I carabinieri del Ros di Palermo, guidati dal colonnello Lucio Arcidiacono, hanno eseguito oggi 23 decreti di fermo firmato dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo. I 23 fermati sono accusati a vario titolo di associazione a delinquere di stampo mafioso, concorso esterno di associazione mafiosa, favoreggiamento, tentata estorsione. Tra le attività contestate c’è quella di favorire i summit mafiosi del boss Buggera con altri sei capimafia dell'Agrigentino.

Avvocata e boss

Tra i fermati c'è anche una nota avvocatessa penalista di Agrigento, Angela Porcello, che in passato ha difeso il boss Giuseppe Falsone e altri capimafia dell'agrigentino. Secondo gli investigatori del Ros, per molti mesi ha messo a disposizione il suo studio per gli incontri fra i boss. Sono stati documentati nello studio incontri fra i boss di Canicattì, Ravanusa e Favara, alcuni stiddari e un palermitano, fedelissimo di Bernardo Provenzano. Le cimici nello studio della penalista hanno poi permesso di accertare il salto di qualità della donna che da avvocata difensore era diventata la reggente del mandamento mafioso di Canicattì grazie anche al compagno uomo d'onore.

Poliziotti complici

L’operazione ha coinvolto anche gli organismi statali. Sono stati fermati cancellieri, un ispettore di polizia e agenti della polizia penitenziaria che avrebbero permesso a tre boss di Agrigento, Trapani e Gela di mandarsi messaggi a distanza grazie all'assenza di controlli nelle sale colloqui delle carceri e alla complicità di alcuni agenti. Il boss agrigentino Giuseppe Falsone avrebbe sfruttato l'aiuto di un avvocato. Il legale riceveva le lettere non solo di Falsone ma anche di altri due capimafia di Trapani e Gela detenuti al 41 bis che non venivano sottoposte a censura e poi inviava le risposte ai tre boss detenuti a Novara.

Torna in carcere il mandante dell’omicidio Livatino

I pm di Palermo hanno disposto il fermo anche di Angelo Gallea, il mandante dell'omicidio del giudice Rosario Livatino, soprannominato il giudice ragazzino e sotto processo di beatificazione da parte della Chiesa. Gallea era in semilibertà dal 2015 dopo aver scontato 25 anni di carcere. Nel motivare il fermo che lo riporta in carcere, i magistrati hanno chiesto: «Il provvedimento che ammetteva la beneficio della semilibertà, emesso dal tribunale di sorveglianza di Napoli, si basava tra l'altro anche sulla declaratoria di 'impossibilità' della sua collaborazione con la giustizia». Ovvero, la dichiarazione che tutti i reati da lui commessi erano stati accertati e dunque sarebbe stata impossibile una sua collaborazione. In realtà, Gallea conservava ancora tanti segreti, che sono diventati la sua forza nel momento in cui è tornato in libertà. Segreti su vecchi complici, affari e patrimoni mai scoperti.

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