Le squadre vincitrici delle ultime due edizioni si sfidano in anticipo sui tempi, nel turno che assegna un posto agli ottavi di finale. Il nuovo formato non fa prigionieri. Non si cura della storia, né del blasone. Non si capisce se è grandeur, snobismo o democrazia. La discussione sulle novità prodotte dalla variazione della formula: ha portato più competitività oppure ha accentuato il divario fra piccole e grandi?
Diciamolo, anche se ha tutta l’aria di essere un luogo comune: Manchester City-Real Madrid sembra una finale in anticipo sui tempi. Invece quello di stasera è soltanto un play-off di inizio febbraio e decreterà l’eliminazione di una delle due dalla coppa, accontentiamoci. Perché la nuova Champions League non fa prigionieri. E non si cura della storia, né del blasone. Non si capisce se è grandeur, snobismo o democrazia. Però a molti piace così, e il cliente (anche quello del fútbol) ha sempre ragione.
Ci sono dei motivi per questa soddisfazione generalizzata tra una buona fetta di tifosi, e in fondo sono tutti validi. La scorsa stagione, molto prima delle ultime partite del girone, ben 13 squadre si erano già assicurate un posto negli ottavi. Praticamente tutte, un esito scontato e senza colpi di scena. Quest’anno no, è stato diverso. Non tanto nella sostanza (alla fine le 8 qualificate agli ottavi sarebbero state più o meno le stesse, anche alla presenza dei gironi più classici). L’adrenalina sta più nell’idea, nell’incertezza, nella suspense. Una volta tanto l’agone non ha conosciuto noia e nessuna banalità ha preso il sopravvento.
Prima dell’ultima giornata solo Liverpool e Barcellona si erano assicurate un posto negli ottavi di finale, grazie al piazzamento tra le prime otto in classifica. Quindi, con 27 squadre ancora in gioco, ci si aspettava una conclusione della fase a gironi emozionante. È andata anche meglio: pareva Squid game.
L’ex portiere dell'Inghilterra Joe Hart ha dichiarato alla Bbc che «era il sogno della Uefa: vedere tutti in gioco, con qualcuno come il Manchester City sull'orlo dell'eliminazione». Evitata, dagli uomini di Pep Guardiola, soltanto grazie a una vittoria in rimonta contro il Club Brugge. «Il fatto che tutte le squadre possano potenzialmente uscire dalla competizione accresce l'interesse per il turno successivo, i play-off», ha aggiunto ancora Hart quasi emozionato.
Siamo sempre lì: vogliamo vedere l’arena, il combattimento, e magari il finale inatteso. David che batte Golia piace sempre, in tutte le forme, perché rappresenta l’imponderabile. E creando un format in cui le squadre affrontano otto avversarie diversi in una fase di campionato culminata con 64 gol nelle ultime 18 partite, i decisori della Uefa sono sicuri di essere riusciti a eliminare la sensazione che le fasi iniziali siano ripetitive.
Gli entusiasti
Percezione che devono aver avuto anche i dirigenti italiani. Beppe Marotta, ad dell’Inter, ha definito quello della nuova Champions «un format inedito e adrenalinico». Banditi i calcoli, si gioca per vincere. E se perdi il rischio è restare a casa per davvero, non ci sono santi. Per molti la nuova Champions sembra aver restituito il thrilling anche alla fase iniziale. Ne è prova proprio questo City-Real, due squadre che nelle ultime due edizioni della competizioni erano arrivate in fondo, tra le più forti d’Europa e del mondo, club di livello assoluto.
Certo, ha detto a Tnt Spots l'ex attaccante della Scozia e dei Rangers Ally McCoist: «A volte questo girone unico è stato un po’ caotico perché si segnavano gol ovunque. Non credo che sarò mai più in grado di guardare una sola partita a casa mia, sul mio divano. È stato sensazionale».
