Lo scudetto più inatteso. Il Milan torna in cima al calcio italiano dopo 11 anni e ciò avviene al termine di una stagione iniziata senza particolari aspettative da parte della gente rossonera. Non era un trionfo atteso e non è nemmeno esagerato dire che da parte milanista si era pure smesso di alimentare aspettative. Quasi si fosse entrati dentro una sterminata transizione della quale non si vedeva il punto di arrivo.

E invece tutto a un tratto l’arrivo era qui, con la vittoria netta contro il Sassuolo e in fondo alla stagione più equilibrata nella storia del calcio italiano. Equilibrata in basso, ma senza che ciò significhi sminuire i meriti della squadra guidata da Stefano Pioli. Che anzi ha i meriti e le potenzialità per proporsi come il manifesto di un movimento calcistico come quello nazionale.

Che dopo aver toccato il punto più basso (si spera) dello sfacelo tecnico ed economico con la seconda eliminazione consecutiva dalla fase finale dei mondiali e avere consolidato l’irrilevanza nella competitività internazionale dei club, da qualche riferimento dovrà pur ripartire per sperare di edificare una nuova grandezza.

In quest’ottica, il Milan costituisce un riferimento positivo. Perché è tornato a vincere dopo undici stagioni durante le quali ha anche toccato momenti di preoccupante mediocrità nei risultati e di allarmante confusione societaria.

E perché durante le stagioni sotto la gestione di Elliott management ha affrontato un percorso virtuoso sul piano economico-finanziario, mantenuto anche durante le fasi in cui la tifoseria (abituata a ben altre glorie) mugugnava per la mancanza di risultati e alcuni fra i calciatori di maggior quotazione se ne andavano via allo scadere del contratto per non avere visto soddisfatte le crescenti pretese economiche. Questo scudetto inatteso è anche il premio per una linea di gestione societaria che infine si è vista dare ragione anche sul campo.

Pioli, il trionfo dell’uomo normale

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Il Milan non era la squadra più forte di questo campionato. Confrontando i due gruppi appare chiaro che l’Inter (che ha vinto inutilmente contro la Sampdoria) fosse più attrezzata nonostante avesse dovuto rinunciare, la scorsa estate, a calciatori importanti per ragioni di equilibrio finanziario e all’allenatore che l’aveva appena portata a vincere lo scudetto numero 19.

Ma ciò è ulteriore merito per la squadra rossonera e soprattutto per chi l’ha guidata a vincere a sua volta il 19° scudetto, Stefano Pioli. Che è un anti divo per vocazione, un uomo il cui culto del lavoro si coniuga con un equilibrio e un rigore morale che lo hanno reso amatissimo dal gruppo.

Arrivato a metà girone d’andata della stagione 2019-20, Pioli sembrava soltanto una soluzione momentanea. Al termine della stagione scorsa pareva che la sua avventura rossonera fosse giunta al termine, col tedesco Ralf Rangnick dato per certo come suo sostituto.

Invece la società ha opportunamente scelto di rinnovargli la fiducia. Venendo ripagata oltre le attese. Per Pioli è una rivincita personale nei confronti di chi fino a ieri lo ha giudicato “uno da squadra provinciale”, e che con lui in panchina il Milan fosse destinato a proseguire il periodo di transizione senza arricchire la lista dei trofei. I risultati dicono altro.

Al termine della prima stagione interamente condotta sulla panchina rossonera (la 2020-21) è giunto il ritorno in Champions League dopo un’assenza durata sei annate, mentre al termine della seconda stagione è arrivato lo scudetto dopo undici stagioni di digiuno.

Il Milan era stata l’ultima squadra a vincere lo scudetto prima che iniziassero nove anni di dittatura juventina. Un’era geologica fa, col pareggio 1-1 del Meazza a segnare un cambiamento d’epoca (e il gol fantasma di Sulley Muntari che avrebbe potuto scrivere diversamente la storia di quella stagione e delle successive) e Massimiliano Allegri sulla panchina rossonera, talmente integrato nel mondo rossonero da essere identificato come nemico dalla tifoseria juventina.

