All’età di 34 anni ha finalmente raggiunto l’obiettivo a lungo inseguito, la vittoria in Eurolega con la maglia del Fenerbahçe. «Ogni anno che passava era un anno in meno di possibilità. Diciamoci la verità: il viaggio è bello se la gioia è è bella. Ma svanisce dopo poco. L’incazzatura te la porti dietro molto di più». Gli Europei con la Nazionale: «Spero di ritrovare un po’ di entusiasmo in più rispetto alla scorsa estate»
Nicolò Melli è un uomo felice. Per questo piange, perché l’emozione non ha voce ma lacrime vere. «Se penso alla notte dell’Eurolega mi commuovo ancora. Era un’ossessione». Per capire che cosa sia la felicità bisogna tornare indietro di qualche giorno. Nello sport riavvolgere il nastro non è segno di malinconia, ma di grandezza. Fenerbahçe-Monaco, mancano una manciata di istanti. Melli, 34 anni, da una vita aspettava quell’attimo. Vincere l’Eurolega, una via crucis che si è trasformata in estasi. «L’ho visto negli occhi di mia moglie che aveva addosso il marsupio con nostra figlia Ludovica. Anche lei era in lacrime, lacrime liberatorie».
Se è vero che la vita è fatta di sogni, i suoi Melli è sempre andato a prenderseli. Da Milano, quando lo hanno trattato come uno qualunque, lui che all’Olimpia ha dato i suoi anni migliori, è volato in Turchia. New place, new life. Ha ricominciato lì dove osano i coraggiosi. «Mia moglie c’è sempre stata. C’era sette anni fa quando abbiamo perso la finale contro il Real, c’era negli anni nell’Nba, un’avventura travagliata per mille motivi. E c’era negli ultimi anni a Milano. È stata lei la prima persona che ho guardato».
Che significato hanno quelle lacrime?
Di liberazione. Per me l’Eurolega era diventata un’ossessione. Basile, prima della partita, mi aveva scritto: «Oh maestro - noi ci diciamo così, maestro -, mi raccomando vincete stasera. Ormai la finestra si sta chiudendo». Sai, l’età. Ogni anno che passava era un anno in meno di possibilità. Avrei voluto essere in campo gli ultimi 6 minuti. Ma non parlerò dei falli. Quando ho capito che avevamo vinto, mi è salita questa marea, una specie di liberazione.
Quando è diventata un’ossessione?
Parte dai due anni a Bamberg, lì ho capito che potevo avere una carriera piena di soddisfazioni. In Eurolega, nei vari campionati, e con un ruolo diverso, con più partecipazione di prima. Lo sport è anche questo: quando ti fai la bocca buona, vorresti assaggiare tutto. E l’Eurolega l'avevo assaggiata un po’, mi sarebbe piaciuto provare il sogno. E dopo quei due anni avevo rifiutato l’Nba. E avevo fatto quella scelta per vincerla, l’Eurolega. E quindi passavano gli anni. Per chi mi conosce sa che per me è molto importante il viaggio, non solo la meta.
Però?
Diciamoci la verità: il viaggio è bello se la meta è bella. Poi è chiaro che ci vuole fortuna, bisogna essere nel momento giusto al posto giusto. Non voglio fare il filosofo o il cinico a tutti i costi: quando un giorno mi ritirerò penserò a quel momento. Se non l’avessi vinta sarebbe stato diverso. Invece siamo qui a raccontare una storia con il lieto fine.
Ha anche sentito un vuoto, come qualcosa che ha raggiunto, magari la felicità, che dura un istante?
È un pensiero che dopo la partita ho avuto. Siamo andati a mangiare in hotel, volevo poi condividere i momenti con la mia famiglia. Sono rimasto un’ora e mezza con Jakub, che è il migliore amico, in camera a parlare. Anche lui è sempre stato con me, a Reggio avevamo giocato insieme. Ma siamo sempre stati io e lui in questo percorso, in questo lungo viaggio. E abbiamo parlato di questa cosa qui: è incredibile come la felicità sia un momento. Invece l’incazzatura, la tristezza te la porti dietro molto di più. È sbagliatissimo. però un po’ è così. Adesso mi ricordo le volte che ho perso: avevo il senso di pesantezza dentro, adesso ho questo senso di leggerezza. Quindi non direi che è un vuoto. Però è una leggerezza, qualcosa di molto diverso dalle sconfitte.
