Il broker internazionale Gianluigi Torzi è all'estero e la guardia di Finanza di Roma non ha potuto arrestarlo su mandato del giudice capitolino Corrado Cappiello. Torzi è il finanziere molisano già indagato dalla giustizia d’oltretevere nell’ambito dello scandalo sulla compravendita del palazzo vaticano a Londra. L’indagine, condotta dalle fiamme gialle, prende spunto proprio dalle investigazioni svolte dall’autorità giudiziaria vaticana che, lo scorso giugno, avevano portato al suo arresto. Torzi è indagato per autoriciclaggio perché ha ricevuto 15 milioni di euro dalla segreteria di stato vaticana a fronte di fatture emesse per operazioni che sarebbero, stando alle ipotesi dell’accusa, completamente inesistenti. Fatture emesse per occultare la provenienza «delittuosa di tali somme». Torzi è così indagato anche per l’emissione di fatture per operazioni inesistenti al fine di consentire «a terzi l'evasione delle imposte», insieme a Giacomo Capizzi (amministratore della Meti capital) e ai commercialisti Matteo Del Sette e Alfredo Camalò. Nell’ordinanza, che ha disposto gli arresti per Torzi, viene ricostruito l'inizio dell'indagine. Tutto nasce dalla denuncia presentata dal direttore generale dell’istituto per le opere di religione, a seguito di una richiesta di finanziamento, per un importo di 150 milioni di euro, presentata dalla segreteria di Stato della Santa sede per non meglio precisati 'ragioni istituzionali'. Soldi che servivano a estinguere un mutuo acceso per le operazioni di compravendita del palazzo vaticano a Londra. 

Il presunto ricatto

E qui entra in scena Torzi, indagato per estorsione, dall’autorità giudiziaria vaticana perché avrebbe comunicato la volontà di non cedere alla segreteria di Stato la catena di società che possedevano l'immobile di Londra, catena societaria controllata da una sua fiduciaria. Avrebbe così costretto gli emissari della segreteria di Stato a corrispondergli 15 milioni di euro, giustificati con fatture per operazioni inesistenti, secondo la procura di Roma. Vengono ripercorsi i passaggi dell'acquisizione dell'immobile a partire dal 2014. L’intricata operazione immobiliare si sarebbe bloccata proprio quando Torzi fa valere le azioni con diritto di voto che possedeva nella fiduciaria, sciogliendo il groviglio solo dietro la corresponsione di 15 milioni di euro. Un passaggio economico che Fabrizio Tirabassi, dipendente della segreteria di Stato, ha giudicato come ricattatorio. L’indagine delle fiamme gialle riporta elementi contenuti nella iniziativa del promotore di giustizia vaticana dalla quale emergono richieste economiche avanzata da Torzi «del tutto ingiustificate e sproporzionate». Torzi, insomma, avrebbe con la complicità di alcuni funzionari vaticani, utilizzando il possesso delle azioni della fiduciaria, costretto la segreteria di Stato a corrispondergli 15 milioni di euro. Gli inquirenti spiegano che pur attribuendo un ruolo nella mediazione a Torzi sono «rinvenibili profili di elusione ed evasione fiscale» perché «è pacifica l'estraneità di entrambe le società emittenti le fatture in questione all'acquisizione dell'immobile di Londra». Sull'autoriciclaggio il giudice scrive: «l'indagato non si è limitato a trasferire le somme provento di delitto su un conto o altro rapporto a lui stesso intestati, ma le ha parzialmente reimpiegate in attività imprenditoriali idonee ad ostacolare l'identificazione della loro provenienza». Per quanto riguarda, invece, le fatture per presunte operazioni inesistenti, il dato si ricaverebbe dall'analisi di messaggi whatsapp e email presenti nel telefono di Torzi al momento del suo arresto da parte dell'autorità giudiziaria vaticana. «Devo risolvere rischio anzi ormai presa al culo x stasera devonligigare (litigare, ndr) con luigi», scrive Torzi in merito a un problema relativo a una società individuata per il pagamento ma che non aveva un conto disponibile. Il giudice conclude: «La fattura tra Meti e Set, entrambe riconducibili, di fatto, a Torzi Gianluigi, è stata chiaramente emessa al solo scopo di frodare il fisco». Così secondo il giudice, per il pericolo di reiterazione, è necessario l'arresto di Torzi anche in considerazione dell'allarmante «facilità con cui il predetto indagato e i suoi collaboratori sono riusciti a organizzare le operazioni fraudolente». Il giudice parla di «una strategia economica tesa a frodare il fisco attraverso collegamenti societari, schermi giuridici e specifiche collaborazioni professionali». Su Torzi il giudice aggiunge: «Oltre al procedimento penale pendente presso lo stato della città del vaticano, è gravato da precedenti di polizia per abusiva attività finanziaria, truffa, emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti ed è indagato per bancarotta fraudolenta». Una ordinanza di custodia cautelare in carcere che viene pesantemente contestata dalla difesa del broker. Lo stesso Torzi firma un comunicato, insieme agli avvocati Ambra Giovene, Marco Franco, nel quale si legge: «Il provvedimento del giudice di Roma ci lascia davvero molto perplessi: sull’asserito autoriciclaggio fonda la prova del reato presupposto sull’indagine vaticana, già demolita dal giudice inglese il mese scorso, e in punto di reati tributari valorizza l'aspetto formale di quelle fatture e non quello sostanziale, ovvero che le imposte sono state tutte pagate. Abbiamo proposto subito riesame nella convinzione che questa ordinanza verrà subito annullata». Ordinanza di arresto che, in attesa del Riesame, non è stata eseguita perché Torzi è all’estero.

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