Fra allora e adesso c’è un’unica linea di continuità: Zlatan Ibrahimovic, che allora faceva la differenza sul campo e adesso risulta fondamentale per il carisma che proietta sul gruppo.

Un cammino regolare

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Il segreto del successo milanista è racchiuso in una dote démodé quanto il termine che la denomina: regolarismo. Una dote che esalta il principio del muoversi sempre, anche a piccoli passi e con pochi strappi. Così venivano condotti i campionati nell’epoca in cui la vittoria veniva premiata coi 2 punti.

Ma col giungere dell’epoca dei 3 punti per la vittoria il regolarismo è stato cancellato dalla mappa concettuale del calcio. Serviva che prendesse vita un campionato di corse imbrigliate, condotto a velocità da safety car, perché questa dote venisse riscoperta.

E in un torneo dai ritmi così stemperati ha vinto la squadra che, nella piena consapevolezza dei propri limiti, ha saputo tenere i nervi saldi anche quando pareva che l’avversaria principale prendesse il largo e avesse delle risorse superiori per quantità e qualità. In questo senso il Milan ha quasi fatto campionato a sé, rispettando una propria velocità da crociera.

Senza avvertire l’ansia di accelerare il passo quando pareva che le avversarie fossero sul punto di prendere il largo. Questa dote temperamentale è stata il motivo del successo rossonero. Che al termine di un derby con l’Inter durato una stagione intera è arrivato a pareggiare il computo degli scudetti: 19 a 19, entrambe a un passo dalla seconda stella.

Lo scudetto come regalo d’addio

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Avversarie sul campo, le due milanesi sono accomunate su altri piani. A partire dal complesso dossier del nuovo stadio, una partita ancora tutta da giocare e per niente scontata.

Ma è soprattutto il futuro societario a indicare interessanti spunti d’analisi. Entrambe sotto proprietà straniere, Inter e Milan devono fare i conti con passaggi societari a breve o medio termine. Nel caso del Milan, la gestione da parte di Elliott anagement è data ormai prossima alla conclusione.

E che ciò avvenga giusto dopo il ritorno allo scudetto è circostanza simbolica, da interpretare a partire da chiavi di lettura che possono essere ampiamente discordanti. Qualcuno potrà sostenere che al fondo Usa non siano mai interessati i risultati sportivi, altri sosterranno l’opinione opposta e diranno che per Elliott la salute finanziaria del Milan e il suo rilancio siano stati una missione primaria rispetto ai risultati sportivi.

Come sempre la verità sta nel mezzo. Ma al di là degli opposti punti di vista rimane incontestabile che il Milan, sotto la gestione del fondo, sia stato tirato fiori dalla condizione di avvitamento nella mediocrità cui l’aveva condannato l’ultimo quinquennio di berlusconismo declinante e abbia iniziato una lenta ma costante risalita. Che nella giornata di ieri a raggiunto il culmine e apre la strada verso una nuova fase di crescita.

Di questa nuova fase, salvo sorprese, Elliott non farà parte. E quando sarà possibile analizzare in prospettiva storica la gestione operata da mister Paul Singer, si guarderà con più serenità e maggiori elementi al senso di questa avventura.

Rimane in eredità uno scudetto inatteso, che in qualche misura richiama alla memoria quello vinto al termine della stagione 1998-99 con Alberto Zaccheroni alla guida tecnica. Erano altri tempi, profondamente diversi erano il campionato italiano e la squadra che lo vinse.

Ma quella squadra ebbe il merito di rilanciare un cammino che si era arrestato dopo gli improbabili ritorni in panchina di Arrigo Sacchi e Fabio Capello. Allo stesso modo, questo Milan giovane può aprire un nuovo ciclo sulla spinta di uno scudetto giunto al di là di ogni previsione. Chi rileverà la società da Elliott si troverà fra le mani un’ottima base tecnica sulla quale costruire e un brand rilanciato ad alti livelli. Il medioevo rossonero potrebbe essere terminato ma dipenderà dalla nuova proprietà non farlo tornare.

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