L’ultimo episodio di insulti negli stadi ha coinvolto il portiere del Torino Vanja Milinković-Savić. Dopo la sua denuncia in tv, nulla è successo. Qualche settimana fa il sampdoriano Akinsanmiro è stato ammonito per aver reagito alle offese di un avversario: la riforma promessa dal presidente Gravina, rieletto per la terza volta, non c’è mai stata
Sul razzismo negli stadi, l’Italia è ancora ferma all’anno zero. La denuncia fatta sabato scorso dal portiere del Torino Vanja Milinković-Savić – che al termine della partita contro l’Atalanta ha dichiarato di aver ricevuto insulti discriminatori da alcuni tifosi avversari – è l’ennesima conferma di un fenomeno che il calcio italiano non sembra avere la capacità di affrontare.
Dopo le parole del serbo a DAZN non è successo praticamente nulla: sui suoi canali social, la Serie A ha ignorato l’episodio, il Torino ha inspiegabilmente atteso la mattina di lunedì (quasi due giorni dopo) per pubblicare un post in favore del suo giocatore, ma sul sito del club non è presente alcun comunicato.
Una situazione quasi paradossale, se pensiamo a come agiscono le società sportive all’estero in casi del genere. Proprio sabato sera, dopo la sconfitta interna contro il Fulham, il giocatore del Newcastle Joe Willock ha subito offese razziste sui social network, il club inglese ha diffuso all’istante un comunicato di condanna, la polizia ha reso noto di aver aperto un’indagine per individuare e sanzionare i responsabili. Quando in Inghilterra si verificano episodi del genere in campo, poco dopo la fine della partita entrambe le squadre coinvolte ne prendono le distanze.
La stessa cosa avviene ormai regolarmente anche in Spagna: dopo gli abusi subiti al Mestalla il 19 gennaio dal giapponese Kubo e dai baschi Oyarzabal e Barrenetxea della Real Sociedad, sia il club di San Sebastián sia il Valencia hanno condannato quanto accaduto. Il Valencia ha pure annunciato di aver aperto un’indagine interna per individuare ed espellere i responsabili.
In seguito ai numerosi episodi che hanno visto come vittima Vinícius Jr., la Liga ha iniziato a prendere posizione e denunciare alla polizia i razzisti negli stadi. Nulla di tutto questo avviene in Italia, dove anzi si assiste ancora a situazioni come quella del mese scorso in Serie B con Akinsanmiro della Sampdoria: dopo aver reagito a delle offese razziste arrivate da alcuni tifosi del Brescia, il centrocampista nigeriano è stato ammonito e nel dopo-partita accusato dall’allenatore avversario Bisoli di aver «incitato la violenza».
La questione dell’ammonizione che reagisce alle discriminazioni è emersa con forza nella primavera del 2023, quando l’allora interista Romelu Lukaku venne ammonito (poi espulso per doppio giallo) in una simile circostanza. Il presidente della FIGC Gabriele Gravina, rieletto ieri per un terzo mandato con il 98% dei voti, aveva cancellato la squalifica del belga, promettendo di cambiare le regole e tutelare meglio le vittime di razzismo. Come dimostra il caso di Akinsanmiro, si è trattato solo di parole. Quasi due anni dopo, la riforma nel regolamento ancora non c’è stata.
Gli esempi all’estero da cui prendere spunto per migliorare non mancano, ma sembra carente la volontà di agire, sia da parte della FIGC sia nelle leghe professionistiche, fino agli stessi club. Lo scorso giugno, parlando nell’Aula Magna di Coverciano, il responsabile della commissione arbitrale Gianluca Rocchi si diceva lieto che nella stagione precedente ci fosse stato un solo caso di razzismo tra pubblico e giocatori in Serie A.
Il dato, però, era gravemente sottostimato: Rocchi citava solo l’episodio di Maignan a Udine, non quelli che avevano visto protagonisti gli juventini Vlahović, Kean e McKennie contro la Fiorentina, il cagliaritano Makoumbou contro l’Hellas Verona.
Ancora più problematico era il fatto di ritenere un successo il presunto calo degli episodi a fronte di nessuna azione concreta per contenerli né, soprattutto, sanzionare i responsabili. Nel caso di Akinsanmiro, il giudice sportivo ha disposto 12.000 euro di multa per il Brescia, mentre nella relazione della procura federale si quantificavano con inaudita precisione i responsabili in un 8% dei presenti nel settore interessato.
Eppure, davanti a questa stima così precisa, non risulta che qualcuno di essi sia stato identificato.
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