Medellin è solo a mille chilometri dall’equatore e per questo il tramonto non tarda mai. Le sei del pomeriggio sono lo spartiacque oltre il quale si scatena un brulicare di gente, musiche e voci in quella che per lungo tempo è stata la città più pericolosa al mondo, con il picco di 30 omicidi al giorno nel 1991.

Trent’anni dopo quel primato è stato perso e la città vive una stagione di crescita in apparenza euforica. Al clima di violenza e rassegnazione sembrerebbe essersi sostituita una volontà diffusa di rinnovamento e una maggiore sensibilità per la giustizia sociale.

Ma guardandola da vicino, camminando per le sue strade, Medellin si mostra disorientata, in bilico tra un passato da dimenticare e un futuro incerto su cui costruire.

L’emerso e il sommerso

Bevo una birra su una delle panchine del parque Lleras, centro nevralgico della vita notturna del Poblado, il quartiere più ricco della città. Si avvicina un ragazzo, il suo volto è nascosto da un mazzo di rose.

Chi ha passato un solo giorno nella città di Pablo Escobar – il trafficante di droga più ricco e sanguinario della storia, morto ammazzato il 2 dicembre 1993 – è abituato a vedersi interrompere qualsiasi attività da una miriade di persone di ogni età intente a vendere qualcosa (magliette della nazionale contraffatte, frutta tropicale, hormigas culonas), chiedere qualcosa (soldi, latte in polvere per i bambini), offrire qualcosa (un aiuto a parcheggiare la macchina, a sorvegliarla, a lavarne il parabrezza al semaforo).

I due milioni e mezzo di abitanti di Medellin sono divisi in due, l’emerso e il sommerso. I due mondi si parlano e si incontrano, l’uno vive delle briciole dell’altro ma questa fitta relazione non annulla la distanza tra chi consuma e chi è consumato. Il 47 per cento dei colombiani vive del cosiddetto “lavoro informale”. Significa che un colombiano su due vive di espedienti, alla giornata.

I profughi venezuelani

Al ragazzo delle rose rifiuto l’offerta ma lui non si scoccia e mi si siede a fianco come a riprendere le forze. Chiacchieriamo. L’accento lo tradisce. Venezuelano? Annuisce. Negli ultimi anni il numero di profughi venezuelani immigrati in Colombia è cresciuto esponenzialmente.

Nel 2021 sono 1.842.390, il 56 per cento dei quali senza documenti. Mi racconta la traversata del confine a piedi, i trafficanti che gestiscono i varchi nella foresta, i cinque figli appresso. Si alza la maglietta ed esibisce fieramente il tatuaggio che ne elenca i nomi affiancati dalla data di nascita a ornare le costole.

L’età di ognuno si potrebbe misurare dal grado di sbiadimento dell’inchiostro sulla pelle. Mentre parliamo c’è una parte di lui che sfugge, che segue il suo sguardo vigile. Quando adocchia un gringo mi chiede scusa e si alza scattante per offrire le sue rose. Chi non compra gli lascia comunque qualche banconota, lui ringrazia, stringe la mano e zoppicante ritorna da me.

Mi spiega che al parque Lleras si lavora bene. Non tanto le rose, quelle sono un pretesto. I soldi veri si fanno quando fa buio e si aprono le danze di una caccia silenziosa e ormai rodata allo straniero. Mi fa notare gli ambulanti che vendono gomme da masticare e sigarette. Dopo una certa ora il loro procedere si fa più circospetto e al gridato “chicles, cigarrillos” affiancano un bisbigliato “marihuana, cocaina, ecstasy”. Lo pronunciano avvicinandosi di soppiatto.

La prostituzione

Tra il crepuscolo e il buio la piazza si riempie di ragazze in equilibrio su tacchi altissimi. Sfilano avanti e indietro indossando corti vestiti dai colori sgargianti. Al centro della piazza c’è una teca e all’interno della teca una madonna. Qualcuno lascia dei fiori, lei vigila con espressione addolorata.

