Ogni hikikomori ha la sua storia, così come ogni hikikomori sta vivendo la pandemia in maniera diversa, ma un dato emerge in questo anno di limitazioni, paure e chiusure causare dal Covid-19: è in aumento il numero di persone che sceglie il “ritiro sociale”, soprattutto tra gli adolescenti.

Il termine hikikomori viene dal giapponese e vuol dire appunto “stare in disparte”. Già dagli anni Ottanta in Giappone con questa definizione vengono indicate le persone che vivono in un tempo sospeso chiusi in casa per anni, evitando ogni rapporto con la società. Da qualche anno il fenomeno si è diffuso anche in Italia e, anche se non esistono ancora dati precisi, è in grande espansione e riguarda soprattutto i maschi.

Effetto confinamento

«Il problema è già grosso ma non se ne ha la percezione perché si consuma nelle abitazioni e molti non chiedono aiuto, ma la pandemia lo sta aggravando», spiega Marco Crepaldi, psicologo e fondatore dell’associazione Hikikomori Italia che supporta le famiglie che ne fanno richiesta grazie a una cinquantina di psicologi volontari che operano in gruppi di mutuo aiuto.  

«Chi aveva già la tendenza a chiudersi – evidenzia Crepaldi -, dopo aver sperimentato con il lockdown uno stile di vita alternativo che non prevede la socialità e riduce le pressioni di realizzazione personale, non sempre accetta di tornare alle abitudini di prima. In molti faranno fatica a reagire a questa annata».

Sono tanti, infatti, i casi di ragazzi che prima del lockdown stavano combattendo contro la propria condizione di isolamento e cercavano di resiste alla pulsione di ritiro ma hanno subìto un aggravio, o una battuta d’arresto.

Frederick Allen, 22enne di Roma, ha trovato nel virus le condizioni per confermare la scelta fatta a 16 anni quando si è autorecluso in seguito alla scoperta di una relazione tra la sua ex fidanzata e il suo migliore amico.

«Con la pandemia sono diventato più determinato ad affrontare il ritiro da questo mondo non accogliente, nero, apocalittico. Di sicuro non vedo molto di positivo nel futuro. Sono diventato ancora più cinico, pragmatico, esistenzialista», spiega Frederick che non ha ancora terminato gli studi ma da qualche tempo esce di casa anche se solo per qualche ora di lavoro o per accompagnare il cane dal veterinario.

«Mio padre è inglese, io sono bilingue e mi capita di fare traduzioni o uscire per dare lezioni private di lingua – racconta Frederick –. L’isolamento per me ora non esclude il lavoro, purché sia onesto. Sono stato già molte deluso dalla disonestà del mondo. Ritirandomi ho vissuto una rivalutazione di me stesso».

La grande delusione

L’impulso che sembra muovere molti adolescenti oggi non è la trasgressione come in passato, ma la delusione. Si sentono delusi da loro stessi e del mondo perché in una società iper-competitiva e giudicante chi non vi si adatta velocemente viene schiacciato e per proteggersi si isola.

Tra i motivi che conducono al ritiro sociale si registra di frequente la fiducia tradita da un amico, una fidanzata, un professore, ma questa è solo la causa scatenante di un malessere già esistente che ha spesso a che fare con l’incapacità di sopportare il peso delle aspettative scolastiche, lavorative e sessuali delle famiglie, soprattutto nei figli maschi che la società vuole belli, forti e virili.

«Gli hikikomori – evidenzia Crepaldi – sono i ragazzi incapaci di stare al ritmo della corsa al successo imposto dalla società. Ognuno ha una storia diversa, ma in comune hanno la tristezza, il senso di apatia, l’assenza di motivazioni e di obiettivi. Dai dati emersi sia in Giappone, sia in Italia, è evidente che si tratti di un fenomeno principalmente maschile: la percentuale italiana si attesterebbe intorno al 90 per cento, contro il circa 70 per cento riportato dal paese nipponico».

Dopo i bulli

Sono in molti a isolarsi anche in seguito a episodi di bullismo. E’ il caso di Alessandro D’Anna, 25 anni, auto-reclusosi a 13 anni. «Venivo bullizzato alle medie perché ero troppo magro e perché mi piacevano i videogiochi. Nel tempo si sono accumulati tanti episodi e a un certo punto non ce l’ho più fatta e mi sono ritirato. Non sono più andato a scuola e ho studiato da autodidatta», racconta Alessandro che, per reagire alla sua condizione cronicizzata, sta progettando di formare gruppi di hikikomori e organizzare delle uscite insieme, «in modo tutelato». «Là fuori – dice - c’è tanto individualismo ed egoismo. E’ difficile rapportarti con le persone. E’ tutto freddo, macchinoso. Non ho un vero amico dai tempi delle elementari».

Ancora più difficile è farsi nuovi amici in tempi di Covid-19. Eppure qualcuno ha giovato di questo periodo sospeso traendo sollievo dalla società bloccata dal virus come Alessandro Nanni, 26 anni, di San Marino, ritiratosi nel 2017 dopo una serie di delusioni provocate da amici, un’infanzia segnata dall’epilessia e la forte pressione del padre verso il lavoro.

«Durante il lockdown mi sono scoperto positivo al Coronavirus, ma asintomatico – racconta Alessandro -. Sono stato costretto a fare una quarantena di tre mesi. Mi sono allontanato dal lavoro in fabbrica che avevo cominciato, sono rimasto a casa a riflettere e questo tempo mi ha fatto bene per riprendermi. Da tre settimane sono tornato a lavoro».

Quando viveva da recluso Alessandro si sentiva «un vegetale vigile«. «Il fisico mi aveva abbandonato – spiega - Avevo l’ipertensione, gli attacchi di panico, ero sovrappeso e avevo una depressione esistenziale: non capivo più il motivo per cui fossi al mondo. I miei genitori mi hanno cresciuto con l’idea del paradiso che ora ho messo in dubbio andando a scoprire il buddismo».

In sincrono con gli altri 

Ha beneficiato della pandemia anche Davide Conte, 21 anni, nato a Brescia, ora residente a Roma. Proprio nel momento del trasferimento nel Lazio sono scattate in lui le prime pulsioni alla chiusura. «Ho smesso di andare a scuola a 13 anni – racconta – Ero anche stufo dei commenti dei compagni e dei professori sul fatto che io portassi i capelli lunghi. ‘Sembri una femmina, tagliati i capelli’ mi dicevano. Mi sono rinchiuso. Stavo bene solo per conto mio».

Ora Davide esce. Non ha amici ma ha tanti contatti di lavoro nel mondo dell’arte che ha intensificato durante il lockdown. «Mentre tutto era fermo io ho cominciato a lavorare di più come illustratore, scenografo e costumista grazie alle mie conoscenze informatiche. Faccio lavori 3D e sto collaborando a un documentario. Spesso lavoro da casa, ma se devo partire lo faccio. E grazie sul lavoro ho conosciuto anche una ragazza e stiamo bene insieme».

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