Uno stato che sostiene che non bisogna dimenticare nessuno, talvolta si dimentica delle persone che hanno più bisogno. Lo testimonia una vicenda accaduta nelle campagne tra Montelepre (paese che ha dato i natali al famigerato bandito Giuliano) e Giardinello, in provincia di Palermo.

Qui un 49enne è stato “dimenticato” dallo stato per due anni agli arresti domiciliari nonostante fosse stato assolto dal tribunale perché ritenuto incapace di intendere e di volere. Se non fosse stato, d’un tratto, per la meticolosità dei carabinieri di Montelepre che si sono posti alcune domande, quel poveretto sarebbe rimasto carcerato a casa per chissà quanto altro tempo in un’abitazione di campagna isolata, senza nessuno che si occupasse di lui, né le autorità preposte e neanche un solo assistente sociale o un medico.

Il prigioniero

Questa vicenda, secondo gli avvocati che assistono l’uomo adesso in libertà, pone molti interrogativi sulla idoneità di talune procedure e sulle carenze anche di organico di alcuni uffici giudiziari. Alla fine questo scenario provoca lentezze asfissianti nell’applicazione dei provvedimenti disposti dall’autorità, oltre che grandi difficoltà di comunicazione tra gli enti chiamati in causa.

L’uomo, Antonio (nome di fantasia) ha quindi vissuto per due anni come un carcerato senza che lo fosse, conducendo una vita di stenti, sostenuto soltanto dalla madre, l’unica che ha continuato a fargli periodicamente la spesa e a dargli qualche soldo per farsi comprare le sigarette da qualche vicino impietosito dal suo stato. Questo accade in Sicilia, dove accanto a grandi insediamenti industriali e a grandi vigneti che esportano in tutto il mondo i vini più pregiati, esistono realtà dove il degrado e l’abbandono la fanno da padrone, con persone che conducono una esistenza ai margini.

Il caso

La vicenda risale al 25 settembre 2020 quando Antonio (nome di Fantasia), senza un lavoro e con precedenti per droga, era stato arrestato con l’accusa di stalking nei confronti della sua ex fidanzata che pedinava e assillava. Scattate le manette per lui i giudici avevano disposto i domiciliari nella sua casa nelle campagne di Giardinello. Da quel momento per lo Stato Antonio è sparito dai radar.

Quando 8 mesi dopo il Tribunale lo ha riconosciuto non imputabile per una grave forma di schizofrenia, disponendo che venisse trasferito e curato per due anni in una residenza sanitaria idonea, nessuno si è preso la briga di trasmettere gli atti ai carabinieri, i quali in seguito si sono limitati a verificare che l’uomo si trovasse semplicemente a casa. E così è stato sino a poche settimane fa.

A dare una svolta alla situazione sarebbe stata paradossalmente la morte del suo avvocato come raccontano adesso i suoi nuovi tre legali, Francesco Foraci, Rocco Chinnici e Luigi Varotta, del Foro di Palermo. «Ad accorgersi che qualcosa non andava», ricostruisce l’avvocato Foraci «sono stati proprio i carabinieri. I militari, appreso che il precedente legale dell’imputato era deceduto e che di conseguenza non erano arrivati in caserma provvedimenti a suo carico, hanno notificato ad Antonio la nomina di un nuovo legale di fiducia, il quale fatte le dovute verifiche ha scoperto che tra le cancellerie del Tribunale e della Procura verosimilmente c’era stato un difetto di comunicazione nella trasmissione dell’ordine di esecuzione della sentenza».

I legale di Antonio aggiunge: «Quest’uomo ha vissuto quindi una assistenza assurda per un paese civile come il nostro, senza poter fruire neanche del supporto sanitario che lo stesso giudice che lo aveva assolto due anni fa aveva disposto nei suoi confronti. Una vita buia, costellata di espedienti, senza un impiego stabile. Siamo davanti a un episodio gravissimo in cui lo Stato ha negato la libertà a un soggetto che doveva essere scarcerato già da due anni e che aveva bisogno urgente di cure appropriate, cure che non gli sono state somministrate. Inoltre neanche un medico è andato mai a trovarlo e questo fa comprendere anche il mal funzionamento della macchina assistenziale visto e considerato che una persona riconosciuta schizofrenica grave avrebbe dovuto essere controllata periodicamente per appurare se fossero ancora presenti elementi che confermassero la sua pericolosità sociale».

Come se non bastasse c’è un altro particolare di questa vicenda che suscita diversi interrogativi e meriterebbe risposte . «Al momento della sentenza», rivela l’avvocato, «il giudice aveva disposto per il mio assistito il trasferimento in una struttura per malattie mentali, per una durata di due anni a partire dall’assoluzione. Quindi, essendo adesso trascorsi i due anni, è scaduto anche quel periodo di ricovero e non sappiamo attualmente quali siano le sue attuali condizioni di salute, tanto più dopo il lungo periodo trascorso in solitudine e senza contatti. Non sappiamo neanche se adesso il tribunale disporrà altri provvedimenti per questa persona vittima di un trattamento assurdo». Elementi sui quali gli avvocati stanno organizzando una battaglia legale: «Stiamo valutando l’azione risarcitoria contro il ministero della giustizia e attendiamo soltanto di ottenere tutto il carteggio necessario per poi avviare le procedure».

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