L’attesa di un cliente da parte delle ragazze è dapprima calma, ma con il passare delle ore si fa smaniosa. Circondano la piazza affiancate dalle volanti della polizia che presidiano la zona giorno e notte, spesso dotate, oltre che di normali auto, anche di un camion che ricorda un mezzo per trasportare bestiame e sembrerebbe lì solo per incutere timore.

Il ragazzo delle rose dopo una buona mezz’ora di chiacchiere si presenta, si chiama Kaber, si pronuncia Keiber. Mi spiega che la sua principale fonte di introiti viene dalla prostituzione. Se procura un cliente a una delle ragazze che si prostituiscono, il 20 per cento della tariffa spetta a lui. Il suo obiettivo professionale è trovare clienti stranieri, che pagano meglio. Nel migliore dei casi il turista gli commissiona anche della cocaina o del 2cb, un’anfetamina dagli effetti psichedelici di cui la Colombia ha il primato produttivo. Ha l’aspetto della cocaina ma è di colore rosa, viene chiamata “tusi”, diminutivo di “tusibí” ed è una delle droghe più costose sul mercato, simbolo dei festini dell’upper class colombiana. Un grammo di cocaina di buona qualità costa 15mila pesos, l’equivalente di 3 euro e mezzo. Un grammo di 2cb costa il triplo.

Barrio Antioquia

Kaber mi racconta che per evitare di incorrere in altri problemi con la polizia – ha già passato sette anni in carcere in Venezuela per una rapina a mano armata – non gira mai con la droga. Potrebbero perquisirlo in qualsiasi momento e sa bene che i poliziotti sono particolarmente ostili ai clandestini e tendono a intensificare i controlli.

Quando un turista americano o europeo lo avvicina per chiedere dritte sulle ragazze in vendita lui prende l’ordine anche per la droga. Si dilegua dalla piazza con il suo passo claudicante, dovuto a un incidente in moto, e inizia la sua corsa verso Barrio Antioquia, un quartiere popolare a un paio di chilometri dal centro, famoso come grande piazza di spaccio dove è possibile reperire ogni tipo di sostanza a prezzi convenienti.

Preso ciò che gli è stato ordinato, torna prima che il cliente entri con l’escort in uno dei numerosi hotel o Airbnb che costellano la zona del parque Lleras.

L’operazione richiede circa un’ora. Quando la quantità di droga richiesta è ingente, vale la pena di spostarsi in taxi e tornare prima sul campo, aguzzando la vista per individuare un gruppo di uomini più bianchi e più alti della media, affinare l’udito per intercettare una lingua diversa dallo spagnolo, delle Birkenstock ai piedi o qualche altro segno distintivo del turista straniero.

Il potere d’acquisto del turista

L’esterofilia in Colombia assume le sembianze del servilismo ed è evidente a ogni livello, dal venditore ambulante al poliziotto. Se da un punto di vista del commercio, lecito e illecito, il gringo rappresenta un cliente generoso o ingenuo con cui poter alzare i prezzi, per le forze dell’ordine è qualcuno a cui non è necessario far rispettare la legge che pure sarebbe parecchio severa in fatto di droga.

Un trentenne statunitense venuto in vacanza con gli amici per un addio al celibato mi racconta di essere stato fermato dalla polizia nel cuore della notte mentre tornava in hotel barcollante sotto l’effetto di stupefacenti. «Mi hanno detto di fare il bravo e mi hanno dato una pacca sulla spalla».

I clienti più ambiti per la prostituzione sono gli israeliani. Si tratta quasi sempre di ragazzi che scelgono la Colombia come meta per passare l’anno sabbatico che segue i tre anni di servizio militare. «Pagano meglio del resto degli europei e degli statunitensi, sono giovani e belli».

Distinzioni recenti, frutto dell’aumento e della diversificazione del flusso di turisti registrato negli ultimi anni e del bisogno di catalogare le nazionalità di provenienza a seconda del potere d’acquisto. Fino a un decennio fa gli stranieri erano considerati genericamente gringos, e ritenuti più o meno tutti statunitensi, statistica impressionistica che corrispondeva in effetti a quella ufficiale.