Pare che nessuno con questa nuova Champions possa più nascondersi. Il rischio flop è troppo alto. Lo hanno visto le italiane, lo hanno vissuto le squadre più forti del continente. Il Milan, per esempio, era rimasto in dieci uomini dopo che le sue speranze di un posto tra le prime otto erano state infrante dalla Dinamo Zagabria, che a sua volta aveva lottato senza successo per raggiungere i play-off. E il Real Madrid, vincitore per ben quindici edizioni della coppa, è riuscito ad arrivare solo all'undicesimo posto, acciuffando per i capelli l’accesso a questo play-off.
Le critiche
Non tutti però vedono il nuovo formato della Champions così elettrizzante e innovativo. Molti ex giocatori come Stephen Warnock hanno fatto notare che «non importa cosa sia successo, alla fine avrai comunque le grandi squadre più avanti nella competizione». Per molti tutto quello che è successo prima conta poco o comunque sempre meno di quello che verrà.
L’ex ct dell’Italia Roberto Donadoni ha detto che «la vera bellezza del torneo è da questo momento in avanti, con le gare ad eliminazione diretta e il pathos del dentro o fuori. Ci sarà un'atmosfera diversa».
La lunga marcia di avvicinamento agli scontri diretti è stata per tantissimi solo una banale perdita di tempo. E molti opinionisti in tutta Europa si sono interrogati su un altro aspetto, la durata della prima fase: troppo lunga? Un dibattito che si è acceso già diverso tempo fa, quando la Uefa annunciò in pompa magna le variazioni della formula Champions e il suo nuovo formato. Furono moltissimi a schierarsi contro. Tra le voci più glamour c’era stata anche quella di Guardiola.
«Dovremo chiedere alla Uefa di allungare l'anno e portarlo a 400 giorni. Ogni stagione è la stessa cosa, i giocatori amano giocare, ma si infortunano. La Uefa lo sa, ovviamente, ma gliene importa? Di sicuro no». Concetti ribaditi anche di recente, proprio dopo la fase iniziale, da grandi ex come Thierry Henry e Jamie Carragher affermando che i giocatori moderni vengono «trattati come bestiame» e «spremuti fino allo sfinimento».
Lo stesso ha detto Carlo Ancelotti, tecnico del Real, che non ha mai nascosto la sue perplessità: «Bisogna rispettare la classifica e la qualificazione agli ottavi. Mi piace questo formato? No. Perché ci sono più partite e la mia idea di calcio è ridurle per diminuire l'usura dei calciatori, non aggiungerne altre».
Lo squilibrio
Non è tutto. Alcune vecchie, cattive abitudini sembrano essere rimaste. Non ultima quella delle differenze tra club e club. Il giornalista inglese Dan King, nella sua rubrica di opinione per il Sun, ha espresso la sua frustrazione, affermando che «perfino la Superlega sarebbe stata migliore» rispetto allo spettacolo offerto in questa edizione della Champions League.
L’amministratore delegato della Lega Serie A, Luigi De Siervo, ha ricordato che la Uefa è stata brava «nel costruire il progetto della nuova Champions, ma che ha lo stesso effetto della Superlega sulle leghe nazionali». Dimenticandosi, però, che in Champions ci possono comunque andare tutti. Non c’è l’esclusività. E partite come City-Real, a questo punto della competizione, sono un bagno di modestia.
Qualcosa andrà forse corretto perché qui non è wonderland: nell’ultima giornata disputata, cinque delle nove partite giocate si sono concluse con uno scarto di più di tre gol, tra cui spiccano il 5-0 del Barcellona contro lo Young Boys e il 7-1 del Borussia Dortmund sul Celtic di Glasgow. E a dire il vero non solo l’ultima giornata: molte partite sono finite con scorsi altissimi (il 25% dei risultati supera il 3-0), segno che il divario tra big e formazioni di secondo e terzo livello non si è assottigliato, al contrario.
Così, nell’incertezza generale, per assicurarsi la qualificazione i grandi club hanno dato priorità alla differenza reti. Non si sa mai. King, nella sua critica, ha paragonato alcune partite a «una lotta tra cristiani e leoni nel Colosseo romano», sottolineando la scarsa competitività di certi incontri. Ed è per questo che molti hanno cominciato a invocare la riesumazione del corpo della Superlega. Non si è mai contenti.
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