Nella logica selettiva imposta dal neo ministro dell’Interno Matteo Piantedosi persino chi viene da un paese in guerra non è idoneo a sbarcare in Italia. Tra 214 “non selezionati”, lasciati sulla nave umanitaria Geo Barents di Medici senza frontiere, non ci sono pericolosi terroristi dello stato islamico.

Gli operatori hanno raccolto alcune storie di siriani in fuga dallo stato lacerato dalla guerra. Evidentemente per il Viminale guidato da Piantedosi, in perfetta continuità con il suo sponsor principale Matteo Salvini, per mettere piede sul suolo italiano (ed europeo) non è sufficiente provenire da un territorio bombardato, ostaggio di milizie armate. La tolleranze è zero anche gente con la storia di Youssouf e di Ahmed, nomi di fantasia per indicare due dei migranti che vorrebbero rifugiarsi in Europa e che dopo ore di attesa sulla nave si sono tuffati dalla Geo Barents, e sono ancora sul molo dopo essere stati salvati. Da lì non vogliono muoversi.

È la loro battaglia estrema per ottenere ciò che gli spetterebbe come diritto. Youssouf da qualche ora è rimasto solo sul molo, perché Ahmed ha avuto un malore, 39 di febbre e un’ambulanza lo ha soccorso. 

Bombe sulla testa

Youssouf è uno dei 214 sopravvissuti rimasti a bordo della Geo Barents. A lui è stato vietato si scendere, vittima della selezione all’ingresso, ultima trovata del governo di destra guidato da Giorgia Meloni. Porti chiusi e selezioni sommaria. Lo scorso 6 novembre Youssouf ha assistito perciò allo sbarco di 357 persone, suoi compagni di viaggio per giorni nel mediterraneo, e sperava fino all’ultimo di entrare nel fortunato gruppo dei selezionati secondo la dottrina Piantedosi. Ma non è stato così. Eppure non proveniva certo da un’isola felice. 

«Dopo giorni e giorni su quella nave stavo impazzendo. Ho avuto la sensazione che il mio corpo e i miei sogni stessero andando in frantumi. Sono grato per tutta l'assistenza che ho ricevuto a bordo ma non ce la facevo più a sopportare quella situazione» dice Youssouf  ancora appollaiato sulla banchina del porto di Catania dopo essere saltato in acqua dalla Geo Barents.

Il ragazzo siriano spiega agli operatori perché è fuggito dal suo paese: «Ho lasciato il nord della Siria per offrire una vita più sicura alla mia famiglia. Ho quattro figlie che sono rimaste lì e spero che possano raggiungermi presto in un luogo sicuro, in Europa.  La più piccola ha solo sei anni. Negli ultimi anni hanno visto le bombe cadere sulla nostra città e non possono andare a scuola perché la zona continua a non essere sicura. I gruppi armati sono ovunque, rapiscono le persone per chiedere il riscatto, la situazione è fuori controllo e ogni giorno ho paura per la loro vita. Voglio semplicemente trovare un posto dove possano essere libere dalla paura e sentirsi al sicuro. Questo è il mio sogno e non permetterò a nessuno di portarmelo via».

Abusi e violenze

Ahmed invece ha lasciato Damasco un anno fa. Scappa dalla paura, fugge dai pericoli quotidiani che era costretto ad affrontare in patria. «Pericolosa e insostenibile», la definisce. Insomma, nel suo paese non poteva più restare. Così è partito. Prima la Libia, con il suo inferno di lager e umiliazioni. Da lì, per sei volte, ha tentato di attraversare il Mediterraneo a bordo di imbarcazioni ridotte malissimo. È stato intercettato dalla guardia costiera libica, finanziata con soldi italiani e dell’Unione europea, e portato in centri di detenzione in Libia. Qui, dice, ha subito violenze e abusi prolungati. Agli operatori di Medici senza frontiere ha raccontato che da allora ha forti dolori alla schiena a causa delle sevizie che ha subito.

Youssouf e Ahmed da quando si sono tuffati in mare per protestare contro la decisione delle autorità italiane, hanno trascorso l'intera notte all'aperto in banchina rifiutando da questa mattina cibo e acqua. Per Piantedosi e il governo Meloni non sono abbastanza titolati a desiderare una nuova vita lontano dalle angherie dei regimi e dal fuoco delle bombe. 

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