Ci sono i primi indagati per la mancata zona rossa in Val Seriana tra il 3 e il 7 marzo che ha portato all’esplosione del contagio da Covid-19: la procura di Bergamo ha iscritto nel registro degli indagati l'ex direttore generale della sanità lombarda, Luigi Cajazzo, l'allora suo vice Marco Salmoiraghi, e una dirigente dell'assessorato Aida Andreassi.

I due dirigenti sanitari bergamaschi hanno avuto un ruolo chiave nella gestione della chiusura e, dopo poche ore, della riapertura del pronto soccorso dell'ospedale Pesenti Fenaroli di Alzano, dopo che il 23 febbraio scorso erano arrivati dei pazienti con i sintomi del Covid.

I tre sono accusati di epidemia colposa sulla mancata istituzione di zone rosse ad Alzano e Nembro. Sono stati iscritti nel registro degli indagati anche Francesco Locati e  Roberto Cosentina, il primo ex dg della Azienda socio sanitaria territoriale di Bergamo e il secondo direttore sanitario.

Per cercare di far luce su quanto successo gli ultimi giorni di febbraio e i primi di marzo ad Alzano e Nembro e nel resto della Val Seriana, la Guardia di finanza (Gdf) ha acquisito il contenuto del telefono dell'assessore al Welfare Giulio Gallera, che non è indagato. La Gdf ha acquisito inoltre materiale informatico, scambi di email e chat contenute nei telefonini dei dirigenti di Regione Lombardia. In particolare, le Fiamme Gialle si sono concentrate sugli scambi di messaggi avvenuti tra febbraio e giugno, il periodo più critico della pandemia. «Le operazioni si sono svolte in un clima di massima collaborazione senza necessità di procedere a perquisizioni», fa sapere in una nota la Procura.

Come raccontato da Domani, la regione Lombardia non ha comunicato in tempo i dati sulla circolazione del virus nel territorio regionale a inizio pandemia.

Una lunga riflessione

Prima di procedere la procura di Bergamo ha atteso quattro mesi. A giugno la decisione sugli indagati era data per prossima dopo che i Pm anno ascoltato il premier Giuseppe Conte e poi i ministri della Salute Roberto Speranza e dell'Interno Luciana Lamorgese. Il procuratore facente Funzione Maria Cristina Rota con il pool di pubblici ministeri titolari dei fascicoli che riguardano il caso dell'ospedale di Alzano e le morte nelle Rsa, e che sulla vicenda della zona rossa avevano già sentito tra gli altri il presidente della Lombardia Attilio Fontana e l'assessore Gallera.

La ricostruzione

Per ricostruire quel che accadde in quei giorni tra il 3 e il 7 marzo scorsi, la procura si è servita anche di tutta la documentazione e i carteggi raccolti tra l'istituto Superiore di Sanità, Il Governo centrale e quello regionale. L'obiettivo dei pm bergamaschi, guidati da Cristina Rota, è capire cosa è accaduto nella struttura sanitaria in quei giorni in cui l'emergenza ha cominciato a colpire la provincia di Bergamo. E soprattutto perché, anche se i sindaci avevano chiesto di circoscrivere le zone dove il contagio mordeva di più, si sia invece preferito aspettare e poi istituire un lockdown generale.

Cajazzo aveva riferito ai pm che la decisione di riaprire il pronto soccorso di Alzano, dopo aver individuato i primi casi di coronavirus, «era stata presa in accordo con la direzione generale della Asst di Bergamo Est». Decisione che era arrivata dopo aver accertato che era «tutto a posto»: i locali sanificati e predisposti «percorsi separati Covid e no Covid». Una versione che però è stata smentita da un'inchiesta giornalistica del Tg1 che il 10 aprile aveva mandato in onda un servizio in cui un medico presente alla riunione del 23 febbraio raccontava che a decidere fu lui: «Il 23 febbraio è arrivata la chiamata del direttore generale dell'assessorato al Welfare Cajazzo, che ha detto: non si può fare, perché c'è almeno un malato di Covid in ogni provincia, non possiamo chiudere oggi Alzano, tra due ore Cremona. Quindi riaprite tutto».

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