La costruzione dell’inceneritore riscrive la geografia del potere nella capitale. Un forno che brucia pattume e archivia definitivamente un re di Roma mentre ne celebra un altro, mai in realtà caduto in disgrazia. L’impianto proposto dal sindaco, Roberto Gualtieri, tratterà 600 mila tonnellate all’anno e brucerà rifiuto indifferenziato.

Un dato tecnico che spiega chi vince e chi perde nella costruzione del forno che ha un costo di 700 milioni di euro. Il colpo di teatro, del tutto inaspettato anche nella stessa maggioranza, di Roberto Gualtieri ha già vincitori e sconfitti nel mondo politico, ma anche imprenditoriale.

«Per capire bisogna tornare indietro alla campagna elettorale, alla composizione della lista di Gualtieri, passando per le scelte in Ama, l’azienda pubblica dei rifiuti, fino all’annuncio che ha spaccato il centro-sinistra dell’inceneritore. Da lì si capisce il re che vince e il re che perde», racconta un esponente della maggioranza.

Cerroni addio

L’Ama, l’azienda pubblica di raccolta del pattume, raccoglie ogni giorno 5 mila tonnellate di rifiuti. Fino al 2013 i rifiuti andavano a Malagrotta, una discarica che ha salvato per decenni la città, le giunte e anche il Vaticano dall’inondazione del pattume. La fossa è di proprietà di Manlio Cerroni. Nove anni fa, per volontà dell’allora sindaco Ignazio Marino e per raggiunto limite della monnezza ingoiabile, l’enorme buco viene definitivamente chiuso.

Cerroni finisce ai domiciliari per traffico illecito di rifiuti in una indagine della procura di Roma che finisce con l’assoluzione in primo grado del magnate, ribattezzato l’ottavo re di Roma, appellativo tributato a chiunque salvi la città o ne detenga un pezzo rilevante di potere.

Cerroni, che ha ancora due pendenze giudiziarie per reati ambientali, ha effettivamente salvato la città ma contemporaneamente ha costruito, con impianti di proprietà e una gestione monopolistica del grande affare pattume, un vero impero. Morigerato, accorto e accentratore, il suo impero è cresciuto parallelamente alla sobrietà del suo padrone. Profilo basso, lavoro intenso e cura maniacale per ogni dettaglio. Mai una delega. 

L’imprenditore, dopo la chiusura di Malagrotta, è rimasto fondamentale perché possiede impianti in regione e i due Tmb, trattamento meccanico biologico, che consentono ancora a Roma di non finire affogata. Il pattume capitolino indifferenziato finisce nei Tmb di Cerroni, attualmente gestiti da un amministratore giudiziario, e in quello di Ama.

Con l’inceneritore di Gualtieri non serviranno alla città neanche più quelli. È finita un’epoca, sono lontani gli anni dei rapporti di Cerroni con gli esponenti del Partito democratico. «A tutti e due ci piace mangiare la coda alla vaccinara, mica ci va con Caltagirone a mangiare la coda», diceva Mario Di Carlo, nel 2008 a Report, allora assessore regionale di centrosinistra e amico di Cerroni. Un fuori-onda che meglio di altro ha raccontato sconfinamenti e ruoli capovolti. 

L’inceneritore di Gualtieri taglia anche la coda dell’impero cerroniano perché Roma non avrà più bisogno dei Tmb. «Questa è una continuazione di San Vittore (impianto gestito da Acea, ndr). Il disegno è chiaro da dieci anni, Cerroni viene fatto fuori ed entra Acea, i suoi soci, e in generale le società miste pubblico private dove la politica ha un ruolo.

Roma pagherà con i costi e il disservizio e nel calderone nessuno risponderà di più dei disastri. Hanno scelto la tecnologia più vecchia, l’inceneritore è il passato. La strada è la gassificazione con produzione di materia (idrogeno, etanolo, metanolo, urea, ecc). Un percorso virtuoso e molto meno inquinante», dice Manlio Cerroni.

