L’imprenditrice calabrese Maria Chindamo era stata rapita ed era scomparsa nel nulla la mattina del 6 maggio del 2016, davanti la sua proprietà agricola a Limbadi, in provincia di Vibo Valentia. Oggi emergono nuove rivelazioni da parte del pentito di ‘ndrangheta Antonio Cossidente, ex affiliato del clan Basilischi di Potenza.

«Emanuele mi disse che la donna venne fatta macinare con un trattore o data in pasto ai maiali» riferisce Cossidente agli inquirenti. Si riferisce alle conversazioni avvenute in carcere con Emanuele Mancuso, figlio del noto boss Pantaleone. Il verbale delle sue deposizioni, reso noto da Il Vibonese, gettano un po’ di luce sul tragico destino dell’imprenditrice.

L’omicidio

Secondo la recente ricostruzione dei fatti, a compiere l’omicidio sarebbe stato il suo vicino di casa, Salvatore Ascone, un trafficante di droga molto vicino al clan Mancuso. Ascone si era interessato ad alcuni terreni della donna che erano confinanti con le sue proprietà, ma che lei si era sempre rifiutata di vendergli. Venne arrestato nel luglio 2019 con l’accusa di concorso in omicidio per aver manomesso le telecamere di videosorveglianza dell’abitazione della Chindamo il giorno prima della sua scomparsa, ma fu poi scarcerato per mancanza di prove dal Tribunale del riesame di Catanzaro.

Mancuso riferisce al collaboratore di giustizia che il piano di Ascone, detto il Pinnolaro, era di far ricadere le accuse dell’omicidio sui famigliari del marito della vittima che si suicidò in seguito alla separazione. Aveva, sostanzialmente, cercato di far passare l’omicidio dell’imprenditrice per una resa di conti tra famiglie.

Il rapporto stretto tra i due collaboratori di giustizia

Cossidente rivela di aver ottenuto le informazioni grazie al rapporto stretto che si è creato nel carcere di Paliano tra lui e il giovane Mancuso, che vedeva come un figlio per via della sua età di 31 anni. Emanuele Mancuso viene arrestato nel marzo del 2018 in una retata organizzata da parte della Procura antimafia di Catanzaro e dei carabinieri di Vibo Valentia.

Decide di collaborare con il magistrato Nicola Gratteri e inizia a parlare rivelando informazioni chiave che porteranno al successo di varie operazioni eseguite negli ultimi due anni. I suoi racconti iniziano a impaurire la sua famiglia, una delle ‘ndrine più potenti della provincia di Vibo Valentia, tanto che lo minacciano di sottrargli la figlia.

L’indagine della Dda di Catanzaro sulle pressioni al collaboratore di giustizia si è chiusa lo scorso ottobre con dieci indagati accusati a vario titolo di violenza privata, intralcio alla giustizia e favoreggiamento nei confronti di latitanti.

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