Mentre il parlamento discute il decreto missioni che rifinanzia la presenza italiana negli scenari di guerra, il caso ha voluto che Medici senza frontiere avviasse una mostra fotografica nell’ambito di "Cortona on the move” per celebrare i 50 anni dell’attività umanitaria dell’associazione. Negli scatti si arriva fino al Mediterraneo, la crisi del “mare nostrum".

Claudia Lodesani, presidente di Msf e infettivologa, domani sarà all’inaugurazione a Cortona, oggi invece si benderà gli occhi davanti a Montecitorio, la sede della Camera dei deputati, per manifestare contro il rifinanziamento alla guardia costiera libica: «Ormai c’è un’assuefazione al dolore della società civile che porta all’indifferenza. Si parla di decine di morti nel Mediterraneo, ma vengono percepiti così lontani». Mentre continuano le stragi «c’è un senso di colpa che non vogliamo vedere, nel momento in cui lo ammetti ti senti responsabile, è meglio non vedere. E poi c’è del razzismo, un senso di superiorità. Da questo i discorsi “questa è casa mia”, “non hanno diritto di venire”. Un razzismo che riguarda tutta la società europea».

Alla politica, aggiunge, «questo conviene». E adesso l’Italia si prepara a continuare a supportare la Libia: «Sanno benissimo cosa fa la guardia costiera libica. Ci facciamo i paladini dei diritti umani, ma quando hai a poche miglia i respingimenti e sai cosa succede in Libia è ovvio che diventi complice, e in questo c’è una finta ingenuità politica».

La storia

La mostra, di cui Domani anticipa delle foto, aprirà i battenti domani, e resterà aperta dal 15 luglio al 30 settembre presso Palazzo Baldelli. Si intitola «Guardare Oltre - Msf & Magnum: 50 anni sul campo, tra azione e testimonianza», e si compone di 73 scatti di 15 fotografi che saranno esposti per la prima volta in Italia.

«Siamo nati da un gruppo di medici e giornalisti, abbiamo non solo il compito di curare ma di dare testimonianza dell’orrore» racconta Lodesani. Per il medico questo connubio è stato fondamentale e «per questo ci è sembrato importante raccontare la nostra storia con una mostra fotografica».

Dai conflitti in Afghanistan e Libano degli anni ‘70 e ‘80 al genocidio in Ruanda: «L’unico luogo dove abbiamo chiesto l’intervento armato» ricorda Lodesani. Dal massacro di Srebrenica al terremoto ad Haiti fino alle attuali rotte migratorie in Messico, e il Tigray: «Anche questi sono drammi che fanno parte di questi cinquant’anni».

Se da una parte le sfide seppur diverse mantengono  la loro complessità, Medici senza frontiere trova sempre più difficile lavorare: «C’è un restringimento dello spazio per le associazioni umanitarie, lo vediamo anche in Europa, con gli attacchi che abbiamo subito e la criminalizzazione del nostro operatori».

Lodesani però non è stupita: «Noi siamo apartitici, ma non siamo apolitici. L’azione umanitaria è un’azione politica, e nel momento stesso in cui decidi di raccontarlo, è ancora una volta così. Siamo gli occhi non neutrali, ma sopra le parti, di molti conflitti e dei morti nel Mediterraneo. Chiaramente fa paura, e questo è il motivo per cui cercano di fermarci».

In cinquant’anni molte cose sono cambiate: «Le leggende raccontano che il primo ufficio fosse in un garage di Parigi, il nostro impegno civile è nato dopo il ‘68». Adesso, racconta, c’è la stampante 3d per le protesi, la telemedicina, l’uso dei pannelli solari per gli edifici: «Il nostro modo di intervenire si è evoluto, ma non sono cambiati i nostri principi: curare e testimoniare». Le foto «non sappiamo se possono ancora agire o se cambieranno l’opinione pubblica, ma è l’unico metodo che abbiamo insieme alle testimonianze».

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