C’erano cinquecento invitati a omaggiare la sposa e lo sposo. In una delle basiliche più antiche di Roma le nozze tra la figlia del boss della ‘ndrangheta e un rampollo di un altro clan. Ad attenderli una Rolls Royce bianca con le cromature dorate. Nella mafia calabrese i matrimoni servono soprattutto a suggellare nuove alleanze: due famiglie che si uniscono diventano una cosa sola, ampliano il giro di affari e delle conoscenze. I funerali, invece, diventano spesso l’occasione, anche nella capitale, per riunirsi confondendosi tra la folla. Per questo motivo da alcuni anni le questure vietano i riti pubblici agli affiliati, per evitare che si trasformino in summit tra padrini. Nei ricevimenti si siglano patti, si progettano scenari futuri, si raccolgono messaggi da mandare a chi sta in carcere.

E poi ci sono i “battesimi”, intesi come affiliazione di nuove leve che hanno completato la gavetta sul territorio. Rituali e liturgie del crimine, codici e formule arcaiche tramandate da oltre due secoli.

A Roma, in provincia e in tutta la regione Lazio, sono stati ritrovati diari e foglietti con le formule da pronunciare in occasione del “battesimo di mafia”. Indizi di una presenza radicata sul territorio che, oltre a gestire investimenti finanziari, immobiliari e commerciali, cura la tradizione, perché è quella che crea identificazione, come confermano numerosi storici e ricercatori del fenomeno mafioso. E seppure le organizzazioni mafiose moderne siano sempre più simili a holding finanziarie, il simbolismo è il collante identitario che rende più difficile tradire. Per questo le affiliazioni seguono le stesse procedure di cent’anni fa. Tra Roma e provincia, dal 2013 a oggi, sono stati sequestrati dalla procura antimafia capitolina due documenti straordinari: i riti per “battezzare” i nuovi adepti. Non in Calabria, non in Campania o Sicilia. A Roma, la capitale delle mafie.

Ogni occasione è buona per riunirsi e decidere strategie criminali. ‘Ndrangheta e camorra, la grande alleanza mafiosa che si è presa Roma, celebra il proprio potere anche in summit che, nel gergo malavitoso, vengono definiti “mangiate”. La “mangiata” è il momento ufficiale in cui sedersi a tavola e scambiarsi messaggi lontani da luoghi sensibili e spesso controllati dalle forze dell’ordine. Sulla tavola non manca mai il vino di “casa”, prodotto nelle regioni di provenienza, e i piatti tipici della tradizione. Nel caso della ‘ndrangheta la portata principale è il maccherone con il sugo di capra. La “mangiata” è faccenda da tenere riservata: chi sgarra subisce la sanzione del tribunale della ‘ndrangheta, come successo a un affiliato, sottoposto al giudizio dei boss, perché aveva coinvolto un estraneo a un banchetto.

Nozze di ‘ndrangheta

La basilica di San Giovanni e Paolo è un capolavoro artistico, le prime strutture risalgono al 398 dopo cristo. Si trova al Celio, area tra le più prestigiose della capitale, in un luogo silenzioso e appartato, a pochi passi da villa Celimontana. Ha resistito alle invasioni dei Visigoti durante il sacco di Roma e all’assalto dei Normanni. Oggi è conosciuta come chiesa “dei lampadari”, imponenti, di cristallo, circondano la navata centrale.

Il contributo richiesto per celebrare un matrimonio non è esoso: meno di 500 euro. La chiesa fa parte degli edifici di culto del ministero dell’Interno ed è gestita dalla congregazione religiosa dei passionisti. «Una chiesa spettacolare e imponente, adatta per una grandiosa celebrazione del matrimonio», si legge su una delle recensioni visibili sul sito.

È qui che il boss Vincenzo Alvaro, a capo, secondo l’antimafia, dell’omonima filiale romana della cosca di ‘ndrangheta, ha deciso che far sposare la figlia. Il luogo non è stato scelto a caso, era un messaggio agli invitati e anche agli assenti: Alvaro nella capitale può permettersi il meglio, una sorta di autorità.

Secondo gli investigatori le nozze sono state una scelta di convenienza. Consuetudine ancora in voga nelle famiglie di mafia. I padrini della ‘ndrangheta decidono sposi o spose per i loro eredi. In questo caso Alvaro ha fatto sposare la figlia Carmela con Francesco Ferraro, «referente della ‘ndrina Nirta-Strangio», si legge nell’informativa della direzione investigativa antimafia che, nelle scorse settimane scorse, ha condotto con la procura l’inchiesta sulle cosche calabresi radicate a Roma.