Si è anche messo Milano alle spalle.
La vittoria in Eurolega mette tutto, non solo Milano, in un’altra prospettiva. L’ho sempre detto, anche in famiglia: la loro scelta è stata legittima. Fa parte del gioco.
Chi le ha scritto il messaggio più bello?
Mi hanno scritto in tantissimi. Anche da Milano. Ma la cosa che mi ha fatto più piacere è che mi hanno contattato tanti miei ex compagni delle squadre in cui ho giocato. Tutti quelli che mi hanno scritto erano contenti per me. Vuol dire che ho trasmesso questa cosa, è una cosa positiva, anche perché in questo mondo nessuno ti dice: so che ci tenevi. Ho ricevuto messaggi molto umani, è stato molto bello.
Oggi ha 34 anni, se si guarda indietro che uomo vede?
Questo lo devono dire gli altri. Io so chi voglio, chi vorrei essere. Ognuno ha la sua idea di me, se lo chiedi a mia moglie ti dice qualcosa, se lo chiedi ai miei compagni te ne dicono un’altra.
Chi vorrebbe essere?
Prima di tutto una brava persona, una persona di valori dentro e fuori dal campo, che rispetta ed è rispettato per quello che fa e come lo fa, vorrei poter trasmettere di valori giusti e buoni. Io penso questo: è più semplice essere una brava persona, una persona onesta, piuttosto che un cattivo. E poi so che voglio essere un buon padre. Non è facile. E più avanti e più è complicato. Ogni passo è diverso.
Che cosa c’è davanti a lei, nel suo futuro?
Intanto ci sono i play-off turchi. E ci sono altri obiettivi che spero non diventino ossessione. Comunque se ci arrivo ve lo faccio sapere. Il sogno adesso è quello di vincere qualcosa con la nazionale. È diverso, questo è un sogno. L’Eurolega era un obiettivo, quello della nazionale un sogno, è molto più romantico. E poi vorrei giocare questo sport più a lungo possibile ad alto livello. Tutti parlano dell’età, ma io non mi sento così vecchio. Non è cambiato molto dal successo in Eurolega, a guardare bene è un trofeo in più. Ma l’Eurolega c’è anche il prossimo anno. Perché la mia mentalità è sempre quella, vincere, vincere il più possibile. Quando non ce l’avrò sarà il momento di smettere. Non è ancora arrivato.
Vincere fa venir voglia di rifarlo o appaga?
Non è mai abbastanza, ma secondo me la prima volta è diversa dalle altre. Secondo me nel momento in cui sei appagato non ha più senso. Nello sport devi avere un obiettivo. E anche possibilmente cambiare città, società, devi avere un obiettivo sempre nuovo. Giocare per giocare non funziona, non l’ho mai vista così.
Nel suo futuro in nazionale, da capitano, cosa c’è?
Spero di ritrovare un po’ di entusiasmo di gruppo, un po’ di leggerezza in più rispetto alla scorsa estate. Era mancata e si era visto sul campo. Invece quella, la leggerezza, è sempre stata la nostra forza. Magari siamo più piccoli e più brutti degli altri, ma noi abbiamo bisogno di avere quel qualcosa in più, quello spirito lì, e la scorsa estate non c’era.
L’Europeo è un bel banco di prova?
Abbiamo un girone non facile, poteva esserci un sorteggio più fortunato. Ma è anche vero che si va in campo e basta. In passato siamo stati anche un po’ vittima di risultati positivi, siamo stati vicini alle semifinali europee. E l’anno prima ai mondiali siamo stati sfortunati a beccare gli Usa, ma siamo finiti tra le prime otto: non era scontato. Ci sta che fai estati positive e crei delle aspettative. Ma vi assicuro che il gruppo c’è e si è già rivisto qualcosa. L’entusiasmo, per esempio. E quello ti aiuta anche nei momenti no.
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