. Sì, potrebbe essere un altro Malagò-Resto del Mondo. Ma magari stavolta si giocherà su un campo diverso.

© Riproduzione riservata