La Colombia ha però acquisito negli ultimi anni nuovo lustro e la sua fama di luogo insicuro è andata affievolendosi anche in Europa. Solo a Medellin durante il 2021 i visitatori stranieri sono stati circa 300mila.

Non è facile stabilire esattamente quanti di loro siano stati attratti da un’idea di divertimento sregolato facilmente accessibile e a buon mercato. La storia dei cartelli della droga degli anni ‘80 e ‘90, insieme all’epica intorno alla figura di Escobar alimentata dal cinema hollywoodiano, hanno contribuito a rafforzare l’idea per cui il paese sudamericano sarebbe una sorta di zona franca dove produzione, commercializzazione e consumo di stupefacenti sono apertamente tollerati se non addirittura incoraggiati.

Pablo Escobar

Molti sono in effetti i tour che guidano i turisti-voyeur del crimine nei luoghi simbolo del magnate della droga. E a poco sono valsi i tentativi dell’amministrazione comunale di smantellare il sistema idolatrico che genera cattiva fama ma larghi profitti. Il turismo quindi si è fatto largo. La città ne trae beneficio, ne è orgogliosa, cerca di farne un perno simbolico della sua crescita economica.

Poco importa che questo turismo sia in gran parte narcoturismo o turismo sessuale e crei una forma subdola di colonialismo portato da chi è convinto che il denaro possa comprare tutto: non solo sostanze illecite, corpi e compiacenza di ragazze che soddisfano lo stereotipo della voluttuosa donna latina, ma anche il tacito benestare del poliziotto a cui, nel peggiore dei casi, basterà offrire un centinaio di dollari per tornarsene in hotel senza problemi.

Quando incontro un gruppo di ragazzi italiani e inizio a fare qualche domanda mi liquidano velocemente: dicono di essere venuti per il buon clima e tornano a fare la fila per entrare in discoteca.

Solo uno di loro mi spiega che ci sono parecchi blog sul divertimento in città, alimentati dagli stessi viaggiatori, con dritte anche sulla droga e sul costo dei servizi sessuali. Gli indirizzi IP sono bloccati in modo che non possano essere visti in Colombia. Questo è il primo canale.

Il secondo è il passaparola: non solo tra i giovani ma anche tra i pensionati che scelgono Medellin come meta per sfuggire all’inverno e allo sguardo giudicante delle loro città.

Un pensionato americano sulla sessantina seduto al tavolo di un locale che affaccia sul parque Lleras dice di essere a Medellin per godersi finalmente il suo retirement. Ama il caldo e la gentilezza della gente. Lo saluto quando tenta di offrirmi da bere.

La sera dopo lo vedo passeggiare davanti alla schiera di ragazze con i tacchi a spillo. Kaber lo conosce, è un suo cliente abituale. Mi riferisce che gli ha chiesto di me, offrendo 200 dollari.

La tratta di minorenni

Il prezzo per un’ora di sesso parte da 250mila pesos, circa sessanta euro, un quarto del salario minimo che in Colombia è di 223 euro al mese. Una donna che lavora su questa piazza da parecchi anni mi spiega che nell’ultimo anno la tariffa è sotto pressione per la concorrenza delle ragazze venezuelane che si offrono a prezzi stracciati.

Negli altri quartieri, dove la clientela è locale, si arriva a malapena a 50mila pesos, poco più di dieci euro. Nella fascia alta ci sono invece gli optional: la tariffa per una ragazza vergine, molto richiesta dai clienti più anziani, può raggiungere gli 800mila pesos, 185 euro.

La prostituzione minorile è uno dei risvolti più violenti del narcoturismo e del turismo sessuale: non solo perché alimenta la tratta di minorenni dalle zone più povere del paese ma anche perché introduce ragazzine poco più che quindicenni a un forte consumo di stupefacenti utile a sopportare i ritmi del mestiere.