I rampolli delle due famiglie si sono sposati il 24 giugno 2017. 500 le persone invitate. Ospiti inattesi gli investigatori dell’antimafia che hanno documentato ogni istante. Anche le ore successive, quando tutti si sono spostati alla villa dei Desideri a Cerveteri per festeggiare tra palme e prato all’inglese.

Alvaro si è occupato anche dell’organizzazione. Ha consegnato a mano alcune partecipazioni, chiedendo la massima riservatezza. Perfino il tableau, dove viene annotata la composizione dei tavoli, era stato occultato per mantenere nascoste le identità degli ospiti. Il matrimonio ha suggellato, scrivono gli inquirenti, il legame tra due potenti famiglie del reggino ed è stato una valida occasione per promuovere nuovi affari e stringere alleanze. In sala c’erano i parenti del boss, ma anche i vertici delle più importanti famiglie della ‘ndrangheta di Reggio Calabria. Chi segue le tracce del capo mafia quella sera è riuscito anche a intercettare una frase di uno dei complici degli Alvaro, che mentre accompagnava verso l’auto un personaggio di un clan “amico” diceva: «Sono malato di malavita che devo fare?».

Oltre agli affiliati, parenti, boss e colonnelli della cosca erano presenti anche figure insospettabili: l’imprenditore, Giancarlo Travagnin, che sui social si presenta come presidente dell’alleanza Democratica, ristoratori e un ex dipendente della presidenza del Consiglio dei ministri. Quest’ultimo è peraltro stato intercettato in altre occasioni al telefono con il boss in persona.

Lucia e lo stragista

Gli uomini della camorra non sono da meno. Il 10 settembre 2017, a Roma, si è sposata Lucia Moccia con l’imprenditore, incensurato, Giosafatte Laezza. Lucia è figlia di Angelo Moccia, figura di spicco dell’omonimo clan. I Moccia, da decenni, vivono nelle vie esclusive dei quartieri tra Parioli e collina Fleming e frequentano le persone che contano a Roma.

Il 10 settembre la location scelta per la cerimonia è stata la basilica di San Lorenzo in Lucina, nel cuore del centro storico della capitale: via del Corso, a duecento metri dal parlamento, non distante da piazza del Popolo e a pochi metri dal comando dei carabinieri. All’epoca Angelo Moccia, dopo 22 anni di detenzione per omicidio e strage, era uscito da poco dal carcere, indossava occhiali da sole a goccia neri che lo facevano somigliare al commissario di un film poliziesco anni Ottanta. Orologio d’oro al polso ben in vista e smoking nero accompagnava la figlia, Lucia, all’altare.

Al ricevimento c’erano gli amici, i sodali del clan, ma anche amministratori delegati di imprese importanti. Molti sono poi stati coinvolti in un’inchiesta della magistratura napoletana denominata “Morfeo” che ha svelato gli affari del clan negli appalti pubblici, dalla Campania fino al Lazio.

Il luogo scelto per i festeggiamenti è stato Villa Miani, residenza di stile neoclassico sulle pendici di Monte Mario che ha ospitato i banchetti nuziali di star del calcio e dello spettacolo. Quel giorno di settembre c’erano i Moccia con i loro 200 invitati.

L’ospedale e il funerale

Le feste, ma anche i funerali e i periodi di degenza negli ospedali romani possono trasformarsi in occasioni perfette per organizzare riunioni tra clan ai massimi livelli. Per esempio nei giorni dell’intervento di uno degli Alvaro preso l’istituto nazionale tumori Regina Elena sono stati documentati incontri nei reparti. Lo stesso canovaccio si era ripetuto a Milano, come emerso da alcune indagini sulla ‘ndrangheta in Lombardia.

Anche i funerali nelle chiese della capitale sono occasione di incontro. Per questo le famiglie evitano di affiggere i manifesti funebri nei quartieri in cui vivono. In segno di vicinanza e attenzione è frequente che chi partecipa porga una busta di denaro ai familiari del defunto. Il clan Alvaro ha sfruttato almeno tre funerali a Roma per riunirsi. Lo stesso vale per la camorra. La grande alleanza di mafia nella capitale.

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