L’imprenditore, che è diventato grande con la discarica, tenta il sorpasso sul terreno dell’ambientalismo contestando al sindaco Gualtieri la scelta di una tecnologia vecchia e per la quale in nord Europa ha avviato un parziale disimpegno.

Cerroni possiede anche un gassificatore, spento e inutilizzabile al momento, ma ormai è un re destituito e dei suoi impianti nessuno avrà più bisogno quando l’inceneritore sarà pronto. A vincere la partita è Acea, che ha come azionisti al 51 per cento Roma capitale, al 23 per cento la multinazionale francese Suez e al 5,45 per cento l’imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone.

Un tempo Acea, Ama e Colari stavano per costruire un impianto di incenerimento insieme, la società si chiamava Coema, poi tutto è saltato per l’indagine giudiziaria che ha coinvolto Cerroni, funzionari e dirigenti pubblici. Ora il vecchio progetto torna, ma il patron di Malagrotta è tagliato fuori.

Acea in Caltagirone

Francesco Gaetano Caltagirone, editore del Messaggero, è l’ottavo re di Roma, così hanno ribattezzato anche lui, ha un impero che spazia dall’editoria alla finanza passando per l’intramontabile cemento. Il fatturato del gruppo per l’80 per cento ormai matura fuori dall’Italia, ma lui mantiene piedi e cuore a Roma.

Appartiene all’olimpo del capitalismo italiano, un capitano d’azienda, a Roma lo chiamano ancora palazzinaro, che ha accresciuto il suo rilevante patrimonio indipendentemente dalla giunta in carica. In campagna elettorale, Gualtieri ha affidato la cura della sua lista civica all’imprenditore ed ex senatore democratico Raffaele Ranucci, amico di famiglia dei Caltagirone.

Ranucci è riuscito a confezionare una lista che ha messo insieme donne e uomini cari a quel mondo riuscendo a ottenere due assessorati nella giunta Gualtieri. E di peso. Monica Lucarelli, manager e già presidente dei giovani industriali, è diventata responsabile delle attività produttive e del commercio.

L’altro nome in giunta è quello di Alessandro Onorato, ex fedelissimo del costruttore rosso Alfio Marchini, l’assessore era in prima fila al matrimonio di Ranucci lo scorso marzo, con testimone proprio Caltagirone. Onorato, nella squadra di Gualtieri, si occupa di grandi eventi. E tra i grandi eventi c’è anche il Giubileo del 2025, i fondi per realizzarlo serviranno anche a tirare su l’enorme bruciatore grazie al decreto, preparato dal governo, che consente la deroga al piano regionale che non prevedeva l’impianto.

E attorno ad Acea girano anche le scelte in Ama, questo rende ancora più scontato il coinvolgimento di entrambe le aziende partecipate nel progetto dell’inceneritore, una sinergia promossa in campagna elettorale proprio dal sindaco Gualtieri. 

Una parte dei rifiuti romani viene già bruciata da un inceneritore di proprietà di Acea, si tratta dell’impianto di San Vittore, destinatario di quantitativi aggiuntivi di rifiuti nella fase più critica della perenne emergenza pattume e in corso di autorizzazione per una quarta linea.

Anche la scelta dei manager viaggia in direzione di questa annunciata sinergia. Il nuovo direttore generale di Ama si chiama Andrea Bassola, un vita da manager nelle aziende pubbliche, tre lustri in Acea, un incarico in una partecipata del nord prima di tornare a Roma per diventare il numero uno di Ama. Ha un problema, risalente ai suoi anni in Acea, è imputato per disastro ambientale e per lui la procura di Civitavecchia ha chiesto il rinvio a giudizio, accuse per le quali Bassola si dichiara in grado di dimostra la sua estraneità. 

Un dato è certo. Il nuovo impianto è la fine di un sistema di potere, quello cerroniano, e il trionfo di chi re non ha mai smesso di esserlo. 

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