Margherita ha 29 anni e da quasi due si è trasferita a Montignoso, in provincia di Massa-Carrara, per affiancare suo zio Massimo, norcino, nella macelleria di famiglia: il nome dell’attività, Bacci dal 1925, racconta di una storia quasi centenaria. Con loro in laboratorio c’è ancora nonno Vinicio, 93 anni a gennaio e oltre settanta passati a macellare mezzane, lavorando animali interi e non solo parti, attento «a non sprecare niente e a educare i suoi clienti ad acquistare e cucinare anche i tagli meno pregiati», racconta Margherita. Lei è nata e cresciuta a Milano, figlia di genitori entrambi originari di Montignoso. Suo papà è fratello di Massimo. La casa dei nonni è sopra la macelleria, sulla strada che salendo dalla piazza centrale del paese va verso un centro storico realizzato prima che esistessero le auto. In linea d’aria siamo a meno di dieci chilometri dal mare del Cinquale e a due passi da Forte dei Marmi e dalla Versilia, ma salire verso Montignoso significa dare le spalle al Tirreno e sentire l’abbraccio delle Alpi Apuane che catapulta in un altro mondo.

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«Questo per me era il posto delle vacanze, la macelleria di nonno era lì ma non l’avevo mai pensata come una meta per me», spiega Margherita, che dopo la laurea all’Università di scienze gastronomiche di Pollenzo (Cn) ha lavorato per alcuni anni per Velier, azienda specializzata nella distribuzione di liquori e distillati in tutta Italia. Nonostante un contratto a tempo indeterminato, nel novembre del 2020 decide di cambiare vita. «All'inizio doveva essere un trasferimento temporaneo, l’idea era quella di tornare a Milano per aprire un locale mio», dice.

Aspirante artigiana

Zio Massimo, però, non ha figli. Il rischio, concreto, era la fine di una tradizione famigliare che è iniziata con il suo bisnonno, Antonio, che aprì la sua macelleria nel 1925 e intanto andava in giro per le case contadine a «conciare i maiali», norcino itinerante secondo una tradizione di tutta l’Italia centrale.

Massimo prende la nipote con sé in laboratorio e le insegna a mettere le mani in pasta (letteralmente, anche i salumi si impastano): la forma «nella ripetizione dei gesti, che amplifica la conoscenza del processo ed è l’essenza del lavoro artigiano», racconta Margherita.

Suo zio è un artista che per scelta ripete gli stessi spartiti, che si chiamano salsicce passite, mortadella nostrale, che è una sorta di salame, lardo stagionato in conca di marmo, biroldo e soppressata. Sono le ricette che usando testa, lingua, cotenna, interiora e sangue permettono di non buttar via niente del maiale.

Legare a mano

Sul sito bacci1925.it viene specificato che tutte le budella sono naturali e che tutti i salumi sono legati a mano. «In laboratorio non utilizziamo lieviti starter né aggiungiamo zuccheri all’impasto e questo significa che la fermentazione e la maturazione delle carni avvengono lentamente, rispettando i tempi di stagionatura.

Questo significa che in negozio non c’è sempre tutto e che chi vuole un prodotto può chiamare e capire quando sarà disponibile». Invece dei 15 giorni di un salume industriale, possono servire fino a tre mesi.

Quando Massimo apre la porta della cella sembra di entrare all’interno di uno scrigno delle meraviglie. Mostra le muffe nobili e massaggia le mortadelle per capire se sono pronte. Ancorato alla tradizione, Massimo è un innovatore: «Ha creduto, ad esempio, che fosse possibile produrre salumi tutto l’anno e non solo in inverno», racconta Margherita.

Innovazione è anche andare a incontrare il consumatore, proporre direttamente, «poter accogliere, come se fossero a casa nostra, tutti coloro che passano da Montignoso perché vogliono acquistare un prodotto della Macelleria Bacci», sintetizza Margherita.

Da metà maggio, così, in un locale a meno di cinquanta metri dal laboratorio e dalla bottega è nata La Sosta, dove si possono assaggiare i salumi Bacci, bevendo del buon vino, che è una passione in comune per zio e nipote. Vino rigorosamente frutto di fermentazioni spontanee, come i salumi di casa Bacci.

Il paese dei salumi

«Salumi naturali» prova a definirli Slow Food, che durante l’evento Terra Madre dedica al tema una serie di appuntamenti. «Senza considerare le salsicce fresche, faremo 1.500 chilogrammi di salumi l’anno», conclude Margherita. Non esiste un censimento dei norcini artigiani come quello di Massimo e Margherita.

Slow Food censisce 128 produttori in Italia, divisi in 50 presìdi legati ai salumi e all’allevamento di razze suinicole territoriali. Esperienze come quella dei Bacci rappresentano senz’altro un’eccellenza, di quelle che trascinano l’economia di un paese come il nostro, riconosciuto in tutto il mondo per i suoi prosciutti e i suoi salami: nel 2021 la produzione di salumi, dopo la flessione registrata nel 2020 a causa della pandemia, è risalita a 1,169 milioni di tonnellate (più sette per cento sul 2020), per un fatturato di oltre 8,4 miliardi di euro, secondo i dati del Rapporto annuale 2021 presentato il 22 giugno 2022 da Assica, l’Associazione industriali delle carni e dei salumi, cioè l’organizzazione nazionale di categoria che, nell’ambito di Confindustria, rappresenta le imprese di produzione dei salumi (sia di carne suina sia di carne bovina), di macellazione suina e di trasformazione di altri prodotti a base di carne.

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