Raffaele Cutolo si definiva così: «Io non sono un pazzo scemo, sono un pazzo intelligente». Camorrista, ideologo oltre che spietato e crudele. Un boss feroce e visionario. Inventa il welfare della camorra, sostiene i familiari dei detenuti, costruisce il sogno criminale negli adepti prima di sancirne l'ingresso con il rito dell'affiliazione. La sua nuova camorra organizzata, nco, è una struttura gerarchica, che vede Cutolo come unico vertice, insieme al gruppo dei nove. Inizia con un omicidio di strada, in carcere  sfida il boss Antonio Spavone che non si presenta al duello con la molletta, il coltello a scatto.

Cutolo si prende il carcere di Poggioreale, aumenta fama e fa proseliti. Costruisce relazioni con professionisti, imprenditori e politici. Fa soldi prima con le sigarette poi con la droga, ma soprattutto mette le mani sul grande affare della ricostruzione dopo il terremoto del 1980 che massacra l'Irpinia. Chi si frappone tra Cutolo e il suo sogno di dominio muore ammazzato. I consiglieri comunali Domenico Beneventano, detto Mimmo, Pasquale Cappuccio, il sindaco Marcello Torre vengono uccisi, avevano denunciato le mani sulla città dei clan, della nuova camorra organizzata. Chi muore, da una parte, e chi tratta, dall'altra, come i servizi segreti che scendono a patti con 'o professore, appassionato di versi e poesie, per liberare l'assessore democristiano Ciro Cirillo, rapito dalle brigate rosse.

Cutolo interviene, Cirillo viene liberato, dietro il pagamento di un riscatto pari a un miliardo e mezzo di vecchie lire, avrebbe potuto salvare anche Aldo Moro, «ma non vollero», dirà. Lo stato in ginocchio, ma solo una parte dello stato. Un'altra, una storia che ritroveremo simile in Sicilia, invece, non tratta, non si accorda, ma fa il suo dovere. Ha fatto il suo dovere, il vicedirettore del carcere di Poggioreale Giuseppe Salvia. Quando gli agenti della polizia penitenziaria raccolgono il rifiuto del boss a farsi perquisire, si rivolgono a Salvia «noi abbiamo famiglia», e Salvia mostra la faccia dello Stato, si occupa lui di perquisire Raffaele Cutolo, l'intoccabile, il professore che guida e seda le rivolte in carcere. Salvia viene ucciso il 14 ottobre 1981 da un commando di killer cutoliani.

Cutolo ha istruito la società foggiana, potente organizzazione criminale radicata nella città pugliese, ha instradato i ragazzi violenti della banda della Magliana, ha offerto i professionisti a sua disposizione che redigevano false perizie psichiatriche per fare uscire i malacarne dalle patrie galere. Cutolo evade dal manicomio criminale di Aversa con un'esplosione che squarcia il muro e abbatte la credibilità delle istituzioni, asservite, inginocchiate, con le dovute e rare eccezioni, al boss di Ottaviano.

Compra un castello che diventa luogo di appuntamenti per chiedere la grazia al santo del crimine, attraverso i buoni uffici della sorella, Rosetta. Alleva criminali che ritroviamo potenti negli anni 2000 mentre lui finisce in carcere al 41 bis. Un giorno decide di pentirsi, erano gli anni novanta, entrano i magistrati per interrogarlo, ma lui reagisce male: «Io non voglio pentirmi, le donno non vogliono». A fargli cambiare idea agenti dei servizi segreti che hanno ricordato a Cutolo i patti di un tempo, votati al silenzio. Cutolo doveva tacere ed è morto da boss silenzioso.

A Ottaviano, negli ottanta, ha costruito un impero, prima di tutto di consenso. Al cronista Joe Marrazzo, nel 1981, alcuni sudditi raccontano: «Cutolo è un uomo sincero, ha aiutato tutti quanti. E' un santo protettore, siamo nati con lui e moriremo con lui. Il suo è un sangue nobile e degno di essere amato». Qualche collaboratore ha raccontato di quando Cutolo arrivò a urinare sulla scarpa di Totò Riina perché non volle piegarsi al capo dei capi di Corleone. La leggenda di Cutolo si traduce in libri e film, corrono le scene sulla bocca dei giovanissimi che ripetono ossessivamente le battute della pellicola di Giuseppe Tornatore.

Qualche anno fa, intercettato in carcere, Cutolo ha riferito di aver avuto come autista Luigi Cesaro, senatore di Forza Italia. La circostanza è stata smentita da Cesaro e confermata dai pentiti, Gaetano Vassallo, il ministro dei rifiuti dei Casalesi, ha raccontato a chi scrive: «Cesaro conosco da tempo, da quanto faceva l'autista di Cutolo». Cesaro è stato prima condannato e poi assolto per i suoi rapporti con i cutoliani, di certo si rivolse a Rosetta Cutolo per chiedere protezione.  Se Cutolo è rimasto in carcere fino all'ultimo giorno, morto nell'ospedale del carcere di Parma, è perché non ha mai mostrato segni di pentimento e perché affiliati e reduci erano lì fuori ad aspettarlo per riprendere quell’orribile e mortifero sogno criminale. 

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