Propofol e succinilcolina. Due farmaci impiegati nelle terapie intensive per intubare i pazienti, per regalare ancora una speranza ai casi più gravi strappando un po’ di tempo alla morte. Usati invece per spegnere in pochi secondi la vita di pazienti malati di Covid, in una stanza del pronto soccorso di un ospedale lombardo, mentre l’impressionante flusso di malati gravi superava la capacità di cura delle strutture sanitarie.

È l’agghiacciante ricostruzione della procura di Brescia, che ha chiesto e ottenuto l’arresto del primario facente funzione del pronto soccorso dell’ospedale di Montichiari, un presidio periferico degli Spedali Civili di Brescia, il 47enne Carlo Angelo Mike Mosca. Il Gip ha disposto per il professionista gli arresti domiciliari, ravvisando il pericolo di reiterazione del reato e di inquinamento delle prove.

Le accuse

Le accuse per il medico sono di omicidio plurimo e falso in relazione alla morte di due pazienti, ma le indagini sono più ampie e riguardano la morte di quattro persone tra i 60 e gli 80 anni, decedute a Montichiari tra il 20 e il 22 marzo scorso, nel pieno dell’epidemia che nella primavera scorsa ha travolto la Lombardia. Un’inchiesta riservatissima condotta dai sostituti procuratori Federica Ceschi e Corinna Carrara, che ha trovato i primi riscontri negli accertamenti tossicologici sulle salme esumate e trasferite in gran segreto presso il dipartimento di Medicina legale e tossicologia dell’Università di Padova, grazie alle consulenze tecniche affidate al medico legale Antonello Cirnelli e alla tossicologa Donata Favretto.

Mancano le tracce scritte

In almeno un caso, quello di un signore di 80 anni, gli esami avrebbero confermato la presenza di Propofol, un farmaco usato in anestesia e rianimazione che può portare alla morte del paziente se non accompagnato da un’assistenza adeguata, perché deprime il sistema respiratorio. Le vittime erano arrivate al pronto soccorso di Montichiari con quadri gravi di Covid-19 ma non sarebbero state in condizioni disperate. La somministrazione del farmaco risultato letale non è stata segnata nella cartella clinica, circostanza che ha portato anche all’accusa di falso nei confronti del medico.

A far scattare gli accertamenti dei Nas era stato un esposto presentato lo scorso aprile da un infermiere del pronto soccorso, che riferiva della morte improvvisa di almeno 5 cinque pazienti Covid in seguito all’azione di farmaci prescritti dal dottor Mosca, dando indicazioni a voce o intervenendo personalmente, senza lasciare tracce scritte.

Una sorta di “protocollo” informale, secondo la ricostruzione dei pm, che ruotava intorno a due farmaci comunemente usati in anestesia e rianimazione: il Propofol, un ipnotico che addormenta i pazienti, e la succinilcolina, un miorilassante che paralizza i muscoli prima dell’intubazione. Se dopo la somministrazione però la manovra salvavita non viene eseguita, il paziente non è in grado di respirare e muore soffocato.

La situazione difficile di marzo

L’azienda ospedaliera Spedali Civili di Brescia è una delle più colpite dalla prima ondata ed è arrivata a ricoverare nei suoi presidi contemporaneamente fino a 950 pazienti nel marzo del 2020. In quel momento, secondo quanto raccontato agli inquirenti da medici e infermieri dell’ospedale di Montichiari, la sproporzione tra le esigenze di cura e i mezzi a disposizione era drammatica, mancavano i caschi Cpap per la ventilazione e in alcuni casi i sanitari si sono trovati a seguire contemporaneamente una ventina di pazienti critici dal punto di vista respiratorio, avendo l’ossigeno disponibile solo per la metà.

Lo stesso Mosca - hanno riferito i colleghi medici agli investigatori del Nas - all’inizio dell’emergenza avrebbe deciso di intubare un paziente Covid direttamente in pronto soccorso, ma poi avrebbe avuto una discussione con gli anestesisti perché non c’era posto per trasferirlo in rianimazione.

Cremonese, specialista dell’emergenza urgenza e docente a contratto dell’Università di Brescia, Mosca in passato ha lavorato anche al pronto soccorso dell’ospedale Carlo Poma di Mantova.

Nel giugno scorso aveva raccontato in un’intervista al Corriere la sua esperienza in prima linea durante la prima ondata, lontano dai famigliari e colpito dalla valanga di morti provocate dal Covid: «Alcuni decessi sono stati rapidi» commentava il dottore, riferendo di sentire ancora «il fischio dell’ossigeno, anche adesso che è tutto spento».

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