Il libro del ministro della Salute Roberto Speranza insisteva su un punto: la lezione dell’epidemia è che per la sanità si deve aprire «una nuova stagione di investimento pubblico». «Con le possibilità aperte dalla nuova programmazione europea sarà possibile, per la prima volta da decenni, una riforma radicale della sanità fatta non di tagli, ma di investimenti», dice la presentazione. «Una rivoluzione copernicana capace di portare la sanità davvero vicino al cittadino: semplice, efficiente, integrata. Questo libro, concludeva, spiega perché. E spiega come».

Il libro è stato ritirato per via di un titolo – Perché guariremo – e di pagine che male si sposavano con i tempi dell'epidemia – eravamo in mezzo alla seconda ondata. I cittadini italiani difficilmente sapranno se il come di Speranza corrispondono alle proposte inserite nel piano di ripresa e resilienza in discussione in questi giorni. Il documento da una parte annuncia un cambio profondo di strategia, nel tentativo di mettere in pratica proprio quell'insegnamento: l'epidemia non è un problema di trattamento ospedaliero, ma di più ampia salute pubblica. Allo stesso tempo, però, destina alla sanità la quota di investimenti più bassa tra tutte le sei missioni: 9 miliardi di euro (un terzo dei fondi previsti per il capitolo infrastrutture).

Le fragilità del sistema

Nel testo del governo vengono messe in fila con chiarezza le fragilità del sistema: siamo un paese vecchio – il 23 per cento della popolazione ha più di 65 anni, quasi un italiano su quattro è vicino alla pensione, abbiamo una spesa per la sanità al 5 per cento, inferiore alla media europea (7,8) e ai nostri vicini – Germania e Francia spendono il 9,6 e il 9,4 per cento, la sanità come tutta la pubblica amministrazione è indietro nella transizione digitale.

La risposta è che sul totale dei fondi per la salute 4,8 miliardi andranno a migliorare i servizi territoriali e la telemedicina e altri 4,2 saranno invece dedicati all'innovazione. Il documento annuncia una riforma complessiva dei servizi socio sanitari territoriali, con la creazione delle “case di comunità”, una «riorganizzazione della gestione dei servizi di cure domiciliari integrate» e lo sviluppo di «un modello digitale dell’assistenza domiciliare integrata».

L'obiettivo dichiarato è far diventare la casa «il primo luogo di cura». Inoltre dovrebbe essere sviluppato un «sistema nazionale delle cure intermedie» attraverso l'aumento di strutture dedicate alla degenza breve chiamate «ospedali di comunità» che dovrebbero avere appunto una funzione «intermedia tra il domicilio e il ricovero ospedaliero». Con gli stessi fondi dovrebbero essere poi finanziati interventi per disabilità e povertà sanitaria – coloro che restano fuori dalle cure – e anche un sistema della sicurezza alimentare che prevede l'utilizzo di tecnologie avanzate per il tracciamento veterinario.

Sul fronte dell'innovazione invece dovrebbe essere finalmente realizzato il progetto incompiuto del fascicolo sanitario elettronico, che permetterebbe alla sanità pubblica una programmazione basata sull’elaborazione informatica di dati sanitari. Inoltre saranno finanziati «partenariati misti per soluzioni innovative nel settore life science (dalle biotecnologie alla biologia molecolare, ndr)» e nuove imprese.

Sono promessi voucher per incentivare il trasferimento tecnologico e modificata la cornice giuridica che regola gli Ircc, cioè gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, cliniche che fanno anche ricerca – in Italia ce ne sono una cinquantina in maggioranza private ma una ventina pubbliche – in modo che possano attrarre fondi. Infine, saranno aumentati i posti nelle specializzazioni e potenziati i corsi delle professioni sanitarie. Anche perché nei prossimi anni sono attesi molti pensionamenti e i numeri di oggi non sono adeguati: come conferma il documento dopo che lo ha fatto la pandemia mancano specialisti, dagli anestesisti ai pneumologi.

C’è da dire che il piano di ripresa non dovrebbe intervenire sulle spese strutturali – destinate a durare nel tempo – non è nemmeno nato per curare il sistema sanitario. Serve per innovare e tornare a crescere con investimenti che devono avere il maggior ritorno possibile – come quelli in ricerca e sviluppo e reti infrastrutturali. Per la sanità potrebbero essere inoltre disponibili anche altri fondi, ad esempio quelli della Banca europea degli investimenti, oltre che il Mes sanitario. Con nove miliardi, tuttavia, resta un vaste programme.

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