I decessi sono avvenuti durante fermi e operazioni delle forze dell’ordine. L’Italia è tra i paesi che non hanno accettato di condividere i propri dati nonostante gli appelli delle Nazioni Unite. Dopo l’approvazione del decreto Sicurezza, una maggiore trasparenza istituzionale sul tema appare sempre più un miraggio
Quando nel 2024 l’organizzazione spagnola Civio ha pubblicato i dati sulle morti legate a fermi e operazioni delle forze dell’ordine in Europa, due cose sono saltate all’occhio. Da una parte il dato enorme di 488 decessi tra il 2020 e il 2022, sintomo di un problema di abusi in divisa nel Vecchio Continente.
Dall’altra il fatto che solo 13 paesi europei abbiano accettato di condividere i propri dati su questi decessi, dimostrazione di quanta poca trasparenza ci sia sul tema. Tra i paesi che non hanno messo a disposizione i propri dati c’è l’Italia.
Si tratta di una mancanza di lungo corso, se si pensa che è dal 1991 che l’Onu chiede ai suoi paesi membri di pubblicare questi dati, appello ribadito nel 2023 dall'Alto commissariato delle Nazioni unite per i diritti umani. Mentre sempre più paesi europei, come Francia, Irlanda e Portogallo, si sono adeguati, l’Italia ha continuato a ignorare queste richieste, privando la società civile e le istituzioni internazionali di uno strumento democratico fondamentale per affrontare il tema degli abusi in divisa.
È di fronte a questo vuoto istituzionale, oltre che alle numerose richieste su dove fosse possibile trovare questi dati, che è nata l’idea di realizzare una mappa con i decessi avvenuti dal 2000 a oggi durante fermi e controlli delle forze dell’ordine in Italia. Il quadro che ne esce, con quasi 70 decessi, è critico.
Una mappa sui morti di polizia
È una calda giornata di inizio agosto quando Andrea Soldi, 45enne con disturbi psichici, se ne sta seduto su una panchina di Torino. Soldi è conosciuto in zona, sta spesso lì. Da un po’ di settimane non prende più i suoi psicofarmaci, il padre lo ha comunicato all’Asl e così quando una pattuglia della polizia locale lo intercetta cerca di convincerlo ad andare in ospedale.
Di fronte ai suoi rifiuti gli viene imposto un trattamento sanitario obbligatorio. Soldi viene preso per il collo e immobilizzato, ammanettato dietro la schiena. Muore per soffocamento a causa di un tso definito “invasivo” e “violento”.
Quella di Andrea Soldi è una delle tante storie raccolte nella mappa sulle persone morte in Italia negli ultimi anni durante fermi e operazioni di polizia. In assenza di materiale istituzionale sul tema, la ricerca di questa storie è partita dagli articoli di giornale e dalle campagne di mobilitazione sociale portate avanti da organizzazioni come Amnesty international e realtà nate in seguito a specifici decessi, coma la Stefano Cucchi Onlus.
I dati raccolti sono poi stati condivisi con altre realtà che si occupano di abusi in divisa, come Osservatorio repressione, così da incrociarli con i loro archivi e database.
La mappa ha preso in considerazione i decessi occorsi esclusivamente nelle circostanze dei fermi e delle operazioni delle polizie, lasciando da parte l’altro enorme filone dei decessi sospetti in carcere, che meriterebbe un lavoro ad hoc, così come le storie di chi è uscito da un controllo o un’operazione delle polizie con gravi ferite fino a disabilità permanenti, come nel caso di Paolo Scaroni e Rumesh Achrige.
Dal 2000 a oggi in Italia si sono registrati almeno 67 decessi durante fermi e operazioni delle forze dell’ordine. Si tratta di un dato sicuramente sottostimato perché relativo alle sole storie che hanno avuto una qualche eco mediatica e sociale. Ci sono casi più noti come quelli di Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi e Giuseppe Uva.
Ce ne sono molti altri di cui probabilmente non si è mai sentito parlare. Storie come quella di Sekine Traoré, ucciso l’8 giugno 2016 da un colpo di pistola sparato da un carabiniere durante un blitz nella tendopoli calabrese di San Ferdinando.
Di Aldo Bianzino, arrestato a Pietralunga per il possesso di alcune piante di marijuana e deceduto il 14 ottobre 2007 in custodia con segni di violenza sul corpo. Di Davide Bifolco, 16enne ucciso a Napoli l 5 settembre 2014 dai colpi di pistola sparati da un carabiniere per uno scambio di persona.
Di Jefferson Tomalà, ucciso il 10 giugno 2018 a Genova con sei colpi di pistola sparati da un agente durante un tentativo di imporre un Tso nella sua abitazione.
Archiviazioni e profilazione razziale
Le storie raccolte nella mappa sui decessi durante fermi e operazioni delle polizie in Italia sono linearmente distribuite in termini temporali e geografici. E ripetono pattern precisi. Ci sono persone colpite alle spalle da proiettili per aver forzato un posto di blocco.
Persone morte durante manovre di contenimento in strada o in casa. Persone decedute in custodia dopo un fermo, trovate con segni di violenza sul corpo. Persone decedute per un incidente durante un inseguimento e uno speronamento della volante.
Ci sono poi altri tre pattern che sembrano ripetersi in questo conteggio. In primo luogo sono pochissimi gli episodi che si sono conclusi con una condanna per i militari e gli agenti. E anche quando questo è successo, le pene sono state irrisorie, quasi a derubricare la responsabilità delle persone coinvolte.
Nel caso di Andrea Soldi, per esempio, i vigili hanno ricevuto condanne di 18 mesi per omicidio colposo. Proprio com’era avvenuto per i poliziotti coinvolti nell’uccisione, il 25 settembre 2025, di Federico Aldrovandi.
Un secondo pattern che si ripete è che in molti casi le vittime sono persone con disturbi psichici: quello di Andrea Soldi a Torino non è un episodio isolato. Infine, le persone straniere decedute nelle circostanze dei fermi e delle operazioni delle polizie sono tantissime. Più del 40 per cento del totale.
Un elemento che riaccende il dibattitto sul tema della profilazione razziale delle forze dell’ordine italiane, una problematica denunciata più volte dagli organismi internazionali, ultimo il Consiglio d’Europa a fine 2024.
Nuova repressione
In Italia negli ultimi anni decine di persone, molte provenienti da contesti di estrema fragilità, sono morte in circostanze di fermi e operazioni delle forze dell’ordine. È sintomo di un problema. Interrogarsi al riguardo, condurre analisi, fare comparazioni con gli altri paesi, immaginare soluzioni diventa difficile se non impossibile nel momento in cui mancano perfino dei dati ufficiali al riguardo. Quanto riportato nella mappa potrebbe essere solo la punta dell’iceberg.
Una maggiore trasparenza istituzionale sul tema appare sempre più un miraggio. Lo dimostra, tra gli altri, il nuovo decreto sicurezza approvato dal governo Meloni. Che aggiunge repressione alla repressione, introducendo peraltro nuove forme di tutela penale alle forze dell’ordine.
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