Si è chiuso il commissariamento di Uber Italy, la filiale nostrana del colosso americano dei taxi privati e delle consegne di cibo. La sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Milano ha infatti revocato l'amministrazione giudiziaria imposta su alcuni profili delle attività di food delivery italiane a fine maggio del 2020 sulla scorta di un'inchiesta penale nata da un'ipotesi di caporalato e sfruttamento del lavoro dei rider.

Ed è stato lo stesso pm Paolo Storari, il titolare di questa indagine, a dare parere favorevole alla revoca prima della scadenza naturale, sulla scorta della relazione dei commissari giudiziali che hanno verificato la buona volontà e i risultati della società nell'adeguare la sua organizzazione in fatto di organizzazione del lavoro. Resta comunque in piedi il procedimento penale da cui era nato il commissariamento, approdato in fase di udienza preliminare e che vede tra gli indagati anche Gloria Bresciani, una dipendente della gruppo americano al momento sospesa, oltre agli amministratori delle società Flash Road City e FRC che intermediavano la manodopera per conto di Uber sottopagandola e vessandola, nell'ipotesi dell'accusa.

È nelle fasi iniziali, invece, l'indagine fiscale sul perimetro delle attività italiane di Uber, accesa per verificare le tasse pagate nel nostro Paese siano coerenti con le attività realmente svolte. Se, in altri termini, i servizi erogati dalle consociate estere di Uber Italy, in questo caso olandesi come Uber Porter, siano da ricondurre a una stabile organizzazione italiana.

Cosa è successo in questi nove mesi di amministrazione giudiziale? I commissari hanno verificato e accompagnato la società nel suo percorso di rientro nella legalità nella gestione dei rider e di creazione di un modello di controllo in linea con le norme della legge 231 del 2001 sulla responsabilità amministrativa degli enti per i reati commessi dai suoi dipendenti. Tante le prescrizioni da seguire in futuro per la società vi sono il controllo sulla sicurezza dei corrieri, corsi di formazione di vario tipo e di alfabetizzazione per gli stranieri nonché una mappatura degli incidenti Un profilo fondamentale, però, è stato l'adeguamento dei compensi ai rider: l'indagine penale aveva scoperto che i fattorini che lavoravano per le società di intermediazione del lavoro erano fortemente sottopagati (3 euro fissi a consegna e senza godere delle mance, che erano requisite) e con una serie di penali vessatorie che potevano ridurre di molto il conto totale da saldare.

I commissari hanno verificato che nel nuovo assetto i compensi sono superiori a quelli del contratto nazionale sottoscritto da Assodelivery con il sindacato Ugl (fortemente criticato in realtà) e «tali da annullare decisamente quel riferimento di sfruttamento economico della prestazione lavorativa che aveva costituito uno dei presupposti fattuali e giuridici per la configurazione del delitto catalogo di cui all’art. 603 bis del codice penale» come si legge nel decreto.

Nella simulazione effettuata dagli amministratori giudiziari la nuova tariffa applicata oggi da Uber Eats Italy Srl, la società neocostituta dal gruppo e focalizzata solo sulle attività di delivery, «comporta un aumento medio del compenso del 40% sulle corse corte (tempo stimato 12 minuti) e dell’11% sulle corse intermedie (tempo stimato 20 minuti)» con una proiezione di guadagno che può variare da 431 euro per una frequenza medio-bassa di ordini (fra 60 e 150 per mese) fino a 1.302 euro per una frequenza di ordini superiori a 250 al mese. «Si tratta dunque di una proposta di mercato che ha decisamente abbandonato ogni logica di sfruttamento dei rider per proporre opportunità di lavoro anche per i giovani» scrivono i giudici, ma «sulla base della piena autonomia decisionale e di scelta dell’organizzazione dei singoli corrieri che possono decidere come e quanto lavorare».

Su quest'ultimo punto (la totale flessibilità del lavoro), però, la posizione di Uber Eats Italy potrebbe entrare in conflitto con l'altra indagine penale della procura di Milano in tema di sicurezza del lavoro presentata qualche giorno fa alla presenza anche del procuratore capo Francesco Greco. La posizione della procura sembra dirigersi verso la necessità di rivedere le formule contrattuali dei 60 mila rider italiani – tra cui anche quelli di Uber Eats – verso una maggiore stabilità dell'inquadramento lavorativo fino a ipotizzare anche «cooperazione coordinata e continuativa» come equo trattamento o la «prestazione organizzata dal committente» come evidenziato da una sentenza della Cassazione. Quanto sia cogente la posizione della procura, e quale sarà la sintesi con gli attori di questo mercato, resta una partita ancora aperta di cui non si conosce l'esito.

Ma è chiaro che qualcosa succederà nei prossimi mesi, anche per evitare valanghe di ricorsi davanti ai Tribunali del Lavoro di tutta Italia. Alle cinque maggiori società del delivery - UberEats,Glovo(e la sua controllata Foodinho), Just Eat e Deliveroo - sono state anche comminate multe per un totale di 773 milioni di euro per violazioni in materia di sicurezza sul lavoro. Sei le persone indagate dalla pm Maura Ripamonti e dall'aggiunto Tiziana Siciliano.

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