Triste, solitario y final. È iniziato l’ultimo Mondiale per club così come lo abbiamo conosciuto in questo millennio, prima di far spazio a un nuovo torneo extra-large e milionario, partorito dalla Fifa di Infantino. Nel 2000 il Mondiale si accavallò alla Coppa Intercontinentale per poi sostituirla definitivamente a partire dal 2005.

Vede la partecipazione dei vincitori delle Champions di Europa, Sud America, Centro America, Asia, Africa, Oceania e dei campioni in carica del Paese ospitante. Il 22 dicembre a Gedda la finale assegnerà per l’ultima volta un trofeo che in questi anni ha perso molto del suo fascino, rispetto alla vecchia Intercontinentale, che però restava limitata ai due soli continenti del calcio tradizionale, ignorando gli emergenti.

Il nuovo Mondiale per club o Coppa del Mondo per club Fifa sarebbe dovuto partire in Cina nel 2021, ma la pandemia ha rimandato i piani degli organizzatori. Si giocherà per la prima volta nel 2025 negli Stati Uniti, un anno prima dei Mondiali per le nazionali del 2026. Sarà aperto a 32 squadre. Avrà cadenza quadriennale, si giocherà sempre negli anni dispari e nella sua prima edizione vedrà la partecipazione di dodici club europei, sei sudamericani, quattro africani, quattro asiatici, quattro centroamericani, uno oceanico e l’ultimo del Paese ospitante.

Si sono già qualificate Palmeiras, Flamengo, Fluminense, Chelsea, Manchester City e Real Madrid, come vincitrici delle Champions nell’ultimo quadriennio. Si aggiungeranno le meglio piazzate nei rispettivi ranking continentali.

Le prospettive

Tra diritti televisivi e sponsorizzazioni, le federazioni continentali e la FIFA si sono accorte che i club possono valere più delle Nazionali e che in un calendario sempre più compresso è meglio investire sui primi, alla ricerca di nuovi trofei e soprattutto nuovi incassi.

La sola partecipazione alla Coppa del Mondo per club FIFA vale 50 milioni di euro, un’eventuale vittoria 100. A sfidarsi saranno sempre le squadre più vincenti, perché più forti, generalmente perché più ricche, in un circolo vizioso che alimenterà la forbice che già la Champions League, in attesa della nuova formula, ha allargato a dismisura.

Il fair play finanziario è stato un argine solo parziale, in una deriva che non sappiamo dove porterà il calcio mondiale, così come quello europeo, il calcio che ha vinto 15 delle 19 edizioni del Mondiale per club. Nell’albo d’oro dell’Intercontinentale il Sudamerica batteva le squadre Uefa per 22 a 21, lì dove l’Italia ne contava 7 contro i soli 2 Mondiali vinti, uno dall’Inter e l’altro dal Milan.

In Arabia Saudita, nei prossimi giorni, sbarcheranno gli egiziani dell’Al-Ahly, i messicani del Leon, che lo scorso maggio, hanno battuto i Los Angeles FC di Chiellini nella finale della Concacaf Champions League, i giapponesi dell’Urawa Reds, i brasiliani del Fluminense e gli inglesi del Manchester City.

Nelle precedenti edizioni qualche sorpresa c’è stata, come quando in finale, invece della solita sfida Europa vs Sud America, si è vista la partecipazione di TP Mazembe, Raja Casablanca, Kashima Antlers, Al-Ain, Tigres UANL e Al-Hilal, con i giapponesi capaci di portare il Real Madrid ai tempi supplementari e i messicani di tenere testa al Bayern Monaco. Ma i numeri restano quelli.

Nella sfida tra Leon e Urawa Reds di venerdì 15 risalta la figura di Nicolás Larcamón, allenatore argentino dei messicani. Padre e zio calciatori professionisti, ha firmato il suo primo e ultimo contratto con Los Andes prima di essere colpito da una osteocondrite e ritirarsi a 22 anni. Decide di diventare professore di educazione fisica, poi architetto ma la passione per il calcio l’ha riportato sul campo, iniziando la carriera dai settori giovanili e dalle categorie inferiori. Originario di La Plata ha iniziato ad allenare in Venezuela con il Deportivo Anzoategui, poi in Cile con Deportes Antofagasta, Huachipato e Curico Unido, infine in Messico: Puebla e da quest’anno Leon, che ha portato a vincere la Champions centroamericana.

Da non sottovalutare lo svizzero Marcel Koller che siede sulla panchina dell’Al-Ahly. Un vincente che da calciatore si è diviso tra Grasshoppers e Nazionale conquistando13 trofei. Ripetendosi da tecnico alla guida di San Gallo, Grasshoppers, Bochum, Basilea, e, naturalmente Al-Ahly, club con il quale ha vinto tutto nel giro di due stagioni, fino all’apoteosi dell’11 giugno, quando ha pareggiato la finale di ritorno della Champions africana a Casablanca contro il Wydad, dopo il 2-1 del Cairo.

La sfida più attesa, però, è quella tra Fluminense e Manchester City, se entrambe raggiungeranno la finale. In particolare tra Diniz e Guardiola. Classe ’74 il primo, ’71 il secondo, la bacheca è inconfrontabile, ma il ragazzo di Patos de Minas in questo 2023 ha già vinto la Taça Guanabara, il campionato Carioca e la Libertadores, per la prima volta nella storia del Fluminense, battendo in finale ai supplementari il Boca Juniors; da questa estate è anche allenatore ad interim della Nazionale brasiliana.

La sua ascesa è stata altalenante, collezionando ben cinque esoneri ed essendo apostrofato come incompreso, in modo evidentemente sarcastico e sappiamo quanto può essere dura risollevarsi da un soprannome affibbiato da media e opinione pubblica. La cosa che faticava di più a gestire da calciatore, tra le altre di Internacional, Palmeiras, Corinthians e Fluminense, era la pressione psicologica, così una volta attaccate le scarpette al chiodo ha preso una laurea in psicologia, con tesi dedicata all’importanza del ruolo dell’allenatore nel calcio.

Jamie Hamilton, allenatore e blogger scozzese, raccontando e facendo conoscere il futbol di Diniz, ha parlato di calcio di relazione, messo a confronto con quello di posizione. Questo considera lo spazio come un’entità statica da occupare in modo razionale, l’altro si affida alle relazioni che responsabilizzano gli individui, affidandosi alla loro imprevedibilità e occupando lo spazio in modo dinamico; secondo alcuni analisti, in realtà, si tratterebbe di due formule contigue, dove talento e organizzazione alla fine si equivalgono.

Passato da essere «incompreso» a «Guardiola brasiliano», Diniz ha detto la sua: «Il suo tipo di possesso palla è quasi opposto al mio, perché nel gioco posizionale i giocatori tengono molto la posizione ed è il pallone ad andare da loro». Uno dei due potrebbe alzare al cielo per l’ultima volta il trofeo del Mondiale per club e una finale Fluminense-Manchester City potrebbe rappresentare il meglio che il calcio può esprimere in questo momento: relazione o di posizione, in portoghese o in catalano, Sud America o Europa. La catarsi perfetta.

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