L’amministrazione comunale ha tentato di arginare il fenomeno imponendo un coprifuoco per i minorenni dalle 19 alle 5 del mattino nella zona della movida, è evidente che molte delle ragazze in mostra per i clienti hanno meno di diciotto anni. Ne vedo una sfilare disinvolta con un uomo sulla sessantina che fuma un sigaro cubano mentre le cinge i fianchi con l’altra mano. Ha lunghe gambe nude, capelli corvini, un viso di bambina coperto dal trucco.

La polizia

Li seguo con lo sguardo finché non girano l’angolo, dirigendosi verso la calle 10, una strada piena di hotel e affittacamere. I poliziotti guardano da una decina di metri, indifferenti.

La sera dopo sembrano invece uscire dal letargo. Mi hanno visto per più giorni chiacchierare, fotografare e registrare le testimonianze di Kaber, il venditore di rose venezuelano, e si avvicinano per chiedermi cosa ci faccia una come me con uno come lui. Rispondo che siamo amici.

Mi intimano di allontanarmi per il mio bene. Mi dicono che è schedato, che vende droga; rispondo che non fa niente, stiamo solo parlando. Mentre i toni si scaldano e io inizio a innervosirmi, un poliziotto strattona Kaber e lo carica sul camion da bestiame di cui non avevo capito la funzione. Lo ammanetta, in piedi, con una mano fissata a un tubo. Riprendo la scena e dico che non possono portare via una persona senza un mandato o una flagranza di reato.

Alzo il tono della voce cercando di attirare l’attenzione di qualcuno ma non so nemmeno a chi chiedere aiuto, dal momento che la polizia è già impegnata. Vengo minacciata di arresto e mi viene chiesto il cellulare per eliminare il video. Inizio a camminare nervosamente in cerca della compagna di Kaber che trovo poco dopo con un bambino in braccio e l’altro sulle spalle, intenta a vendere caramelle ai passanti. Sono le undici di sera.

Le racconto l’accaduto e le lascio il mio numero di telefono nel caso avesse notizie. Il giorno dopo mi avvisa che il compagno è tornato all’alba, senza rose e senza soldi. Me lo passa. Mi racconta di essere stato bendato e trasportato in una zona disabitata dove gli è stato tolto tutto ciò che aveva.

Uno dei poliziotti ha strappato le banconote che aveva guadagnato quella sera mentre un altro lo pestava infierendo sulla gamba zoppa. Dopo il pestaggio è stato abbandonato in un bosco, dove è rimasto fino all’alba, quando è riuscito ad alzarsi e ha iniziato a camminare per tornare a casa.

Ritorno in Italia

All’indomani ho il volo per tornare in Italia. Io e Kaber non ci saluteremo. So che deve trovare i soldi per ricomprare le rose e pagare l’affitto settimanale della casa in cui vive con i figli e la compagna in un quartiere popolare a un’ora e mezza di viaggio dal suo posto di lavoro, il Parque Lleras dove i turisti comprano le rose per le ragazze sui tacchi a spillo. In ogni caso è stato bandito dalla zona, adesso dovrà cambiare piazza.

Dopo qualche giorno lo chiamo da Milano. Kaber mi risponde, felice di sentirmi. Lo immagino nello spazio angusto di una casa di lamiera accerchiato da cinque bambini urlanti, invece mi racconta di essere stato investito e di trovarsi in ospedale. Mi manda foto orribili di una gamba sfracellata. Se non trova i soldi per pagare l’affitto entro la fine della settimana la compagna e i bambini verranno sfrattati, ma non mi chiede niente.

Ripenso alla sera in cui vidi la ragazza, con i bambini aggrappati addosso, offrire caramelle ai passanti. Ripenso agli spiccioli degli ambulanti e alle banconote degli stranieri. Ripenso all’americano che ho visto lanciare centinaia di dollari dalla terrazza di un locale e alla folla di disgraziati che si è chinata a raccoglierli.

Mi torna in mente la famiglia insediata su un marciapiede vicino alla casa dei miei genitori, a pochi isolati dal Parque Lleras, che a camminarci affianco si ha la sensazione di violare uno spazio domestico. Uno dei bambini è avvolto da una coperta in pile, steso dentro una scatola di cartone. Ogni tanto passa un americano e lascia una banconota.

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