La direttiva Renzi del 2014 sulla desecretazione delle carte sulle stragi ha escluso dall’elenco quelle contenute nei faldoni titolati P2 e Gladio. In pratica il provvedimento prevedeva che ogni amministrazione pubblica in possesso di documenti su un certo elenco di avvenimenti relativi ad un arco di tempo tra il 1969 e l’84 ha il dovere di riversarli all’Archivio centrale dello Stato. Tutti tranne quelli riferiti alla loggia massonica di Licio Gelli e alla struttura parallela della Nato, Gladio appunto. 

Un criterio di cui sfugge la logica se non quella più elementare: siccome la direttiva stabilisce il libera tutti per i documenti relativi a certi fatti, tutte stragi, con l’eccezione di Ustica, considerati atti di guerra “di fatto”, non dichiarata, di matrice terroristica nera, e in larga parte impuniti. La direttiva li elenca uno per uno: strage di piazza Fontana (1969), di Gioia tauro (1970), di Peteano (1972), della Questura di Milano (1973), di piazza Loggia a Brescia e del treno Italicus (1974), di Ustica e della stazione di Bologna (1980) e del treno rapido 904 (1984). Tutto il resto non conta.

La promessa di Conte

Qualunque sia stato il criterio il Comitato consultivo sulle attività di versamento istituito presso la presidenza del Consiglio ha chiesto da tempo di riparare a quella falla. Ora si apprende dalla direttrice dell’Archivio Flamigni, Ilaria Moroni – esponente del Comitato insieme a rappresentanti della Sovrintendenza dell’Archivio Centrale e del Lazio, storici (Melis, Panvini, Biscione e altri) e numerose associazioni di familiari delle vittime - che l’ex presidente Giuseppe Conte aveva promesso una nuova Direttiva.

Lo annunciò il viceministro dell’Interno Vito Crimi alla riunione del 29 luglio 2019 del Comitato consultivo. «Stiamo elaborando una nuova Direttiva, sulla scia di quella predisposta nel 2014, incentrata sulla documentazione relativa alla P2 e Gladio. L’indicazione arriva proprio dal presidente Conte», disse Crimi  - la citazione è ripresa dal verbale della riunione che Domani ha potuto leggere.

L’iniziativa, ovviamente, è evaporata insieme a tutta quella esperienza di governo. Ma la rete delle associazioni non molla la presa e chiede un reset per rendere più efficace l’operazione di versamento degli atti, confidando su nuove iniziative da parte del Presidente del Consiglio Draghi e del suo uomo delegato ai Servizi, Gabrielli.

Il problema è complicato e non riguarda solo quelle due paroline, P2 e Gladio. Anche se non averle aggiunte all’elenco ha forse  impedito di trovare qualche preziosa informazione relativa a quelle stragi. Per ricostruire la verità, affogata nell’intreccio perverso tra le strutture dello Stato e quelle occulte, occorre un lungo lavoro di paziente e meticolosa ricomposizione di ciascun pezzo. A meno che non si voglia confidare nell’apparizione di una improbabile pistola fumante.

Più trasparenza

Proprio per queste ragioni, del resto, l’iniziativa di desecretare quegli atti fu accolta con grande favore dalla comunità scientifica, dall’attivissimo mondo degli Archivi e dalle associazioni delle vittime. Persino i più scettici erano comunque propositivi, «non sarà facile ma a questo punto possiamo muoverci, cominciare a lavorare».

Una strada di trasparenza intrapresa sulla scia della Direttiva Prodi, che nel trentennale dell’omicidio di Moro rese consultabili presso l’archivio centrale dello Stato tutti i documenti relativi alla vicenda prodotti da varie amministrazioni dello Stato.

Come è andata a finire? Non bene, secondo gli addetti ai lavori. Il problema cardine resta sempre lo stesso: come si valutano i versamenti se non si conosce cosa c’è in quell’archivio? «Noi vogliamo che ci siano consegnate tutte le serie complete!», dice Ilaria Moroni  «e non solo quei faldoni che portano sul dorso il nome della strage, abbiamo sempre chiesto un maggiore coinvolgimento delle associazioni indipendenti che devono poter comprendere l’importanza di un archivio».

Perché nessuno di loro ha mai assistito alla apertura di un armadio: come poter dare una valutazione adeguata? Nessuno ha una visione d’insieme e queste non sono faccende su cui basta la parola, occorrono procedure che garantiscano la massima trasparenza per tutti.

Soprattutto perché quel che è stato versato è davvero poca roba. Spesso raccolte di giornali, oppure fogli già consegnati da tempo alla magistratura, fino al paradosso di un black out: quello del ministero dei trasporti che non ha mantenuto neppure una carta degli anni a cavallo delle stragi di Ustica e Bologna.

Aspettando Draghi

In più c’è un aspetto paradossale: le buone intenzioni della direttiva Renzi si sono trasformate in una arma di distruzione degli archivi: «I criteri dettati per la consegna delle carte», spiega la dottoressa Moroni «hanno smembrato le serie storiche, in sostanza avviene questo: se in un lungo elenco di faldoni ne spuntano alcuni con i titoli richiamati dalla direttiva vengono presi e versati, creando un buco in ciò che resta nell’armadio».

Un danno di cui non è ancora chiara l’entità. Quel che è certo è che c’è molta aspettativa per le prossime iniziative. Tutto ruota attorno alla chiarezza delle indicazioni del governo: in una delle riunioni del Comitato consultivo il capo del Dis, il Dipartimento che coordina i servizi di sicurezza, ha fatto un intervento molto chiaro: «Se noi abbiamo indicazioni chiare, ‘versa questo e quello’, noi versiamo. Altrimenti è tutto più difficile».  La parola dunque a Mario Draghi e al su uomo più fidato, Franco Gabrielli.

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